La poesia che prese il posto di un monte
La poesia può prendere il posto di una montagna. E’ l’esperienza del poeta statunitense Wallace Stevens.
Scrivere infatti è come scalare un monte, avere una direzione, ricordare che c’è una meta, una exact rock, cioè una «roccia esatta», da raggiungere, nonostante tutte le nostre inesattezze. Questa è la scrittura umana, vera, ricca di senso, quella che procede affilata e dritta come una freccia e sa così persino spaccare le rocce e spostare i pini, pur di non perdere la forza della sua direzione. Una scrittura senza una «roccia esatta» da raggiungere è una macchia su carta porosa, stagno inutile e sciolto.
Ecco la domanda da porsi davanti a una poesia o a una narrazione: qual è la sua «roccia esatta»? Dove sta andando? Dove mi porta? Quale meta mi indica? E con quale forza? Con quale sguardo? Lo scrittore autentico sa spostare le rocce e trovare sentieri tra le nuvole per guadagnare la vista giusta, il giusto punto di osservazione dove si ottiene una pienezza, una completezza che, dice Stevens, resta inspiegabile.
Solo «affacciandoci» dalla vera poesia possiamo guardare in basso e riconoscere la nostra casa.
La poesia che prese il posto di un monte
Era là, parola per parola,
La poesia che prese il posto di un monte.Egli ne respirava l’ossigeno,
Perfino quando il libro stava rivoltato nella polvere del tavolo.Gli ricordava come avesse avuto bisogno
Di un luogo da raggiungere nella sua direzione,Come egli avesse ricomposto i pini,
Spostando le rocce e trovato un sentiero fra le nuvole,Per giungere al punto d’osservazione giusto,
Dove egli sarebbe stato completo di una completezza inspiegata:La roccia esatta dove le di lui inesattezze
Scoprissero, alla fine, la vista che erano andate guadagnando,Dove egli potesse coricarsi e, fissando in basso il mare,
Riconoscere la sua unica e solitaria casa.(Wallace Stevens)
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