Nel nome dei padri (e dei figli)

002Basterebbe la dedica – “Ai genitori che lottano, ai figli che vincono” – per affermare che questo è il romanzo giusto per una stagione in cui di famiglia si parla a proposito e sproposito. Ma è ben di più. Maurizio Cotrona scrive con passione carnale, guidato dalla necessità di agguantare la vita, metabolizzarla, restituircela intensificata.
Anno Domini 2021, futuro prossimo venturo. Giacomo Alfieri e la moglie Anna rientrano a casa con il nuovo nato, sventuratamente chiamato Primo nonostante sia il secondogenito. A casa li aspetta Luca, 8 anni, che la fa ancora nelle mutandine. C’è già un’intera spettrografia familiare in queste righe, eppure Primo (Gallucci, pp.183, € 16) sorprende a ogni pagina con le improvvise virate narrative. Con le impennate, gli arresti, gli smarrimenti e i nuovi tuffi degli affetti in un nucleo minuscolo ma inarrestabile come il mondo.

Gli anelli forti della catena s’incrinano di schianto, quelli deboli sfoderano una resistenza insospettata. Si possono odiare i propri bambini, dopo averli amati? E ritornare ad amarli? E i propri genitori? E come? Cosa si agita nei cuori dei bambini? Dei padri? Delle madri? Eccoli qui – tata compresa, figura chiave nelle giovani famiglie – raccontati attraverso gesti che sgretolano gli slogan, intimidiscono e commuovono. Cotrona – che, dettaglio non ininfluente, di tre figli è padre – possiede uno sguardo attento ma mai chirurgico, implacabilmente umano, violentemente poetico. Un romanzo sulla famiglia? Sì. Ma anche su una misericordia necessaria per vivere, quella che nessuno può concedersi da solo.003b
Morale della favola: niente risposte preconfezionate, nessun happy end né nichilismo un tanto al chilo. Ma una grazia sanguinante, a caro prezzo, carissimo… al punto da farci chiedere: “Ne valeva la pena?”. Ma è la sola domanda capace di restituirci il valore delle cose.

* Un assaggio del romanzo *

Marialaura gli viene incontro portando Primo in braccio, hanno entrambi un bel rossore sul viso: «Ha mangiato tutto tutto, ha dormito e l’ho cambiato appena ora. È pronto per il suo papà». Giacomo contempla le mani di Primo protese alla ricerca di un abbraccio. «Mi lasci qualche secondo per darmi una sciacquata». Equilibrio, ponderazione degli umori. «Paaapi! Vieni a fare il subacqueo qui sotto con me?» Luca arriva di corsa coperto da un lenzuolo decorato a tema marino, fare le immersioni sotto una tovaglia o un lenzuolo è un gioco che hanno fatto assieme da quando ha memoria. La sua faccia fa capolino sopra l’azzurro e anche lui ha un bel rossore. «Dài, vieni!» «Mettilo via, non è un giocattolo». Fermezza. Giacomo lo raggiunge con tre passi lunghi e gli strappa il lenzuolo di dosso. «Ora bisogna lavarlo, stirarlo e rimetterlo a posto. Tu non impari mai». Luca resta snudato in mezzo alla stanza sotto gli occhi attenti di Primo. Si mette seduto, attorciglia le gambe ai pioli della sedia e cerca di inghiottire un vermetto di saliva che gli sta salendo in gola. «Finalmente posso stringere il mio bambino». Rientrato dal bagno, Giacomo si fa consegnare il figlio tra le mani. Per non pungerlo lo accarezza sotto il mento con le palpebre e gli zigomi, ma adesso a Primo non importa più. Fa un suono interrogativo e si sporge verso il corpo di suo fratello che, accovacciato su se stesso, perde acqua dagli occhi. Quando allunga un pugno e distende un dito tremolante nella direzione di Luca, Giacomo festeggia cominciando a saltellare al ritmo di un “Bra-vo, bra-vo”, che intona per esaltare l’impresa del suo secondogenito.

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