OpenLab virtuale – pt. 3 e 4: Pascoli e Beaulieu
Prosegue l’OpenLab nella sua versione virtuale, adatta al momento che stiamo vivendo e sperimentazione di un “modello” per la condivisione e il commento di un testo a distanza.
Greta: Il focolare, in Primi poemetti (Giovanni Pascoli)
“È notte. Un lampo ad or ad or s’effonde,e rivela in un gran soffio di neve,gente che va nè dove sa nè donde.Vanno. Via via l’immensa ombra li beve.E quale è solo e quale tien per manoun altro sè dal calpestìo più breve.E chi gira per terra l’occhio vano,e chi lo volge al dubbio d’una voce,e chi l’inalza verso il ciel lontano,e chi piange, e chi va muto e feroce.Piangono i più. Passano loro gridainascoltate: niuno sa ch’è pieno,intorno a lui, d’altro dolor che grida.
Ma vede ognuno, al guizzo d’un baleno,una capanna sola nel deserto;e dice ognuno nel suo cuore: Almenoriposerò! Dal vagolare incertovolgono a quella sotto l’aer bruno.Eccoli tutti avanti l’uscio apertodella capanna, ove non è nessuno.Sono ignoti tra loro, essi, venutidai quattro venti al tacito abituro:a uno a uno penetrano muti.Qui non fa così freddo e così scuro!dicono tra un sospiro ed un singulto;e si assidono mesti intorno al muro.E dietro il muro palpita il tumultodi tutto il cielo, sempre più sonoro:gemono al buio, l’uno all’altro occulto;tremano… Un focolare è in mezzo a loro.Un lampo svela ad or ad or la gentemesta, seduta, con le braccia in croce,al focolare in cui non è nïente.Tremano: in tanto il bàttito velocesente l’un cuor dell’altro. Ognuno al fianco trova un orecchio, trova anche una voce;e il roseo bimbo è presso il vecchio bianco,e la pia donna all’uomo: allo stranieroomero ognuno affida il capo stanco,povero capo stanco di mistero.Ed ecco parla il buon novellatore,e la sua fola pendula scintilla,come un’accesa lampada, lunghe oresopra i lor capi. Ed ecco ogni pupillascopre nel vano focolare il fioco fioco riverberìo d’una favilla.Intorno al vano focolare a pocoa poco niuno trema più nè gemepiù: sono al caldo; e non li scalda il fuoco,ma quel loro soave essere insieme.Sporgono alcuni, con in cuor la calma,le mani al fuoco: in gesto di preghierasembrano tese l’una e l’altra palma.I giovinetti con letizia intierasiedon del vano focolare al canto,a quella fiamma tiepida e non vera.Le madri, delle mani una soltantotendono: l’altra è lì, sopra una testa bionda. C’è dolce ancora un po’ di pianto,nella capanna ch’urta la tempesta.Oh! dolce è l’ombra del comun destino,al focolare spento. Esce dal tettoalcuno e va per suo strano cammino;e la tempesta rompe aspro col pettomaledicendo; e qualche sua parolagiunge a quel mondo placido e soletto,che veglia insieme; e il nero tempo volasu le loro soavi anime assortenel lungo sogno d’una lenta fola;mentre all’intorno mormora la morte.”
Marta
A colpirmi, di questo testo, è l’antitesi che si crea tra la prima e la seconda parte.Infatti le prime strofe sono caratterizzate da incertezza e soprattutto da solitudine. Nella seconda parte questa incertezza sembra scomparire e, come già ha detto Greta, ognuno si accorge dell’altro.Lo sciogliersi di questa solitudine, secondo me, è rappresentato dalla frase: “Ognuno al fuoco trova un orecchio, trova anche una voce”. Ognuno si riconosce nell’altro non solo nel raccontarsi ma anche nell’ascoltare l’altro che si racconta.Mi ha colpito molto anche l’immagine della morte che “mormora”, piuttosto che urlare e soprattutto il fatto che sia “intorno” e non in mezzo ai protagonisti di questa “storia” come se ci fosse una bolla a circondarli e la morte non potesse raggiungerli o al contrario come se stesse per incombere su di loro.
Tiziana
Cecilia
Nicoletta
A differenza di Greta, non mi emozionano le poesie troppo narrative, e questa è, appunto, un po’ troppo “evidente” per i miei (malatissimi) gusti. Trovo anche che, nonostante la lunghezza del testo, il passaggio dall’ombra iniziale all’ombra epifanica finale sia essenzialmente brusco, e lo trovo, personalmente, poco coinvolgente. Mi piace, però, il fatto che la poesia non suggerisca un passaggio da ombra a luce, ma da ombra negativa (l’immensa ombra li beve) a ombra positiva (dolce è l’ombra del comun destino).
