Non solo all’ombra dello zio Eugenio
Nella primavera del 2003, secondo quanto ci testimonia il nipote Roberto Vignolo, sua zia Claudia Vignolo, unica figlia di Marianna Montale, sorella del poeta, gli esprimeva il suo vivo desiderio che le lettere di sua Madre venissero pubblicate: Ci terrei a vederle pubblicate, per farne conoscere di più e meglio la figura, non solo all’ombra dello zio Eugenio. Un’aspirazione giusta e motivata, che rivela quanto Claudia Vignolo avesse compreso l’autonoma grandezza della figura di sua Madre, rimasta sempre in ombra dietro al più famoso fratello, ma la cui giusta fisionomia merita una riscoperta ed una precisa configurazione.
Per questo si rivela quanto mai opportuna la pubblicazione delle Lettere da casa Montale (1908-1938) (Ancora, Milano 2006, pp. 746, € 30.00), una corposa antologia di missive scritte nell’arco di un trentennio dai diversi componenti della famiglia Montale, tra cui Marianna spicca come vera protagonista di questo epistolario, ricco e ampio, che getta nuova luce sulla sua figura, anche se non la illumina ancora completamente, in quanto non si tratta della pubblicazione dell’intero materiale esistente, in parte tuttora in mano ad eredi. L’opera è curata da Zaira Zuffetti che ha compiuto una scelta tra quanto fornitole, seguendo dapprima un criterio tematico e poi, dopo il 1914, più strettamente cronologico ed intervenendo solo con brevi testi di raccordo e di spiegazione, sobri ed essenziali.
Il carteggio ha un inizio acerbamente letterario, in quanto riporta la corrispondenza che si scambiano due Bimbe (tale è il titolo della Parte prima). Quelle che con termine tipicamente toscano vengono definite bimbe sono Marianna Montale e Ida Zambaldi, che, grazie a quella che allora si chiamava un’”amicizia di penna”, essendosi conosciute e messe in contatto grazie ad un giornalino settimanale che riscuote tutta la loro entusiastica simpatia “La piccola Lettura – Il Collodi”, iniziano a scriversi, scambiandosi notizie ciascuna su di sé, sulla propria famiglia e sui personali interessi letterari. Già da queste prime parole adolescenziali emerge il rigore di Marianna che percepisce questo legame d’amicizia come qualcosa di molto serio, destinato a durare “eternamente”, come afferma nella lettera del 5/10/08 e come sarà nella realtà. È interessante sottolineare come in quegli anni di un secolo fa, due ragazzine della borghesia di due grandi città (Genova e Firenze) basino la loro amicizia su comuni interessi letterari, su consonanze di gusto, su problematiche di vita che sempre più si connotano come esistenziali, spirituali e religiose. In questa fase Marianna inizia a sperimentare le sue doti letterarie, come ci testimonia il componimento Serenità, di cui basta leggere la prima strofa (Mi sento tranquilla, beata / in questa mia stanza diletta, / in questa stanzetta appartata; / e ascolto in silenzio, soletta) per comprendere lo stato d’animo di questa fanciulla, per certi aspetti capace di precorrere di alcuni decenni, pur nella sua semplicità d’espressione, quello di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé (1929). In questa sua stanza diletta, nonché stanzetta, Marianna legge, scrive e riflette, dimostrandosi molto aggiornata in fatto di libri e davvero sicura nelle sue scelte. Dice infatti all’amica: Vedrai che il Pascoli ti piacerà molto sai?[…] Io di questo poeta ho letto: I due fanciulli, Nozze, La quercia caduta, Il cane, Il fiume, La pieve, La chiesa, La sorella, La mia sera. Tutte poesie. “I ricordi di un vecchio scolaro” in prosa. E poi delle altre graziose e commoventi poesie tradotte…Sono traduzioni molto libere, fresche e care quanto mai. Poi interroga l’amica chiedendole: Hai letto “La Madonnina del faggio” di Fogazzaro? E subito si affretta ad aggiungere con sicurezza e determinazione: E’ bella, bella. Poi riprende il discorso, spostando il suo interesse su un altro poeta, il Carducci, chiedendo: E del Carducci? Io due o tre poesie appena. Questa reticenza sembrerebbe nascondere scarso entusiasmo per questo poeta. Poi il discorso si sposta alla narrativa, con un tono che sembra rispondere a domande rivoltele da Ida. Dice infatti: Sì ho letto La capanna dello zio Tom e anch’io ci ho pianto leggendolo. È uno dei più bei libri che abbia letti. Gli altri sono: Incompreso, Cuore, Una nidiata, Omini e donnine, La storia di un piccolo vetraio, Il birichino di Papà, Gemme d’Oriente. Per concludere con un tono quasi perentorio: Ecco i miei preferiti e i tuoi? Così si chiude questa lettera del 28 Novembre 1909, di cui, purtroppo, come per quasi tutto il resto della corrispondenza, non conosciamo le risposte di Ida. Attraverso la lettura e la personale riflessione, Marianna matura le sue scelte produttive e le sue concezioni letterarie. Lo vediamo bene da quanto scrive, sempre all’amica