OpenLab virtuale – pt. 5 e 6: Conrad e Verga

Prosegue l’OpenLab nella sua versione virtuale, adatta al momento che stiamo vivendo e sperimentazione di un “modello” per la condivisione e il commento di un testo a distanza.

Marta: La linea d’ombra (Joseph Conrad)

Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo i giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. È privilegio della prima giovinezza vivere in anticipo sui propri giorni in un ininterrotto flusso di speranza che non conosce pause né introspezione.
Ci chiudiamo alle spalle il cancelletto della fanciullezza – ed entriamo in un giardino incantato. Qui perfino le ombre risplendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha le sue seduzioni. E non perché questa sia una terra inesplorata. Sappiamo fin troppo bene che tutti gli uomini sono passati di qui. È il fascino di un’esperienza universale da cui ci attendiamo sensazioni non comuni o personali – qualcosa che sia solo nostro.
Andiamo avanti eccitati, divertiti, riconoscendo i segni lasciati intorno a noi da chi ci ha preceduti, accettando insieme la buona e la cattiva sorte – le rose e le spine, come si suol dire – il pittoresco destino che riguarda tutti gli uomini e che riserva così tante possibilità ai più meritevoli o forse ai più fortunati. Sì. Andiamo avanti. E anche il tempo va avanti – fino a quando distinguiamo di fronte a noi una linea d’ombra che ci avvisa che bisogna lasciarsi alle spalle anche la regione della prima giovinezza.

Questo è il periodo delle vita in cui è più facile che capitino di quei momenti di cui ho parlato. Quali momenti? Be’, momenti di noia, di stanchezza, di insoddisfazione. Momenti avventati. Momenti intendi in cui, chi è ancora giovane è portato a compiere gesti avventati, come sposarsi all’improvviso o abbandonare un lavoro senza alcun motivo.

Quando ho letto questo testo per la prima volta sono rimasta subito colpita.

Mi piace la dimensione idilliaca dell’adolescenza e il fatto che in questa fase della vita anche le ombre, simbolo dell’oscurità, risplendano. Mi ha colpito anche l’idea che tutti gli uomini siano accomunati dallo stesso destino, quello di attraversare il giardino incantato, e che ognuno lasci un segno per quelli che lo attraverseranno dopo di lui, ma nonostante questo ci aspettiamo qualcosa che sia solo nostro.
L’immagine più suggestiva, almeno per me, è stata quella della linea d’ombra che rappresenta una specie di rito di passaggio nella vita di ognuno di noi. Mi ha colpita la differenza tra il cancelletto che mette fine all’infanzia e la linea d’ombra che mette fine all’adolescenza: il primo infatti è materiale, tangibile, la seconda invece è immateriale e indefinita.

Tiziana

Sono righe che davvero “ci appartengono”, nel senso che sono di tutti noi, ci ritroviamo e un po’ – proprio in questi giorni in cui abbiamo “più tempo” per pensare, da dedicarci – ci costringono a fare un viaggio a ritroso nelle nostre vite.
Anzi, come dice il testo, nelle nostre esperienze. Questa è la parola cardine di BombaCarta ed è anche un esercizio che cuore e mente possono fare, in totale libertà.
Esperienza e libertà: saranno questi i segni che ognuno di noi lascia? Forse. Anche saper chiudere bene un cancelletto alle nostre spalle non è una cosa da poco.
Spesso mi ritrovo a rifiutare le fasi della vita, quasi fossero un semplicistico modo per trattare una materia tanto complessa.
Eppure, come hai ben sottolineato tu: È il fascino di un’esperienza universale da cui ci attendiamo sensazioni non comuni o personali – qualcosa che sia solo nostro. Ovvero momenti, situazioni, attimi che nessuno può portarci via. Ma che per diventare vera esperienza dobbiamo condividere. Indipendentemente dall’età.

Greta

Il tuo testo mi colpisce perché incornicia l’uomo in due delle sue dimensioni: il tempo (“Solo i giovani hanno di questi momenti”) e lo spazio (“entriamo in un giardino incantato”).
Quest’ultimo sembra predominare nel testo e lo scrittore ci si dilunga parecchio, come se avesse paura di dirci qualcosa di più su quei momenti accennati all’inizio.
Attraverso una struttura ciclica, riprende il discorso lasciato in sospeso solo alla fine e, quasi stupito, ci dice: “Quali momenti? Be’, momenti di noia, di stanchezza, di insoddisfazione. Momenti avventati”.
Strano come questi momenti identificati con tre termini negativi risultino essere fecondi e sfocino in un’azione (“sposarsi all’improvviso o abbandonare un lavoro senza alcun motivo”). Strano e bello! Ci dà speranza: anche in quello che sembra bloccarci c’è il seme di un qualche tipo di opera.

