L’anarchico che insegnava a obbedire

2768_576_imagelargeImmaginatevi la scena.

C’è questo bambino che no, di andare a letto non se ne parla proprio, e il giovane papà hai voglia, a dirgli di obbedire! Solo che il giovane papà è anche il redattore di un quotidiano anarchico. Il giornale è lo svedese “Arbetaren” (Il lavoratore) e il giornalista niente meno che Stig Dagerman.
Chi ancora non lo conosce, colga l’occasione al volo. In Italia le sue opere di narrativa sono quasi tutte fuori commercio e questo volumetto – Perché i bambini devono ubbidire? (Iperborea 2013, pp. 96) – è un ottimo punto di partenza. Contiene racconti, brevi saggi e poesie sul tema dell’infanzia e dell’educazione.
Si comincia con l’autobiografia: un epico ritratto dei nonni che hanno cresciuto il piccolo Stig in campagna al posto dei genitori. Lui, un uomo che gli ha impresso «la gioia del lavoro ben fatto»; lei, una donna che aveva «il coraggio di dimostrare il suo affetto».  E due vite così intense da far impallidire la letteratura.
Poi ci sono i racconti. “A casa della nonna”, pagine da vertigine. Come si descrive il momento in cui un bambino scopre di poter mentire? E scopre di averlo fatto con la persona che più ama? E non sa se potrà tornare indietro? Dagerman ci riesce. La sua scrittura è di una perfezione intollerabile. Nessuno stupore che a consumarlo sia stato una crisi creativa. Lineare e necessario, vocabolario base, costruzioni senza sbavature. Si veda l’altro racconto, “Uccidere un bambino”: l’immensità di una tragedia confinata in un dettaglio banale, una dispensa rimasta senza zucchero.

dagerman-2Sulle sei poesie, solo poche parole. Sono satire sociali, partono da fatti di cronaca (1944-‘50): bambini soldati per il nazismo, bambini assiderati a Roma la notte di Natale, bambini indottrinati dalla propaganda comunista. Se dalla sofferenza dei piccoli si misura la salute di una società, la condanna è senza appello: il Novecento è «l’età d’oro dei bimbi cadaveri».

I brevi saggi affrontano, con una magistrale elasticità stilistica, temi come la conciliazione tra esigenze della vocazione artistica e impegni imposti dalla paternità. O ancora, l’equilibrio tra educazione ideale e libertà necessaria, con l’anarchico Dagerman che si schiera contro coloro che vorrebbero abbattere ogni atteggiamento costrittivo: «La libertà, spesso, è invece una fuga dall’educazione. C’è una tirannia della condiscendenza che non è affatto più innocente di un arrogante dispotismo».

Nemmeno cento pagine, ma gli spunti sono tanti, tantissimi. I frammenti di questo volumetto vanno a comporre un “ritratto dell’artista come bambino” che è al tempo stesso un “ritratto del bambino come artista”, come evidenziano queste righe: «Da bambini si è tutti poeti. Poi in genere ci fanno perdere l’abitudine. L’arte di diventare poeti, tra le varie cose, è non lasciare che la vita, la gente, i soldi ci facciano perdere questa abitudine». Eccola qui, l’anarchia seria di Dagerman, l’anarchia di una vita che non si lascia pre-ordinare da alcun progetto che ne voglia soffocare l’espressione più profonda e intima. Perché la morte dell’artista e la morte del bambino sono in fondo la stessa cosa.

E allora, come si fa? Come si fa a stare insieme? Torniamo al giovane papà e al bambino che non vuole andare a letto. Nelle tre paginette che danno il titolo a questa raccolta c’è davvero tutto il cuore di papà Dagerman. «Vedi – spiega al suo piccolo con delicatezza infinita -, in questo mondo tutti devono ubbidire a tutti perché il mondo non si trasformi in un’unica grande catastrofe». Il pilota dell’aereo obbedisce ai passeggeri. 2768_574_imagelargeLa mamma obbedisce a te quando hai fame. E tu alla mamma. «Così tutti si ubbidiscono a vicenda. Tu ubbidisci agli altri perché gli altri possano ubbidire a te. E adesso è sera, il pilota dell’aereo sparisce tra le nuvole, ubbidiente e veloce. Tu invece vieni via dalla finestra e vai a letto».

UN ASSAGGIO DELL’OPERA
«Il nonno e la nonna, a modo loro, sono gli esseri umani migliori che io abbia mai incontrato. Non erano di quelli che ti scolpiscono con delicatezza, minuzia e precisione. Loro lavoravano d’accetta, sgrezzando, come si lavora un paletto o l’asse di una recinzione. A loro non piacevano né le persone lavorate al traforo né le persone soprammobile. Secondo loro si doveva servire a uno scopo, fosse pure quello di un semplice paletto. Per tutti i loro lunghi giorni avevano sgobbato entrambi come buoi alla catena, intorno, intorno, senza mai fermarsi, perché ne andava della vita. Non si disperavano mai per se stessi, ma disprezzavano la pigrizia come il peggiore dei peccati mortali. Poi venivano la pedanteria, i modi affettati, la meschinità e la superbia. Di difetti ne avevano molti anche loro, ma non li nascondevano mai. Non ne erano capaci e non lo volevano».

Leggi i 2 commenti a questo articolo
  1. Alfonso ha detto:

    Carissimo, a parte il fatto che Stig Dagerman è tra i miei “assoluti”, grazie per averLo ricordato e per aver ricordato importanti passaggi dei Suoi pensieri. Siamo anche noi in un’epoca dalle tante mististificazioni, e ri-leggere Dagerman non può che depurare da tutti gli inquinamenti mentali: per attivare una riflessione autentica su se stessi e sul mondo circostante. En passant: le Sue sì che sono vere “bombecarta”…
    Ciao Alfonso

  2. Paolo Pegoraro ha detto:

    Già! In questo libretto poi ci son dei passaggi che restavo lì, perplesso, a chiedermi se stavo leggendo Dagerman o Saint-Exupery…

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