Ida, in una lettera del 18 Settembre 1910: Volevo fare una poesia e la farò. Mi dicono che piacciono più le mie poesie delle mie prose, ma sai perché? Perché io non faccio poesie se non quando mi viene un’idea che mi piace. Ne faccio poche perciò. Io non cerco le idee; scrivo quando mi vengono spontaneamente. Se mi mettessi a cercarle è quando non le troverei. Invece quando non ci penso, mi colpisce un’idea, l’afferro, e quando ho tempo la scrivo. Che Marianna stia riflettendo in questa fase della sua vita sulla poesia fino a maturare un chiaro e alto concetto di quest’attività letteraria, traspare anche da una lettera che indirizza a Minna Cognetti (16 Aprile 1916) in cui dice: Io penso che i poeti non debbano essere solo poeti, perché la vita contemplativa è bella, ma consuma e rode se non ci si frammezza un po’ di vita attiva… Io penso che il poeta non può comandare la poesia, chiamarla e respingerla a sua volontà. La padrona è Lei, io penso, e sarà Lei, la Poesia, a dar l’addio all’uomo se non è degno di servirla, ma se l’uomo è degno, se l’uomo è poeta, la Poesia non ubbidisce, non dà retta alla volontà del suo servo, non lo libera. Se va via davvero non è l’uomo che le ha detto addio, ma [è] la Signora che ha lasciato lui. Da queste premesse di consapevolezza e di riflessione, nonché dall’impegno e dall’entusiasmo per lo studio e la lettura, si sarebbe potuto ipotizzare un futuro di realizzazioni e magari di affermazioni letterarie per Marianna. Purtroppo l’ambiente familiare e le circostanze della vita non glielo permisero. Anche se nella sua grande famiglia riesce sempre più a ritagliare uno spazio per sé, quelli che nella mentalità della borghesia di allora erano i compiti primari ed imprescindibili per una signorina le impediscono di portare avanti, mettendole in primo piano, le sue aspirazioni letterarie. Anche se tra il 1910 e l’’11 Marianna afferma in varie missive la sua gran voglia di studiare e confessa con candore di preferire il leggere e lo scrivere al cucire e soprattutto al rammendare, si capisce che poi nella realtà quotidiana delle sue giornate tanto è stato il tempo che ha dovuto dedicare, contro la sua volontà e la sua natura, agli aghi e ai fili e molto probabilmente ai calzini dei tanti uomini della sua famiglia (il padre e i quattro fratelli) da rammendare quasi sicuramente con l’aiuto dell’antico uovo di legno! Nonostante tutto questo, Marianna riesce, seppure con fatica, a ritagliare per sé i tempi per collaborare alle sue amate rivistine letterarie, si impegna per concludere nel migliore dei modi gli studi da maestra, per dedicarsi poi con zelo alla preparazione per sostenere da privatista la maturità classica e accedere finalmente all’Università, iscrivendosi alla Facoltà di Filosofia. Questa impegnativa fase della sua vita diventa per lei anche occasione di approfondimenti religiosi e teologici che fanno sì che la sua fede maturi e si fortifichi diventando un possesso sicuro per il resto della sua vita. Era, soprattutto a Genova, un momento difficile per la Chiesa a causa della questione modernista e Marianna ha frequentazioni dirette con alcuni dei padri barnabiti protagonisti dei dibattiti su questi temi (Semeria, Trinchero), in quanto frequenta il loro istituto del “Vittorino da Feltre” per avvalersi prima della direzione spirituale e della brillante predicazione, poi anche per completare la sua preparazione sulle lingue classiche in vista dell’esame di maturità. Grazie anche a serie letture in cui si impegna con intelligenza, supera la fede credula ed ingenua acquisita in famiglia, soprattutto per quell’educazione materna da cui poi mentalmente si distanzia, e arriva a riconoscere un valore aggiunto alla nostra fede ogni studio che si compie (luglio 1917). Gli studi universitari di Marianna saranno portati avanti con impegno personale, ma sempre relegati in una posizione secondaria nella sua vita rispetto alla disponibilità per la famiglia e per gli altri, parenti e amici o per chi comunque potesse aver bisogno del suo generoso aiuto. Se il fratello Eugenio era chiuso e riservato (stundaiu con tipica espressione genovese), tanto Marianna era aperta, capace di entrare subito in positiva relazione con gli altri, soprattutto per la sua costante generosa disponibilità. Ad usufruirne sono innanzitutto
