Per fortuna non esistono solo le “liale”!
La scienza degli addii di Elisabetta Rasy è senz’altro un romanzo importante, che testimonia il fatto che non esistano solo le “liale” nel panorama della nostra attuale produzione narrativa. Racconta vicende drammatiche con occhio sapiente che sa guardare nel profondo dell’esperienza del vivere, nello stesso tempo il racconto è condotto con ariosa leggerezza espressiva. L’intento dell’autrice è quello di far rivivere la vicenda umana e storica del poeta russo Osip Mandel’stam attraverso parole che vibrano di tutta la simpatia e la consonanza intellettuale che la narratrice ha nei suoi confronti. La vita di Osip e di sua moglie Nadezda Chazina, pur nella sua tragica drammaticità umana, è ricostruita attraverso la luce che nasce dalla fiducia nella vita e nell’arte. Davanti ai nostri occhi scorrono l’incontrarsi e il perdersi dei due giovani innamorati nella Russia sconvolta dalla rivoluzione e dalla guerra civile, la bizzarria e l’anticonformismo di lui, tutto dedito alla sua creatività, l’apparente fragilità di lei, che sa essere forte quando le vicende e le circostanze lo richiedono, fino a che lui morirà in un gulag siberiano e lei, per diversi decenni, continuerà con amore ad esserne la memoria vivente, pur sempre tra difficoltà e diffidenze.
L’elemento determinante di tutta questa vicenda è la poesia, o, meglio ancora, la fiducia nella forza della creatività e la dedizione alla poesia: a tenere insieme tutto, ad illuminare ogni disperazione, a rassicurare ogni paura, è solo e sempre la poesia. La poesia che Osip crea e che Nadezda custodisce nel tempo e consegna al mondo perché continui ad esistere. La poesia diventa così la materializzazione della luce che i due sposi hanno sempre scorto anche nelle vicende più buie della loro vita, una luce che si può percepire nella solitudine, ma anche comunicare agli altri, se se ne ha fiducia, persino nelle circostanze di vita più terribili, quando la dignità stessa non solo del poeta, ma dell’uomo, viene cancellata, annullata. Ecco che allora da questa vicenda la forza della poesia emerge come icona dell’uomo nella percezione della più alta consapevolezza di sé, l’unica che può dare conforto e speranza, tanto che il romanzo di Elisabetta Rasy può essere considerato il riconoscimento della luce della poesia nella mortificazione del vivere, di conseguenza l’esaltazione dell’accettazione della vita anche nelle più laceranti bufere della storia.
Ha ottenuto anche il Premio Basilicata 2005!
Grande romanzo.
Mapi