La pancia

Le pancette sono sexy” dice Fabienne, sdraiata su un fianco, mentre Butch si toglie i vestiti di dosso. È uno dei celebri dialoghi à la Tarantino, di quelli che sembrano riempire uno spazio vuoto, e invece danno rotondità ai personaggi, li dipingono nei loro rapporti. Si tratta del discorso sulla “pancetta”, che restituisce un momento di dolcezza tra due personaggi di Pulp Fiction e, al contempo, ci consente di introdurre l’ultima parte del corpo da esplorare nelle Officine di quest’anno. Se lo scheletro è elemento di sostegno e struttura, la pancia invece è spia di bisogni, luogo da riempire, plasmare, proteggere.

La pancia vista da fuori: estetica e simboli

Proprio partendo dal giocoso discorso di Fabienne e Butch, risalta la dimensione estetica della pancia, al contempo, luogo di seduzione e di vanità. Dalla danza del ventre delle odalische, che ammaliavano le corti dei sultani, all’odierna recherche di una pancia piatta, ossessivamente bramata attraverso le promesse offerte da diete e personal trainer, la pancia si presenta come centro di gravità permanente dell’estetica dei corpi. Dalla Venere di Willendorf alla Venere di Botticelli, dai busti massicci di Michelangelo a quelli strabordanti di Rubens, dal ventre gonfio della Vergine di Caravaggio ai corpi scomposti di Picasso, la storia dell’arte è attraversata da rappresentazioni di pance, testimonianza di variazioni di canoni estetici e di simbolismi. Un ventre eccessivamente prominente – così come, d’altronde, una pancia troppo magra – può essere, in tempi e luoghi differenti, oggetto di attrazione come di disgusto, simbolo di ricchezza e benessere o, in senso diametralmente opposto, spia di patologie o stili di vita ritenuti insalubri.

Ecco quindi che la “pancia piena” diviene simbolo di opulenza. Non a caso i “banchieri, pizzicagnoli, notai” di De Andrè hanno “ventri obesi” e il Mazzarò di Verga è un uomo piccolo ma panciuto:

 “Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”.

In questo passaggio de La roba, la pancia di Mazzarò diventa la stessa terra da lui posseduta, strumento di ricchezza e ossessione. In senso contrario, Vladimir Vladimirovič Majakovskij in All’amato me stesso scrive del “ventre dimagrato della terra” per indicare un luogo privo di frutti, evidenziando anche un ulteriore elemento proprio della simbologia della pancia, cioè la fertilità.

La pancia vista da dentro: culla o prigione?

La citata Venere di Willendorf è una celebre statuetta di calcare risalente al Paleolitico, raffigurante una donna dalle forme particolarmente accentuate, simbolo di fertilità e prosperità. Il ventre della donna è, in tale direzione, luogo misterioso dal quale germina la vita (e, come tale, luogo sul quale da sempre si ha la pretesa – maschile, religiosa, istituzionale – di controllo: circostanza che lo ha reso nei tempi anche luogo di scontro e battaglia di rivendicazione dei diritti della donna).

Così recitano alcuni versi tratti da La ballata delle donne di Edoardo Sanguineti:

Quando ci penso, che il tempo ritorna,

che arriva il giorno che il giorno raggiorna,

penso che è culla una pancia di donna,

e casa è pancia che tiene una gonna,

e pancia è cassa, che viene al finire,

che arriva il giorno che si va a dormire”.

Nei versi di Sanguineti il ventre femminile viene descritto come una culla, luogo accogliente per definizione, ma anche come cassa “che viene al finire”. Dunque, la pancia intesa come punto di partenza, ma anche di arrivo, termine finale. Non a caso nella mitologia e nella narrativa, la funzione contenitiva della pancia viene anche descritta nell’accezione di carcere: Crono imprigiona i propri figli nella pancia, così come Giona (e Pinocchio) finisce inghiottito nella pancia del pesce. Canta Capossela ne Il Grande Leviatano:

Le coste ed i terrori di dentro la balena
Facevano a me intorno un buio spaventoso
”.

Dunque, la pancia vista dal di dentro può anche essere un luogo oscuro e terrificante, dove la luce è negata e il mondo esterno è solo un rumore.

Le funzioni della pancia

Il ventre, inteso come contenitore, può apparire come culla o prigione, ma anatomicamente è in primis custodia delle nostre viscere e, come tale, luogo di bisogni. Quando abbiamo fame è la pancia a brontolare e a ricordarci, con senso di vuoto, la nostra necessità di riempirla. E, una volta mangiato, è nella pancia che si svolge la digestione, operazione “volgare” che vorremmo nascondere, ma che tutti ci accomuna. In tal senso, ci ricorda Francis Scott Fitzgerald, nel suo primo romanzo Di qua dal Paradiso che:

Per quanto l’intelligenza e le capacità degli uomini possano differire tra di loro, la pancia è essenzialmente uguale per tutti”.

La digestione è processo miracoloso di discernimento. I cibi assunti si trasformano, venendo assorbiti dall’organismo o espulsi come sostanza indesiderata.

Al contempo, la pancia non offre agli organi che contiene la protezione di uno scheletro e, dunque, è individuata come parte “debole” del corpo, come testimoniano i graffi sulle braccia di chiunque tenti di accarezzare un gatto forastico sul ventre. Di qui, peraltro, l’espressione figurata di “ventre molle”, che identifica la parte più debole e indifesa di un organismo.

Ma la pancia è anche luogo di dolori: reali come quelli appunto derivati dalle infiammazioni degli organi in essa contenuti o figurati come le “farfalle nello stomaco” dei primi amori.

Ragionare di pancia

Infine, la pancia può anche essere luogo di “ragionamenti”. Mathilda, in Léon, dice di sapere di essere innamorata perché è il suo stomaco a dirglielo. Se il cervello è il luogo della riflessione deduttiva, la pancia invece ospita “ragionamenti” immediati. Dalla pancia provengono dunque le nostre decisioni istintive, che spesso potrebbero essere bollate come poco lungimiranti, frutto appunto dell’assenza di un ragionamento vero e proprio. Eppure, le decisioni “di pancia” sono quelle che germinano dalle emozioni, dai nostri sentimenti più profondi e, dunque, in un certo senso hanno un carattere di autenticità ignoto a molte idee che si agitano nel cervello.

Come canta Gaber:

un’idea, un concetto, un’idea

finché resta un’idea è soltanto un’astrazione,

se potessi mangiare un’idea

avrei fatto la mia rivoluzione”.

Perché “un’idea… modificarla, cambiarla, elaborarla…non ci vuole mica tanto. È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa”.

Lascia un commento a questo articolo