I teoremi d’Euclide e l’elisir di eterna giovinezza
Era il 1931 quando il matematico italiano Vito Volterra scriveva in calce ad una cartolina che lo raffigurava: “Muoiono gl’imperi, ma i teoremi d’Euclide conservano eterna giovinezza”.
Il riferimento era all’Italia e alle vicende della nostra nazione nel periodo del fascismo di Mussolini.
Per qualcuno, probabilmente solo per gli addetti ai lavori, Vito Volterra è un nome noto. Per molti altri può diventare una piacevole conoscenza, una lettura estiva, a metà fra la biografia, la storia e la saggistica. Vito Volterra. Storia di un matematico straordinario, di Judith R. Goodstein è da poco uscito nella collana dei Saggi della Zanichelli: un percorso che si articola attraverso documenti d’archivio e che disegna nei particolari sì un’esistenza straordinaria, ma anche un’epoca davvero eccezionale per il nostro paese. E non solo.
Vito Volterra, nasce ad Ancona nel 1860 e muore a Roma nel 1940. Una vita lunga, segnata da una grande passione, quella per la matematica, e da un indiscusso “genio” che gli vale notevoli riconoscimenti da parte del mondo scientifico ed intellettuale. Un uomo che prima di compiere vent’anni è già un riferimento per i colleghi matematici. Origini ebree, presidente dell’Accademia dei Lincei, fondatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Volterra non fu soltanto il professore universitario votato alla disciplina dei numeri.
Un animo da combattente, uno di quegli spiriti che non si chiude in se stesso, ma che si apre ai mondi possibili, politica compresa se questa è strumento prezioso per raggiungere traguardi importanti. Pilastro della comunità scientifica italiana, nel primo decennio del XX secolo approda in America. Cicli di conferenze e visite alle principali università d’oltreoceano gli rivelano la forza di un paese in via di formazione, dove convergono razze diverse, con caratteristiche diverse che nutrono e contribuiscono alla crescita di un nucleo prosperoso, straordinario ed indescrivibile.
Che cosa rende straordinaria una vita, che cosa la catapulta fuori dall’ordinario, dal quotidiano, dal solito?
Uno sguardo non convenzionale, un approccio altro, una semplicità che invece di concentrare, amplifica.
In Vito Volterra lo “straordinario” è la capacità di applicare la matematica ad altre discipline, rendendola utile e utilizzabile nella quotidianità. Non più l’astrattismo dei numeri, ma il pragmatismo della misurabilità dei fenomeni, in economia, in biologia, in medicina, in fisica.
È qui l’eterna giovinezza della matematica e dell’operato di Vito Volterra: “Il passaggio di una scienza dall’epoca che dirò prematematica a quella in cui essa tende a divenire matematica, resta caratterizzato da ciò: che gli elementi, che essa studia, vengono esaminati in modo quantitativo anziché qualitativo; onde in questa transizione le definizioni che richiamano soltanto alla mente l’idea degli elementi stessi con una immagine più o meno vaga, cedono man mano il posto a quelle definizioni o a quei principi che li determinano, offrendo invece il modo di misurarli“.
E questa capacità altro non è che lo sguardo “d’artista” sul mondo. Ovvero l’altro punto di vista con cui andare incontro alle cose, all’universo, al loro stesso modo di esistere.
Con questo spirito, ad esempio, guardò al futuro dei giovani, alla loro formazione. Nel 1905 pronunciò il suo primo discorso al Senato italiano, quando un comitato senatoriale promulgò un nuovo disegno di legge per la fusione fra il Regio Museo Industriale e la Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri per formare il Regio Politecnico di Torino: il programma curricolare italiano, secondo Volterra, privilegiava gli studi teorici a scapito delle materie applicative. Arrivò a criticare la matematica affermando che l’eccesso di studi matematici e teorici assorbiva tempo prezioso e cominciò a propugnare, sulla spinta dell’esempio contemporaneo tedesco, la necessità di introdurre corsi con pratica in laboratori dotati di macchinari funzionanti.
