La verità della fiction
Può una fiction, cioè letteralmente una “finzione”, essere vera?
Quando una fiction è “vera”?
Quando una storia inventata da un narratore risponde a verità?
Secondo un’opinione comune essa è vera se racconta fatti realmente accaduti.
Allora la domanda: i Promessi sposi sono falsi? E l’Odissea? E i Malavoglia? E la Commedia di Dante? Tutto falso? Già sento le voci che dicono “no, nient’affatto”. Cos’è allora che ci spinge a dire che una certa narrazione di un fatto mai avvenuto e frutto della invenzione o della capacità elaborativa di uno scrittore non sia falsa?
Ecco una possibile risposta: la fiction di valore costruisce un mondo. Essa mette al mondo personaggi, storie, vicende, oggetti,… Se la fiction è vera, allora io faccio veramente esperienza di questo mondo che mi si dispiega davanti. Se non lo è, allora mi sentirò come davanti a un videogioco, a uno schermo, a qualcosa che comunque non mi coinvolge nella carne e nel sangue. Se la fiction è vera allora io faccio esperienza di vita.
Ma di quale vita?
Ecco il punto. Non solo di quella narrata! Se fosse così il mio sarebbe solo un di-vertimento, una dis-trazione, un essere portati per un momento altrove. No. Se una fiction è vera io faccio più intensamente esperienza della mia vita e del mio mondo. Se la fiction è vera, il mondo in cui mi immergo nella lettura non è più il mio, quello che conosco (la Yourcenar e i suoi lettori entrano nel tempo dell’imperatore Adriano, come i lettori di Kafka si muovono verso l’irraggiungibile Castello e i lettori di Carroll entrano nel Paese delle meraviglie, etc). Tuttavia sarà proprio a partire dalla lettura di quel testo letterario che io potrò rimettere in questione la mia percezione comune delle cose e la mia personale esistenza.
Ecco allora la virtù paradossale di una fiction vera: farmi entrare in un mondo diverso rispetto a quello della mia vita per farmi fare un’esperienza più viva del mio mondo e della mia esistenza.
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