Tempi che cambiano

Tempora mutantur, nos et mutamur in illis.

“I tempi cambiano e noi cambiamo con essi”. Il cambiamento è una condizione costante e inesorabile dell’esistenza.

Nonostante sia pressoché impossibile controbattere, abbiamo la sensazione che non sia tutto. Questo perché essere coscienti che il cambiamento esiste, non significa accettarlo, accettarne le conseguenze. Anzi, piuttosto il contrario.

Cambiare, a differenza dell’evolversi, non ci assicura di andare incontro ad un miglioramento, ma ci mette di fronte all’ignoto. Sarà un cambiamento in positivo o in negativo? Questa incertezza ci confonde, ci spaventa e, in molti casi, ci paralizza. Meglio restare immobili, piuttosto che rischiare un peggioramento. Neanche così, però, possiamo sfuggire alla condizione inesorabile di cui sopra. Immaginiamo di passare la vita a cercare di evitare ogni scelta decisiva, ogni imprevisto o variazione nella routine che potrebbe farci perdere l’orientamento, esporci all’inaspettato. Immaginiamo di poter evitare che la nostra vita cambi. Ogni giorno uguale all’altro. Prima di tutto: stiamo vivendo? E poi, anche se riuscissimo a mantenere una staticità degli eventi, potremmo evitare di cambiare?

L’esempio più evidente di una trasformazione cui proprio non possiamo resistere, è quello che coinvolge il nostro corpo e il passare del tempo. La crescita e l’invecchiamento sono trasformazioni inevitabili a livello fisico. Esse costituiscono un cambiamento che può essere misurato in giorni, mesi, anni.

In un caso specifico, però, questa stessa trasformazione è stata raccontata non come conseguenza dello scorrere del tempo, ma come manifestazione di un’esperienza traumatica. Il pescatore protagonista di Una Discesa nel Maelström di Edgar Allan Poe ne parla così:

Avevamo ora raggiunto la sommità della cima più elevata; per alcuni minuti il vecchio sembrò troppo spossato per parlare.

-Non molto tempo fa – disse alla fine –  avrei potuto guidarvi su per questa via tanto bene quanto il più giovane dei miei figli; ma, circa tre anni fa, mi è capitata un’avventura, non mai toccata prima a un essere mortale, o almeno quale nessuno, sopravvissuto, poté raccontare… e le sei ore di mortale terrore che allora sopportai mi hanno spezzato il corpo e l’anima. Voi credete che io sia molto vecchio… ma non è vero; bastò meno di un giorno per cambiare questi capelli dal nero corvino in bianco, per fiaccarmi le membra e per spezzarmi i nervi in modo tale che io tremo al minimo sforzo e mi spavento a ogni ombra.

Il protagonista subisce un cambiamento drastico e improvviso, dopo essere incappato in una tremenda tempesta, un turbine infernale, chiamato, per l’appunto, Maelström. Sopravvissuto per miracolo, dopo aver perso il suo peschereccio con a bordo anche il fratello, il marinaio viene salvato da alcuni pescatori suoi amici, che stentano inizialmente a riconoscerlo. L’evento straordinario, sovrannaturale, in cui questo personaggio rimane coinvolto, cambia radicalmente la sua vita in brevissimo tempo. Nella tempesta perde ogni riferimento, perde il suo mezzo di sostentamento, suo fratello e la sua giovinezza. Il cambiamento estetico è qui direttamente legato al cambiamento esistenziale.

Il terribile vortice descritto da Poe ricorda i grandi eventi della storia, su cui non abbiamo controllo e dai quali non si torna quelli di prima. Guerre, rivoluzioni, progressi tecnologici modificano in modo permanente tutto ciò che toccano, nel bene e nel male. Il tempo in questo caso non è quello individuale del povero pescatore scampato al Maelström, ma è un tempo collettivo, condiviso, e – in quanto tale – la novità che lo accompagna ha portata epocale. Allora, come reagiamo ai cambiamenti storici?

Fondamentalmente, le strade percorribili sono due: adattarsi al cambiamento o avversarlo. Con The Times they are a-changin’ del 1963, Bob Dylan scrive un inno al procedere irrefrenabile delle lotte per i diritti civili. In una delle strofe ammonisce in particolare le figure politiche che potrebbero opporsi alle istanze dei movimenti di quel periodo:

Venite senatori, membri del congresso
Per favore date importanza alla chiamata
E non rimanete sulla porta
Non bloccate l’atrio
Perché quello che si ferirà
Sarà colui che ha cercato di impedire l’entrata

C’è una battaglia fuori
E sta infuriando.
Presto scuoterà le vostre finestre
E farà tremare i vostri muri
Perché i tempi stanno cambiando.

[Come senators, congressmen
please heed the call
don’t stand in the doorway
don’t block up the hall
for he that gets hurt
will be he who has stalled
there’s a battle outside
and it is ragin’
it’ll soon shake your windows
and rattle your walls
for the times they are a-changin’.]

Non solo non si può sfuggire al cambiamento, dunque, ma chi tenterà di ostacolarlo ne soffrirà. I mutamenti descritti da Dylan marciano nel presente verso un futuro che sembra già scritto. Eppure.

Il 22 novembre 1963, meno di un mese dopo la registrazione in studio della canzone, si verifica uno di quegli eventi storici che rimescolano le carte in tavola: il presidente Kennedy, in visita a Dallas, viene assassinato. La figura politica che più di tutte poteva incarnare lo spirito di quei tempi in continua evoluzione, pieni di speranza in un progresso tecnologico e sociale, l’uomo che non avrebbe “impedito l’entrata” del cambiamento, improvvisamente viene a mancare. La notte successiva all’assassinio, Bob Dylan apre un suo concerto proprio con The Times they are a-changin’. Al biografo Antony Scaduto racconterà di aver pensato (Bob Dylan, 1971):

“Wow, come posso aprire con quella canzone? Mi tireranno delle pietre addosso”. Ma ho dovuto cantarla, il mio intero concerto è partito da lì. So di non aver compreso tutto. Qualcosa era appena andato in tilt nel paese e loro applaudivano la canzone. E io non ho capito perché applaudissero, o perché scrissi quella canzone. Non potevo capire niente. Per me era solo pazzia.

Il futuro che poche settimane prima appariva chiaro, delineato quasi con la spavalderia di chi ha già vinto, svanisce inaspettatamente. Un cambiamento cede il passo ad un altro, più nefasto, e quello che rimane è lo smarrimento di non riconoscere la realtà in cui si viene catapultati.

Allora possiamo solo chiederci: come orientarsi in questi tempi che cambiano?

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