Jan Twardowski e la fretta di amare
(il presente articolo è uscito il 12 ottobre su Roma7)
Nel suo recente viaggio nella Repubblica Ceca il Papa ha affermato che: “Buono ed onesto è colui che non copre con il suo “io” la luce di Dio, non mette davanti se stesso, ma lascia trasparire Dio”. Le parole di Benedetto XVI vengono subito in mente al termine della lettura delle sessanta poesie di Jan Twardowski raccolte nel volume Affrettiamoci ad amare che finalmente permetto al pubblico italiano di conoscere un altro grande esponente della poesia polacca, all’altezza di Herbet e dei premi Nobel Milosz e Szymborska.
Il carattere più immediato che risalta prepotente da questi versi sobri e scarni è la “trasparenza”, che è anche il titolo di un componimento in cui il poeta, scomparso nel 2006 a 91 anni, chiede a Dio: “Concedimi Signore di non fare schermo/ di essere anche mediocre purché trasparente”. Questa virtù viene richiesta anche per permette a Dio di vedere il mondo: “perché attraverso me Tu veda l’anatra dal naso piatto/ la rapunzia gialla che fiorisce di sera/ i petali del papavero sempre quattro dacchè il mondo è mondo/ la penna che scrive storto se la mano piange/ il male a cui si accompagna un dolore innocente/ la strada che in fondo è sempre troppo breve” e qui emerge la cifra creaturale e sacramentale della poesia del poeta polacco che ricorda autori come Hopkins, Whitman o Chesterton. La possibilità di permette a Dio di vedere il mondo funziona ovviamente nei due sensi, anzi è finalizzata per l’esito opposto, “perché alla fine si veda Te soltanto”. Il poeta è quindi un filtro trasparente, un mediatore che si pone in mezzo e mette in contatto, nella chiarezza più assoluta, il mondo e Dio. Non stupisce allora scoprire nelle note biografiche che Twardowski è anche sacerdote, che confessa in Chiarimento (altra poesia che insiste sullo stesso motivo): “credo a Dio come un bambino”. Confessione illuminante: queste poesie hanno una “spudorata bellezza”, come osserva Davide Rondoni nelle note di copertina, sono cioè di un’apparente semplicità disarmante, che inducono spesso al riso e insieme alla commozione più profonda, come se non ci fosse un poeta anziano e raffinato a scrivere ma un bambino curioso e spiazzante a confidarti i suoi pensieri fatti più di immagini e colori che di elucubrazioni. Poesie colorate e animate, che vedono spesso gli animali protagonisti (l’umile formica, l’operosa ape), queste liriche di Twardowski ricreano nel lettore un tessuto di fiducia elementare nella vita, una speranza che il mondo può riscattarsi e vivere “altrimenti”, con quel pizzico di umiltà che ribalta anche le situazioni più cupe perché da una parte “credere vuol dire non chiedere nemmeno/ per quanto ancora dobbiamo ancora andare al buio” così come è pienamente condivisibile l’auspicio che il poeta fa a se stesso, di sapere “che persino il più grande santo è trasportato/ come un fuscello dalla formica della fede”. Ecco allora che trasparenza si può tradurre più esattamente con un parola che forse ha qualcosa a che fare con la poesia: santità.
Affrettiamoci ad amare – di Jan Twardowski, edito da Marietti, pp. 121, 14 euro.
Jan Twardowski
“Giovanni Paolo II, che fu suo amico, e che definì la poesia «una grande signora» da servire.
Affrettiamoci ad amare (Marietti 1820), va salutato come l’opportunità di scoprire una voce poetica colloquiale e dirompente. Twardowski infatti smentì gli ironici versi di Janusz Pasierb, altro sacerdote poeta polacco, che riprendevano la frase di Wojtyla: «è una grande signora la poesia / e capita di rado in sacrestia». Divenne proprio lui, un sacerdote, il poeta più popolare in Polonia, il più letto, citato e amato.”
Tratto da
IL CASO
Jan Twardowski, versi dal silenzio
Avvenire.it
Cultura 7 Ottobre 2009
è un grande poeta,che presenterò con la mia collaboratrice Maria Rosa Trivellato, a radio Oreb nella trasmissione “Lo scaffale della poesia”, in cui parliamo dei grandi poeti contemporanei. Ancora una volta ho capito come la cultura in Italia sia prevenuta nei confronti dei cattolici poichè non dà lo stesso spazio a poeti come Rebora e Turoldo di quanto ne dà ad altri. Maria Carolina Colla Pellizzari
L’ho letto in mezz’ora.alla fine di ogni poesia mi fermavo col petto abitato da qualcosa di grande e solo una frase mi usciva: Che potenza!