Cecilia

Mi rendo conto che non troverei parole migliori per descrivere il lento trapasso dall’adolescenza alla prima età adulta e che, da ventunenne relativamente nuova a questa sensazione, posso dire che il subentrare della noia, della stanchezza e dell’insoddisfazione è davvero inesorabile quando si comincia a percepire il tempo, scandito dagli anni, che scorre.
Penso che la particolarità più sorprendente del brano sia l’allusività delle espressioni usate, metaforiche, astruse e a tratti ossimoriche, tali forse che risulterebbero incomprensibili se si stesse affrontando qualsiasi altro argomento. Ma dietro a queste parole è stato nascosto un richiamo a delle sensazioni, fisiche e psicologiche, che sono universali.
Ad esempio ci si potrebbe chiedere come sia possibile andare “avanti eccitati, divertiti, […] accettando insieme la buona e la cattiva sorte” o trovare un posto in cui “perfino le ombre risplendono di promesse“. Eppure se rapportiamo queste due frasi al periodo della nostra prima adolescenza è impossibile non coglierne il significato, perché ognuno di noi conserva nel cuore i desideri ambigui, a volte tragici e spaventosi, di quell’età e può rimettere davanti agli occhi, rimanendo stupito, la lente attraverso il quale un ragazzino guarda il mondo.

Margherita: La coda del diavolo, in Primavera e altri racconti (Giovanni Verga)

“Questo racconto è fatto per le persone che vanno con le mani dietro la schiena, contando i passi; per coloro che cercano il pelo nell’uovo e il motivo per cui tutte le cose umane danno una mano alla ragione e l’altra all’assurdo; Per quegli altri cui si rizzerebbe il fiocco di cotone sul berretto da notte quando avessero fatto un brutto sogno, e che lascerebbero trascorrere impunemente gli Idi di Marzo; per gli spiritisti, i giocatori di lotto, gli innamorati, e i novellieri. E, per tutti coloro che considerano col microscopio gli uncini coi quali un fatto ne tira un altro, quando mettete la mano nel cestone della vita; per i chimici e gli alchimisti che da 5000 anni passano il loro tempo a cercare il punto preciso dove il sogno finisce e comincia la realtà, e a decomporre le unità più semplici della vita nelle vostre idee, nei vostri principi, e nei vostri sentimenti, investigando quanta parte del voi della notte ci sia nel voi desto, e la reciproca azione e reazione, gente sofistica la quale sarebbe capace di dirvi tranquillamente che dormite ancora quando il sole vi sembra allegro, o la pioggia vi sembra uggiosa – o quando credete d’andare a spasso tenendo sotto il braccio la moglie vostra, il che sarebbe peggio. Infine, per le persone che non vi permetterebbero di aprire bocca, fosse per dire una sciocchezza, senza provare qualche cosa, questo racconto potrebbe provare e spiegare molte cose, le quali si lasciano in bianco apposta, perché ciascuno vi trovi quel che cerca.
Narro la storia ora che i personaggi di essa sono tutti in salvo dalle indiscrete ricerche dei curiosi; poiché dei tre personaggi – è una storia a tre personaggi, come le storie perfette, e di tutti e tre avete già indovinato l’azione, per poca pratica che abbiate di queste cose; – lui è al Cairo, o lì presso, a dirigere non so che lavori ferroviari; lei è morta, poveretta! E l’altro in un certo modo è morto anche lui, sì è trasformato, ha preso moglie, non si rammenta più di nulla, e non si riconoscerebbe più nemmeno dinanzi ad uno specchio di dieci anni addietro, se non fossero certi calabroni petulanti e ronzanti attorno a sua moglie, che gli mettono lo specchio sotto il naso, e somigliano più a lui quand’era petulante e ronzante anch’esso, da fargli montare la mosca. Insomma, tre personaggi comodissimi che non contano più, che non esistono quasi – potete anche immaginare che non siano mai esistiti”.
Di questo testo mi colpisce, innanzitutto, il succedersi di immagini così precise, ma anche così originali, che “caratterizzano” i destinatari dell’opera. Credo ci sia tanta vita in queste righe, tanta umanità, e questo mi ha incoraggiata a leggere e rileggere il primo paragrafo per poterne cogliere i significati ancora celati dopo una prima lettura superficiale. Ho provato il gusto di poter allineare, nella mia mente i diversi tipi umani che l’autore presenta – anche per capire in quali mi rispecchiassi di più, pensiero che mi ha fatta sentire “chiamata in causa”, in un certo senso.
Un’altro aspetto che mi affascina molto e che mi ha convinta a includere anche il secondo paragrafo, è legato al fatto che, sebbene siano scrupolosamente tratteggiate, le persone che compaiono nel primo paragrafo non sono personaggi. I personaggi sono invece “lui”, “lei” e “l’altro”, non meglio specificati, quasi privi di identità, che “potete anche immaginare che non siano mai esistiti. Non si direbbe che siano persone, dunque, come se i due concetti di persona e personaggio si escludessero a vicenda.
Un ultimo pensiero, o tentativo di interpretazione, va alla frase “questo racconto potrebbe provare e spiegare molte cose, le quali si lasciano in bianco apposta, perché ciascuno vi trovi quel che vi cerca”. Mi affascina molto questa frase, che credo si riferisca al concetto di “mistero”. Ciò che non comprendiamo fino in fondo – che è lasciato in bianco – può essere spiegato in molti modi, con la fede o la scienza, per fare due macro-esempi, ma sta ad ognuno di noi scegliere e la nostra scelta dipenderà da ciò che cerchiamo. E poi, quanta aspettativa crea questa frase rispetto al racconto, che può “provare e spiegare molte cose”.

