La rinascita della fiducia
Per scrivere un testo letterario bisogna innanzitutto affidarsi ad una lingua. Di solito la scelta è facile ed immediata, in quanto si privilegia quella materna, che è poi quella del proprio paese, attraverso la quale ci si è formati la propria cultura e della cui tradizione letteraria ci si sente in qualche modo partecipi ed eredi. Non sempre, però, è così, e non sempre lo è stato nella storia, anzi proprio dalle scelte non scontate e convenzionali della lingua in cui scrivere hanno avuto origine inaspettati rinnovamenti nella storia letteraria. Così è stato quando alcuni coraggiosi, in Sicilia e in Umbria, hanno deciso, pur per ragioni molto diverse, di abbandonare il latino e di usare il volgare per i loro testi, ma altrettanto importante è stato, qualche secolo dopo, quando la nostra letteratura ha ripreso vigore proprio dal rinnovato contatto con il mondo classico le cui lingue sono entrate vitalisticamente anche nella nostra letteratura, per venire poi al Novecento, quando scrittori dell’ Impero Austro-ungarico hanno voluto scrivere in italiano ed entrare, di conseguenza, per loro libera scelta, nella nostra letteratura, o altri hanno deliberatamente utilizzato le lingue marginali delle loro ristrette aree geografiche.
Oggi emerge un altro interessante aspetto della scelta del proprio linguaggio letterario, quella di chi, emigrato da paesi lontani di altri continenti, sceglie di scrivere in italiano, impegnandosi di conseguenza anche a conoscere sempre meglio questa nostra lingua per sfruttarne tutte le possibilità espressive. La cosa aveva già avuto negli ultimi decenni significativi esempi, ma soprattutto a livello di diario e di memorialistica, mentre particolarmente interessante si sta rivelando la produzione del senegalese Cheikh Tidiane Gaye, giunto con Ode nascente/ Ode naissante (Edizioni dell’Arco, 2009) alla sua seconda silloge bilingue, dopo Il canto del djali (2007) ed alcune opere in prosa. Un corpus poetico, ormai di una certa consistenza e di sicuro rilievo, di un poeta di solida cultura francofona, ma anche erede di una tradizione della voce, ovvero dell’oralità, che appunto porta alcune caratteristiche di questa prassi nella nostra lingua, piegandola e forgiandola per un’espressione efficacemente comunicativa, non solo a livello della scrittura, ma soprattutto sul piano fonico. Il suo è un verso ricco di sonorità (allitterazioni, rispondenze e richiami) e ritmato da cadenze, il che rivela un forte legame con una lunga storia di oralità ancora vicina, palpitante di vita comunicativa. Bastano anche solo pochi esempi per capire che l’andamento dei versi di Gaye è di ampio respiro, con elaborata ricerca di immagini che nascono sia dalla sua terra che dalla nostra, ma soprattutto dall’incontro di entrambe, grazie ad una percezione acuta e fantasiosa: tutto questo vuol dire saper sfruttare al massimo le possibilità espressive della nostra lingua, amplificandone le potenzialità. Gaye evidenzia un itinerario culturale ricco e complesso, in cui la sua formazione africana di nascita, wolof e senegalese, fruisce anche dell’apporto di esperienze letterariamente significative, come quelle di Léopold Sédar Senghor e Aimé Césaire, per approdare all’adozione dell’italiano (lingua vergine di implicazioni colonialistiche, a differenza del francese lingua acquisita nella formazione scolastica e culturale post-coloniale), in cui esprimere il suo mondo e la sua condizione. Proprio attraverso la parola poetica viene così gettato un ponte per creare un collegamento con il passato e preparare il futuro, come dimostra il titolo stesso della silloge, Ode nascente, in cui la forma poetico-musicale della classicità viene recuperata da questa poesia che la fa rinascere in un’esperienza transculturale, vistosamente segnata dalla dialettica dell’individuale e dell’universale, capace di fondere il passato e il presente e di creare un’apertura al futuro proprio attraverso la connotazione della scrittura letteraria.
Nel leggere le poesie di Gaye abbiamo l’impressione che le maglie del tessuto linguistico italiano si allarghino per far sì che la negritudine s’innesti nel solco della nostra tradizione nelle notti quando le parole sorgono come semi, in un concatenarsi di espressioni che sanno dar vita ad una tramatura lirica in cui alla classica Kora si affiancano i tam-tam e gli spiriti protettori delle savane. La parola è nuova anche se nasce scolpita nella corteccia dei baobab millenari e grande è la fiducia in essa, perché è la sillaba che raccoglie le stelle dell’unico cielo / la parola che canta il grano della sabbia / il peso del ritmo ed il tempio della cadenza. A dimostrare questa fiducia sono in particolare le liriche Parola e Rima, mentre In memoria di Dante attesta la volontà e il desiderio di entrare in una ben precisa tradizione culturale. Anche se si avverte la ferita dell’allontanamento di tanti figli dall’Africa (Terra mia), dominante diventa il miraggio del nostro paese, visto nell’estrema sua propaggine verso l’Africa: O Lampedusa, / perla sabbiosa, stenditi come una stuoia, / sii accogliente per asciugare le nobili lacrime. In questa prospettiva la fiducia verso il nuovo rende meno lacerante e doloroso il distacco, consolato anche dalla possibilità di annodare passato, presente e futuro attraverso le parole, tanto che il poeta, sempre rivolgendosi a Lampedusa, dice: Offri alla storia la penna di pappagallo / così le righe diventeranno colorate. Egli ha chiara coscienza e percezione di questa sua particolare condizione, quella di chi vive lontano dalla terra d’origine, ma con fiducia e speranza, nell’ottica dell’ apertura di un orizzonte nuovo, come dice chiaramente nelle liriche Universale e Partire. A testimoniarlo è il suo omaggio alle radici (A mia madre), con il ricco repertorio di metafore sul tema terra-madre, e la sua apertura al futuro rappresentato dal figlio (Il soffio), in quanto l’esaltante esperienza della paternità italiana lo lega ancora di più al nostro paese, per cui il suo essere in Italia è sentito come un fatto positivo, animato da impulsi vitali. A dare il carattere originale alla poesia di Gaye e a renderla particolarmente apprezzabile è proprio questo afflato fiducioso di vita nuova, è il senso di accettazione della propria condizione, che risulta pervasa da un dinamismo costruttivo.
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