Il sogno e l’incubo: Martin Luther King
C’è un’immagine che attraversa l’intera storia americana e che si è caricata negli anni della forza inarrestabile del simbolo. A coniarla, parafrasando l’evangelista Matteo (5,14), fu nel 1630 il leader puritano John Winthrop, appena sbarcato in America: “Noi saremo come una città sulla collina. Gli occhi di tutte le genti saranno su di noi”. C’è nella formula di Winthrop una sintesi perfetta degli ingredienti che si fonderanno nella retorica nazionale Usa: un mito di fondazione, una viva profezia, il senso della missione che avrebbe innervato il destino del Paese, la certezza della grazia operante nella storia, ma anche di un primato che sfocerà nelle teorizzazioni dell’eccezionalismo americano.
Significativamente Paolo Naso, docente di Scienza politica all’Università La Sapienza di Roma, ricorre a questa immagine per indagare l’intreccio tra la tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. L’intero protestantesimo americano – mostra infatti Naso – ha fatto continuamente ricorso alla visione della “città sulla collina”, fino a farne una potente auto-rappresentazione dell’America stessa. E’ in questa tradizione teologica che affonda la radice del pensiero e dell’azione di Martin Luther King, e di quella straordinaria stagione di lotta per i diritti civili che trovò nel pastore battista una delle sua anime più alte. Una stagione che fu coronata da una serie di successi – come la grande marcia di Washington del 1963 – per poi essere spezzata drammaticamente dall’omicidio dello stesso King nel 1968. Una storia e un’esperienza che non possono essere comprese pienamente se non collocandole in un orizzonte preciso: quello che lo storico R. Laurence Moore ha chiamato “l’intreccio tra sacro e profano” che costituisce l’unicità della storia americana.
Ma quanto è profonda questa radice? Con un attento lavoro esegetico, Naso mostra come la vicenda di Martin Luther King non sia stata una “fiammata” improvvisa ma il risultato di una “semina antica” che, veicolata dalle chiese nere, si nutriva di due grandi tradizioni. Il puritanesimo come si è visto da una parte, il costituzionalismo dall’altra che codificò una potente novità del pensiero politico americano: la ricerca della felicità come un diritto dell’uomo costituzionalmente sancito. Su questo sfondo, teologico e politico assieme, King innervò la lezione della non violenza. Qui Naso sgombra il campo da possibili equivici. Il “gandhismo” adottato dal movimento per i diritti civili fu un mezzo e un fine? In realtà quella di Martin Luther King, come scrive Naso, fu “un’adesione pragmatica e non filosofica alla non violenza gandhiana”, e lo stesso King “fu sempre molto attento a collocare il suo gandhismo in una prospettiva specificatamente cristologica”.
Il percorso di avvicinamento e poi l’intima adesione alla non violenza gandhiana da sola non riesce a contenere tutta la personalità di Martin Luther King, né riesce a dare conto dei diversi percorsi seguiti dalla sua azione. Anzi esiste il rischio che la figura del pastore battista venga schiacciata, come nota Naso, “su una icona semplificata della non violenza”. Uno strumento utile per cogliere la complessità della sua figura è nel libro corale, curato ancora da Naso, Il sogno e la storia. Il pensiero e l’attualità di Martin Luther King. “Proprio la ricchezza – avverte Naso – della sua azione pastorale e politica merita un giudizio meno convenzionale e più articolato, attento in particolare all’evoluzione della sua analisi della società americana, delle sue contraddizioni e del suo ruolo nel contesto internazionale”.
Negli ultimi anni della sua vita, King radicalizzò e non poco le sue posizioni, tanto che su alcuni punti si assottigliò – fino a farsi trasparente – la distanza dal suo principale avversario ideologico nell’ambito della comunità nera: Malcom X. Cosa avvenne? Cosa spinse il già premio Nobel a lanciarsi in territori che fino ad allora aveva preferito solo sfiorare? L’evento che scardinò molte certezze (e che gli alienò la simpatia di molti liberal bianchi) fu la guerra del Vietnam. King – come mostra Il sogno e la storia – saldò la questione razziale a quella del censo e a quella “internazionalista”. Era la “sporca guerra” una guerra combattuta dai neri più che dai bianchi, dai poveri più che dai ricchi. Una guerra che pretendeva di portare la libertà alle popolazioni asiatiche nel momento stesso in cui la negava ai soldati – neri e poveri – che quella libertà avrebbero dovuto impiantare, a costo della vita. Fu un terremoto. Che portò King, scrive Naso, a rifuggere “da ogni lettura provvidenzialistica e missionaria della politica estera americana, collocandola invece nel contesto assolutamente profano di una lotta per il potere economico e politico“.
Il vocabolario di King si arricchì di parole che prima gli erano estranee: rivoluzione nera, potere, economia. Non bastava più cambiare il cuore degli uomini, era necessario cambiare la struttura profonda della società americana. Non bastava più restituire dignità ai neri, era necessario dare loro il potere. Ancora più profondo fu l’attacco al cuore della retorica americana – quel sistema di promozione del singolo e di occultamento delle condizioni sociali nei quali il singolo è immerso, che va sotto il nome di sogno americano. Il sogno della piena integrazione razziale era per Martin Luther King tutto interno al sogno americano, da questo traeva la sua potenza e la sua forza immaginifica, un sogno scritto dalla e dentro la Dichiarazione d’Indipendenza, inciso nella carta costituzionale, un sogno insomma prescritto dal cuore stesso dell’identità americana. Già nel 1961 per King quel sogno si rivelava essere – come scrive Bruno Cartosio – “un sogno incompiuto”. Nel 1963 il sogno si era “trasformato in un incubo”, crollato dinanzi ad una società spaccata in due segmenti, incomunicabili e inconciliabili.
Paolo Naso, Come una città sulla collina. La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli Usa, Claudiana.
Il sogno e la storia. Il pensiero e l’attualità di Martin Luther King (a cura di Paolo Naso), Claudiana.
Ma allora mi chiedo se Luther King nella parte finale del suo percorso politico si allontana definitivamente dalla visione del mondo espressa dalla formula di Winthrope o la reintepreta in modo totalmente radicale?
Martin luther king è stato un grande è riuscito a toccare il cuore anke degli individui cn un anima di pietra.Cmq datemi un consiglio devo uscire cn il raga ke mi è sempre piaciuto anke se mi ha già mollato una volta ke dv fare?
do una risposta alla domanda di kekka secondo me si ci devi uscire
Kekka sono io alessio ti volevo dire ke ti amo e ke qnd ti ho mollato mi ero inkazzato perkè nn ti eri voluta fare l’uscita
Dora, butta la pasta che sto arrivando, col commercialista tutto ok