San Paolo era un critico letterario?
È appena uscito l’ultimo numero del magazine Paulus, che sforna ogni 30 giorni 80 pagine a colori tutte su Paolo di Tarso. E’ dedicato al tema della bellezza. Oscar Wilde scrisse, nella famosa prefazione a Il ritratto di Dorian Gray: «Non esistono libri morali o libri immorali. Esistono solo libri scritti bene e libri scritti male. Questo è tutto». Dunque estetica e teologia non hanno niente da dirsi? Rispondono Davide Rondoni, Roberto Mussapi e Antonio Spadaro. Altri servizi: san Paolo nella letteratura (V. Arnone), nell’iconografia ortodossa (M. Roccasalva Firenze), nei musical contemporanei (P. Pegoraro).
Ecco l’articolo di Antonio Spadaro e una poesia fattaci avere dagli amici di BombaCarta-Târgu Mures.
Il lettore di un testo letterario non è mai semplicemente il destinatario di un messaggio, quello cioè dello scrittore. Al contrario, è una persona attivamente coinvolta a inoltrarsi in un terreno poco stabile e definito, perché la letteratura, come giustamente ebbe a dire Carlo Bo, tende ad avere la stessa qualità della vita. Leggere non significa innanzitutto “interiorizzare” un testo, quanto piuttosto “interagire” con la pagina. L’atto della lettura è allora come un atto di “discernimento”, nel quale il lettore è implicato in prima persona come soggetto di lettura e, nello stesso tempo, oggetto di ciò che legge. Il lettore, leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà vive l’esperienza di “essere letto” dalle parole che legge. Così il lettore è simile a un giocatore sul campo: egli fa il gioco, ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente preso dalla situazione che vive. È questa anche l’esperienza cristiana della letteratura che, a mio avviso, deve sempre avere come modello di riferimento la lettura della parola di Dio. Per i cristiani, tutte le parole umane vivono un’intrinseca nostalgia di Dio e tendono alla sua Parola. Lo ha scritto anni fa Karl Rahner: «La parola poetica invoca la parola di Dio».
Seguendo questo ragionamento, san Paolo diventa una guida praticamente imprescindibile. Basta ricordare gli Atti degli Apostoli, lì dove si parla della presenza di Paolo all’Areopago (At 17,16-34). In particolare Paolo, parlando di Dio, afferma: «In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: «Poiché di lui stirpe noi siamo». In questo versetto sono presenti due citazioni: una indiretta nella prima parte, dove cita il poeta Epimenide (sec. VI a.C.), che riecheggia la triade platonica di vita-movimento-essere; e una diretta, dove cita i Fenomeni del poeta Arato di Soli (sec. III a.C.), che canta le costellazioni e i segni del buono e cattivo tempo. Paolo, insomma, qui si rivela radicalmente “lettore” di poesia e lascia intuire il suo modo si accostarsi al testo letterario. Egli viene definito dagli ateniesi spermológos, cioè «cornacchia, chiacchierone, ciarlatano»… un vocabolo che però, alla lettera, significa «raccoglitore di semi». Quella che era certamente un’ingiuria sembra, paradossalmente, una verità profonda. Paolo, interagendo con quella manciata di versi letti chissà dove e chissà come, raccoglie i semi della poesia pagana e, uscendo da un precedente atteggiamento di profonda indignazione (At 17,16), giunge a riconoscere gli ateniesi come «religiosissimi» e vede in quelle pagine una vera e propria preparatio evangelica.
Si potrebbe dire allora che la parola veramente poetica partecipa analogicamente della parola di Dio, così come ce la presenta in maniera dirompente la Lettera agli Ebrei (4,12-13), probabilmente di un collaboratore di Paolo. Così dunque la parola poetica autentica «è vivente [zón: è viva, brulicante; è – come affermò lo scrittore statunitense H. D. Thoreau – così vera e forte da schiudersi come gemma a primavera] ed energica [energhés: non è “atto”, ma “potenza”, energia] e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetrante fino a dividere anima e spirito, articolazioni [cioè la spina dorsale] e midollo; capace di discernere [kriticós: la parola poetica è il vero “critico”! Se la parola è poetica essa stessa ha una funzione critica nei confronti della mia vita] sentimenti e pensieri. Non c’è creatura invisibile [aphanés: la parola poetica vede il mondo, vede tutto, non oscura, ma illumina anche il dettaglio più apparentemente trascurabile; il suo sguardo è aperto] davanti ad essa, ma tutto è nudo e vulnerabile ai suoi occhi». È tutta qui la capacità di penetrazione di un testo che muove la persona a un coinvolgimento pieno.
