Report Lab. O’Connor novembre

I lettori non temono nulla. Neanche il maltempo e la pioggia sferzante.I lettori hanno accettato nuovamente l’invito di BombaCarta e di Feltrinelli Eventi e si sono trovati alla libreria Feltrinelli-Galleria Sordi di Piazza Colonna a Roma anche per l’appuntamento di novembre.

Un incontro ricco, pieno di stimoli, di suggestioni e di rimandi fra i testi che, come sempre, si parlano fra di loro, legati da un filo sottile, ma tenace. Sullo sfondo dei brani scelti dai partecipanti si stagliano il senso dell’attesa, l’immagine del mare e il concetto della morte.

Ecco i testi letti:

Gianrico Carofiglio, Testimone inconsapevole, Sellerio. Due pagine da uno degli scrittori di legal thriller italiano più noti: il racconto di un incontro, l’atmosfera di un dolore non vissuto fino in fondo, di un senso di colpa.

Raymond Carver, Almeno, da Orientarsi con le stelle, Minimum Fax. Una delle poesie dello scrittore americano tanto amato da BC: la descrizione di un desiderio, semplice come i gesti quotidiani eppure denso, ricolmo del valore che quello che gli occhi del poeta vedono tutti i giorni: il cielo, l’oceano, le barche, la tazza del caffè e quel bellissimo finale “… per mettermi in attesa”.

 Marguerite Yourcenar, L’opera al nero, Feltrinelli. Un classico, una pagina dove il grande protagonista del romanzo, Zenone, disserta sui concetti di errore e di menzogna.

Incipit di un romanzo autobiografico di una giornalista svedese (Marsilio Editori) di cui non ricordiamo né nome né titolo. Sono pagine di una scrittura immediata, scarna, ma molto efficace: parole “esatte” con cui la protagonista descrive la scoperta della propria malattia.

 Luigi Pirandello, Quaderno di Serafino Gubbio operatore, Mondadori. È il ricordo, bellissimo, del nonno Carlo e del suo rapporto con la morte che gli ha portato via prematuramente un figlio: “Se la morte si lasciasse afferrare, io la avrei afferrata per un braccio e condotta davanti a quello specchio […], e le avrei detto: Vedi? Vàttene ora! Qua deve restar tutto così com’è!”. 

David Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi, Einaudi. Un brevissimo racconto (che di seguito riporto per intero), che ha scatenato una bella ed animata discussione sulle figure dei protagonisti.

Una storia ridotta all’osso della vita postindustriale

Quando vennero presentati, lui fece una battuta, sperando di piacere. Lei rise a crepapelle, sperando di piacere. Poi se ne tornarono a casa in macchina, ognuno per conto suo, lo sguardo fisso davanti a sé, la stessa identica smorfia sul viso. A quello che li aveva presentati nessuno dei due piaceva troppo, anche se faceva finta di sì, visto che ci teneva tanto a mantenere sempre buoni rapporti con tutti. Sai, non si sa mai, in fondo, o invece sì, o invece sì.

 Honoré de Balzac, Eugénie Grandet, Mondadori. Poche righe che hanno per protagonista lo scalone della dimora dei Grandet: il brano viene letto in due diverse versioni, che evidenziano differenti traduzioni di un aggettivo (in una “sfavillante”, nell’altra “parlante, favellante”). Aggettivo forse curioso per descrivere una scala, ma che rende immediata l’immagine del luogo in cui si muove il capolavoro di Balzac.

 Sándor Márai, La donna giusta, Adelphi. Uno dei punti centrali della denuncia di sofferenza per il tradimento dell’amore coniugale: una moglie racconta il suo dolore, tanto acuto da essere superiore a qualsiasi catastrofe, e il suo risveglio alla realtà, quando prova la strana sensazione di scoprire quanto è sconfinato il mondo.

 Al prossimo incontro!

Leggi il report dell’incontro di novembre. Segui il laboratorio su aNobii .

Leggi i 4 commenti a questo articolo
  1. Andrea Monda ha detto:

    grazie Tiziana, per l’ottimo report. Sto ancora ripensando al testo di Wallace, ambiguo, pieno di trappole.. basterebbe questa frase:
    “anche se faceva finta di sì, visto che ci teneva tanto a mantenere sempre buoni rapporti con tutti”. Mi viene in mente l’incipit del romanzo “Oscar e la dama in rosa” di E.E.Schmitt, che paragona la scrittura alla menzogna, “una cosa da adulti” (mi verrebbe da dire, una cosa da adulteri). Ma scrivere vuol dire sempre mentire?

  2. Federico Cerminara ha detto:

    Andrea, i testi di Wallace sono pieni di trappole del genere. È uno scrittore che merita attenzione, e se ne potrebbe parlare assieme, partendo dagli spunti offerti a Reggio Calabria o da questo articolo di Maurizio, che riprende l’incipit del racconto “Caro vecchio neon”.
    http://bombacarta.com/2007/11/02/df-wallace-la-rincorsa-di-un-“molto-di-piu-di-questo”/
    «Io sono un impostore….»: questo è l’incipit, eppure come dice lo stesso Maurizio, in tutto il racconto si svolge poi una disperata ricerca di autenticità del protagonista, e credo che in generale questo valga anche per gli altri suoi romanzi. Non ti nascondo che si tratta di una delle mie letture preferite.

  3. Maurizio ha detto:

    più che “ambiguo” lo definirei “aperto a diverse possibilità”…

  4. Emanuela Scicchitano ha detto:

    Il testo di Wallace Federico l’ha sottoposto alla nostra lettura in un laboratorio di lettura a Crotone: e ha sollevato anche in quella sede un’animata discussione sulla stringata descrizione di sentimenti così complessi, come quelli che si accendono ad un incontro, e sull’efficacia di una letteratura che è così impietosa ma anche così disperatamente vitale nel sottolineare l’impossibilità di rapporti autentici fra le persone. verrebbe da porsi, o meglio riporsi, la domanda se la letteratura deve “aprire” o “chiudere” possibilità di vita e pensiero ai suoi lettori.

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