È così che un matematico è anche un artista. È straordinario che a quattordici anni si immergesse nella lettura del “Calcolo differenziale” di Bertrand e che a tredici, dopo aver letto Verne, cercasse di risolvere il problema della traiettoria di un proiettile nei campi gravitazionali combinati della terra e della luna?
Probabilmente sì, così come straordinaria è la nobiltà del carattere con cui non si piegò alle leggi razziali emanate negli anni ’30.
A noi, che semplicemente leggiamo questa vita, viene un potere altrettanto straordinario: uscire dal nostro per immergerci in un altro mondo e assaporare il gusto della modernità che, senza l’ausilio di dimostrazioni matematiche, non ha tempo. Proprio come gli eterni teoremi d’Euclide.
Intanto la matematica non è un sistema di pensiero, il quale per definizione implica che ci sono elementi della realtà che sono esclusi e non appartengono a quel sistema. È per questo che nessun sistema di pensiero può esaurire, chiarendola, una realtà che è totale. Teoria, poi, non indica un sistema di pensiero, ma solo la consequenzialità logica di elementi che da un’analisi conducono a una sintesi. La matematica una sintesi produce, ma come accade per tutte le realtà divise (analisi e sintesi costituiscono una divisione) non ha tutti gli strumenti per convertire in formule l’esistenza tutta, sia essa formale che informale. La Geometria, quella Euclidea compresa, non solo non può essere eterna, dal momento che è caratterizzata dall’estensione che eterna non può essere, come non può esserlo la durata, ma deve limitarsi a essere conseguenza dei princìpi universali che legiferano la realtà, e che non sono sottomessi né all’estensione e neppura alla durata, essendo sovratemporali. Il punto senza dimensione e l’istante privo di durata sono i testimoni di ciò che ho appena scritto e da essi prende forma l’esistente. Dio è superiore all’esistenza anche se, ovviamente, dal punto di vista umano è considerabile come fosse il Centro di ogni realtà, quella dell’uomo inclusa, ma da una visuale spirituale è la realtà che è contenuta in Dio.
La matematica si è appropriata di concetti gravemente errati, che la spinge a parlare di sistemi infiniti, quando è ovvio che se più infiniti coesistessero si limiterebbero vicendevolmente contraddicendosi, mentre l’Unico che tutto comprende esclude ogni contraddizione o paradosso. Matematica che definisce lo zero un numero, mentre con evidenza è la negazione del numero e serve solo a determinare l’inversione dei poli e la ciclica risalita o discesa su piani diversi e consequenziali. Matematica che confonde l’Infinito con l’indefinibile, e indefinito è un orizzonte che non si riesce a raggiungere, non un Infinito che è al Centro di tutto, lo stesso tutto con una Centralità che ci avvolge e ama. Per queste e altre ragioni che esigerebbero un testo pesante per essere enumerate, io dico che lo scritto che sto commentando è pieno di contraddizioni gravi, le quali denunciano incomprensione profonda e pericolosa proprio perché ha sembianze credibili, ma non rispettose né della logica né, tantopiù, dei principi universali ai quali la manifestazione della realtà è sottomessa. Principi che sono le prime emanazioni, ai primi gradi di relatività, del Principio unico che chiamiamo Dio.
La giovinezza è l’altra faccia della vecchiaia ed è, per questo, relativa. Dire “eterna giovinezza” sottomette l’Eterno al tempo, rendendolo un attributo. Mi meraviglia che dei religiosi non se ne siano ancora accorti.
Sogni (05/07/2009 h.11.54)
Stavo in una stanza tipo biblioteca. La radio accesa. Una signora tipo utente seduta ad un tavolo, davanti a me che lavoravo su di un libro.In contemporanea c’è un evento in luogo aperto come a Woodstock nel 1969, una riunione con tanti giovani all’aperto.
Te parli al microfono: hanno attaccato il tuo sito di bombacarta e ti stai difendendo con i media.Alla radio ci sei te che parli…