Come, allora, non avvertire in sintonia con la parola creativa della poesia la parafrasi di Baldovino di Canterbury (sec. XII): «Quando parla questa parola, le sue parole trapassano il cuore, come gli acuti dardi scagliati da un eroe. Entrano in profondità come chiodi battuti con forza e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità segrete dell’anima». Del resto, Kafka, in una sua lettera all’amico Oscar Pollak, aveva scritto: «Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia con un pugno in testa, perché mai lo leggiamo? […] un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
Antonio Spadaro
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Una poesia di Dan Damaschin
“La conversione di san Paolo” del Parmigianino
(traduzione di Veronica Buta)
La strada per Betlemme. La strada per Gerusalemme (quella che porta
alla Settimana Santa). La strada per il Golgota.
La strada per Emmaus. Ognuna di queste, una via per Dio.
Strade lungo le quali, coloro che cercano
o accompagnano Gesù, raggiungono una nuova identità:
quanti alla fine arrivano, non sono più gli stessi
che hanno cominciato il percorso.
Lo stesso con lui, sulla strada per Damasco,
col persecutore “pieno di zelo” di Cristo e dei discepoli.
Eccolo, ora, rovesciato dall’inquieto stallone
(bruscamente finita la sua impetuosità guerresca, minacciosa).
Vediamo la sua palma destra poggiarsi sulla terra
dei sanguinosi peccati cui ha preso parte o consentito;
l’altra mano è levata in segno di capitolazione
davanti all’invisibile che gli parla
e verso il quale volge occhi puniti dalla
luce accecante della Verità, di Colui che ha voluto
che invece di Saulo di Tarso
giungesse alla città di Damasco
colui che si chiamerà Paolo, l’apostolo.
Hai capito a Baldovino? un genio, un poeta epico… voglio sapere tutto di questo mitico inglese (tanto per cambiare), grazie Antonio!
“Acqua, fuoco, fuochino
c’era una volta il re Baldovino…
che aveva un giardino
vicino a Pechino:
un giardino pieno di fiori
pieno di piante di tutti i colori
e tutti gli alberi eran pieni di frutti
ma c’era un melo più bello di tutti
perchè i suoi frutti erano d’oro
e ogni mela valeva un tesoro:
erano pomi di oro zecchino
i frutti dell’albero di quel giardino
di re Baldovino, vicino a Pechino…
Aiuto, soccorso, son disperato!
Un ladro stanotte, m’ha derubato
manca una mela nel mio giardino
era una mela d’oro zecchino!…
Il re Baldovino aveva un fratello
molto più giovane, molto più bello
e siccome era biondo
lo chiamavan Biondello.
E Biondello aveva un cavallo
metà rosso, metà giallo:
mossi a pietà di re Baldovino
decisero di passare la notte in giardino
nascosti fra le piante
per cogliere il ladro in flagrante.
Era scoccata da poco la mezzanotte,
quando il cielo si illumina di uno stra-
no bagliore e come un razzo appare
l’uccello di fuoco che si precipita sul-
l’albero dalle mele d’oro, ne coglie una
col becco e poi veloce vola via…
Non perde tempo il nostro Biondello:
monta a cavallo per seguire l’uccello
Acqua, fuoco, brucia,scotta
Biondello si trova in fondo a una grotta
e, come portato dal vento,
con grande spavento
appare il Mago Barbadargento…
Egli spiega che proprio perchè è brut-
to non ha il coraggio di chieder la ma-
no della principessa Vanessa, sua maga
rivale e bella come il sole!
Se Biondello col suo fascino riuscirà
nell’intento, gli darà in compenso l’uc-
cello di fuoco;…
Ogni animale ha ripreso il suo aspetto
e Barbadargeno conduce nel letto
la sposa amata,
da Biondello conquistata!
Ma l’indomani al canto del gallo
trova nel letto un gentile cavallo
l’incantesimo ha fatto il suo effetto
e Barbadargento s’accascia sul letto!
Così Barbadargento senza l’uccello di
fuoco, non più circondato da strani
animali, abbandonato anche dal cavallo
che ormai sta trottando per raggiun-
gere il suo padrone, si rassegna a vive-
re da solo nella grotta e a lasciare che la
natura segua il suo corso senza inter-
venti soprannaturali.
Acqua, acqua, fuoco, fuoco
è finito il tuo gioco
l’hai capito a poco a poco.
La lezione l’ho capita
ho deciso: cambio vita
sarò un ottimo eremita!…
Siamo al finale: ecco il giardino
del re Baldovino vicino a Pechino
come in un quadro son tutti in posa:
a sinistra Biondello con la sua sposa
in mezzo coi pomi seduto sta il re
e sopra l’albero guarda chi c’è!
C’è il nostro amico, l’uccello di fuoco
e fra le sue piume, arrivato da poco
fra i fiori e le foglie di quel giardino
anche il cavallo fa capolino
e tutti i salmi finiscono in gloria
e qui finisce la nostra storia…
Acqua, acqua, fuoco, fuoco
era la storia dell’uccello di fuoco
anche per noi è stato un bel giuoco
ma come ogni bel giuoco
è durata un po’ poco”.
Da: “L’uccello di fuoco” di Emanuele Luzzati