Tiziana

Il testo che hai condiviso è ricchissimo. Mentre lo leggi hai come l’urgenza di correre letteralmente in avanti al “fotogramma” successivo, alla parola che segue, come per un bisogno forte di non perdere nulla e tenere tutto insieme.
La dedica del racconto fatta dall’autore “Questo racconto è fatto per le persone…” in realtà mi ricorda l’incipit più classico di qualunque storia: “C’era una volta…”. Tutto si gioca in quel piccolo, piccolissimo “per”: una dedica, una ragione, una causa, un desiderio.
Il piccolo “per” scatena la lettura forsennata del primo capoverso. Il piccolo “per”, poi, passa in secondo piano e lascia il posto ad un secondo capoverso dove il protagonista diventa il lettore: un lettore che sa, informato, che procede a braccetto con chi scrive. Trovo qui un contatto profondo con le cose proprio tu Margherita hai detto qualche giorno fa a proposito della scrittura: e se la scrittura partisse dal punto di vista del lettore, invece che dell’autore?
Una ennesima dimostrazione che tutto si rincorre e si ritrova.
L’autore parla a noi e dice “voi” e ci tira dentro, mani e piedi. E, più di tutto, mi ritrovo in questo punto: “… per i chimici e gli alchimisti che da 5000 anni passano il loro tempo a cercare il punto preciso dove il sogno finisce e comincia la realtà, e a decomporre le unità più semplici della vita nelle vostre idee, nei vostri principi, e nei vostri sentimenti…”.
Alchimisti, scrittori e lettori: mi sembra un unico difficilissimo mestiere!

Cecilia

Leggo in questo testo un’ironia di fondo, quasi una presa in giro, come se fra le righe l’autore stesse ridendo nell’umanità stessa e dei propri lettori. Questo tono scherzoso mi dispone bene. Ma ancora di più mi sembra che questo incipit fornisca una chiave di lettura importante relativa all’opera completa che introduce, pregandoci di sospendere l’analisi razionale, di contenere l’istinto umano di sminuzzare ogni fenomeno, ogni evento, nel disperato tentativo di capirlo e dominarlo, dalla notte dei tempi. L’autore sembra prendere di mira, in quest’ottica, sia il pensiero scientifico e filosofico che la superstizione, ma tutto questo solo per avvisarci che la letteratura e l’arte rispondono a criteri diversi e devono essere apprezzate nella loro totalità, senza cercare di comprendere ogni singola parola o risvolto logico della trama. Tanto è vero che l’autore sembra chiederci anche di non soffermarci sulle singole storie dei personaggi, sulla loro psicologia, ma solo sui valori simbolici che rappresentano nella storia.

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