Ginevra: Alors voilà: les 1001 vies des urgences (Baptiste Beaulieu)
Faccio una piccola premessa al testo che state per leggere. Purtroppo una versione italiana non esiste, ma il brano mi piaceva troppo per non proporlo, quindi mi sono ingegnata e ho provato a tradurlo io, quindi scusate se magari stilisticamente non risulterà “piacevole” come avrebbe potuto esserlo se tradotto da un traduttore professionista. Si fa quel che si può…
Fabienne arrossisce, non è abituata a ricevere complimenti! Eppure, ne meriterebbe. Almeno quindici minuti al mattino e quindici la sera.
Fabienne ha quarant’anni. Lavora come infermiera per le cure palliative da migliaia di anni. A tavola, quando un qualche invitato comincia a criticare il servizio pubblico, amo citare il caso di Fabienne. Una buona ragione per pagare le tasse.
Caricata a 100 000 volt, non vede che il lato buono delle persone. Io ci vedo una discreta e irresistibile forma di coraggio. Affronta la vita, la malattia e la morte, ma sempre con entusiasmo. Quando spinge il suo carrello per i corridoi, un facocero e un suricato la seguono cantando “Hakuna Matata”.
-Ti ho già raccontato di quando ho assistito una miliardaria?
Sì, ma io adoro le storie, queste qui in particolare, allora le dico una bugia:
-No, mai.
-La mia miliardaria si chiamava Émilie.
Émilie viveva in istituzione da quarantacinque anni. Non era niente secondo il nostro sistema attuale. Non apportava alcuna “ricchezza”, non produceva alcun bene materiale, non contribuiva alla crescita del Prodotto Interno Lordo. Ipossia alla nascita. Aveva quarantacinque anni, quarantacinque anni di una vita di “niente”.
Émilie si sbavava addosso. Qualcuno la cambiava. Conosceva qualche parola. Quando la si metteva davanti alla televisione, non comprendeva come le persone riuscissero a scambiarsi di posto così velocemente dietro il lucernario.
All’epoca, Fabienne aveva un segreto: era incinta di otto settimane. Nessuno lo sapeva.
Superstiziosa, aspettava lo scoglio dei tre mesi.
Un giorno, Émilie cadde nella doccia: “Io mi abbasso per ritirarla su. Lei si aggrappa alle mie anche, ci avvicina l’orecchio ed esclama con un sorriso radioso: Fabi! Tu hai un bimbo nella pancia!”
L’infermiera conclude:
-Io non so che cosa voglia dire la parola “ricchezza”.
Ma lei ne è sicura, un giorno ha assistito una miliardaria.
Scrivo questa storia nel mio blocchetto, per non dimenticarla.
Mentre riflettevo su quale testo proporre questa mattina, mi è balenato in mente questo breve spezzone, perché mi ricordavo che mi aveva colpito molto la “scena” in cui Émilie si accorge che Fabienne è incinta. Nessuno se ne era accorto, ma questa signora, che apparentemente vive una vita di “niente”, che è “inutile” agli occhi di questo mondo (che pensa solo a produrre ricchezza) in cui viviamo, lei se ne accorge. In questo modo dimostra una sensibilità, delle qualità, delle capacità sicuramente “diverse” da quelle a cui il nostro mondo o perlomeno il modo comune di guardare le cose darebbe valore. Ma solo perché le sue capacità sono diverse, per questo dovrebbero avere meno valore di quelle degli altri? Fabienne ha ragione: Émilie non è “niente” come si sarebbe portati a pensare vedendola, Émilie è ricchissima, forse più ricca di quanto non lo siano i miliardari “reali”, perché è ricca dentro, ma nessuno se ne accorge, perché è più facile fermarsi all’esteriorità. Ragionando mentre scrivo, mi viene anche da immaginare Émilie come una bambina nel corpo di un’adulta: i bambini hanno bisogno di cure, non capiscono e si stupiscono di molte cose che li circondano, ma hanno un’animo puro e sensibile, che è in grado di percepire cose che sfuggono alla razionalità quadrata degli adulti – cose come appunto una vita che si sta formando. Forse dovremmo tutti un po’ prendere esempio da Émilie, recuperando almeno un pochino quello spirito che ci animava da bambini, che ci permetterebbe di cogliere un universo di significati in più rispetto a ciò che percepiamo servendoci solo della nostra adulta razionalità.
Volevo aggiungere un ultimo ragionamento, ma credo di essermi dilungata abbastanza… quindi scriverò giusto un paio di righe concise per il personaggio di Fabienne. Mi ha fatto riflettere la frase “affronta la vita, la malattia e la morte, ma sempre con entusiasmo”, perché è qualcosa di completamente distante da me, che affronto tutte e tre le cose più o meno nel modo opposto. Mi ha fatto riflettere perché penso che ci voglia tanto coraggio e forza d’animo ad affrontare sempre tutto con il sorriso, e in realtà mi piacerebbe davvero riuscire ad essere come lei…
Per questo auguro a tutti una forza come la sua, perché tutti quanti dovremmo vivere la vita col sorriso, considerato che ne abbiamo una sola!
Veronica
Valerio
Greta
Tiziana
Diego
Bellissime due immagini, la prima è: “Quando spinge il suo carrello per i corridoi, un facocero e un suricato la seguono cantando “Hakuna Matata”. Immagine geniale!!!
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