i suoi fratelli, per vivere sempre a disposizione dei quali e lasciarsi spazi di attività letteraria, Marianna pensa che il matrimonio non sia per lei la strada giusta; per loro si impegna moltissimo, soprattutto negli anni difficili in cui sono tutti quattro al fronte; poi ci sono le persone amiche, come Claudia Albano, che la coinvolge in alcune iniziative di solidarietà e beneficenza e della cui morte tanto soffrirà insieme ai famigliari desolati, e anche il suo compagno di Università Soleri, non vedente, che, confortato da tanta generosità, matura ingiustificate illusioni. Lei ha questo dono di entrare facilmente nell’animo degli altri, di comprendere i cuori altrui e saper modellare il suo comportamento sulle necessità di chi incontra. Lo afferma chiaramente in una lettera del 22 giugno 1913: Io…penso tanto al mondo interno degli altri, quasi più che al mio e a volte riesco a capire lo stato d’animo di persone tanto diverse da me. E qualche anno più tardi (17 giugno 1916) aggiunge: Uscir di se stessi non vuol dire soltanto compiere i doveri più prossimi, vuol dire simpatizzare con tutti, sentire il dovere di questa simpatia. Ogni anima è unica, questo bisogna pensare. Non si può giudicare dal di fuori secondo norme fisse, ma bisogna entrare, per dono di simpatia, nel sentimento di questa unicità. Da tante situazioni a cui fa riferimento, da tanti particolari che riguardano i suoi rapporti in famiglia e con altre persone, si capisce che questi intendimenti per Marianna si calavano nell’esperienza quotidiana. Questo suo atteggiamento è stato per certi aspetti anche il suo limite, soprattutto in relazione all’attività intellettuale. Tutta presa da questi impegni familiari che diventano sempre di più negli anni in cui i fratelli si fidanzano, si sposano e cominciano a nascere i nipoti, nell’avvicendarsi delle villeggiature a Monterosso, ma anche a Torriglia e a Voltaggio, Marianna non riesce a completare i suoi studi universitari con la discussione della tesi di laurea, a cui lavora con interesse ed impegno, dopo aver sostenuto tutti gli esami, senza però concluderla. E da questa matrice di generosità nasce anche la sua decisione di accettare la proposta di matrimonio di Luigi Vignolo, vedovo della sua cara amica Claudia Albani. È una scelta difficile e combattuta: da una parte c’era per lei la consapevolezza di potersi rendere utile in quella famiglia, dall’altra, i suoi genitori e i fratelli che sentiva avere ancora bisogno del suo aiuto. Ma la vita di Marianna prese poi questo nuovo corso, facendo di lei una signora della buona borghesia, tra Milano e Genova, forte della sua ricca formazione intellettuale e spirituale che la rese capace di adoperarsi con generosità ed intelligenza nel nuovo nucleo familiare, un ambiente complesso e sfaccettato per la presenza di figli grandi, anche già sposati, e ben presto arricchito dalla nascita della figlioletta Claudia, a cui Marianna dedica espressioni di affetto entusiastico in alcune lettere soprattutto alla sua amica di sempre Ida Zambaldi, che ha continuato la sua vita di insegnante e poi di direttrice in solitudine, con le difficoltà del suo carattere introverso e problematico, e l’allontanarsi dalla fede. Nonostante gli impegni della sua nuova famiglia, Marianna continua ad interessarsi dei genitori e dei fratelli e si occupa, insieme al marito, soprattutto della situazione di lavoro di Eugenio, ormai a Firenze, legato a Drusilla Tanzi, la Mosca, l’unica persona nei cui confronti, come possiamo leggere nella lettera del 9 settembre 1930, Marianna non stabilisce un rapporto di simpatia, ma verso cui prova disagio e diffidenza. La vita poi, per pochi anni ancora, si snoda per lei nella normalità familiare, tra traslochi, vacanze, impegni e piccole gioie domestiche nel quotidiano, ormai lontano dagli orizzonti letterari, anche se sempre attenta ad affrontare ogni cosa con quell’avvedutezza e quella capacità di riflessione che le derivavano dalla sua formazione, ricca di cultura e di fede, fino alla malattia e alla morte prematura.
La sua memoria è rimasta limitata per troppo tempo all’ambito dei suoi famigliari, se non per quel poco che era già emerso in relazione alla figura del fratello Eugenio, di cui lei era stata la prima ad intuire le capacità e il valore, pur preoccupandosi per il suo carattere e per l’allontanarsi dalla fede. Ma erano bastate le poche lettere degli anni 1916-17 riprodotte da Franco Contorbia e gli accenni di Laura Barile per capire che si trattava di una figura di grande interesse non solo per ricostruire l’ambiente familiare e di formazione del poeta, ma per avere il ritratto di una persona di grande consapevolezza, capace di aprire squarci di indipendenza e di mettere in discussione il ruolo della donna nella società ancora chiusa della borghesia genovese nei primi decenni del Novecento, pur senza rotture clamorose, ma grazie alla sua capacità di analisi e di riflessione e al suo costante desiderio di arricchimento culturale e spirituale.
La pubblicazione di queste lettere, che ci restituiscono pagine di autenticità ed immediatezza, tutte piene di verità di vita, inizia a renderle giustizia e dà in certo qual modo compimento al suo giovanile desiderio di essere una scrittrice, anche se forse non tratteggiano ancora a pieno la sua figura.
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