“Ah, mi dispiace: ma io so’ io e voi…”

Qual è il senso del nome che ognuno di noi porta, dal momento in cui nasce fino alla sua morte?

Certamente il nome è qualcosa di tuo, ma non sei tu a sceglierlo, poiché ti viene dato; né sei tu a usarlo, nonostante serva a te per distinguerti dagli altri. Sono proprio gli altri a dare senso al nome, nel momento in cui ci viene chiesto: “Come ti chiami?”, a cui rispondiamo con facilità.

Non è altrettanto immediato rispondere alla domanda “Chi sei?” perché la mediazione del nome sparisce e ci viene richiesto qualcosa di più complesso: la nostra identità. L’identità non ci viene data, ma si costruisce nel tempo, attraverso quelle stesse relazioni con gli altri che consentono a un individuo di trovare il suo senso d’essere.

Il Marchese del Grillo può affermare “io so’ io” proprio perché si confronta con altri, che non sono nulla. Nella frase “Io so’ io e voi non siete un ca**o” la relazione si fonda su una disparità tra due parti, anzitutto numerica – tra “io” e “voi” – e in questo caso specifico sociale, poiché l’uno è marchese e gli altri sono popolo.

Ma tale disparità può essere di vario genere. Consideriamo altri tre casi in cui un singolo fronteggia e prevale su molti:

  • Greta Thunberg nel suo discorso “How dare you?” contrappone la sua giovane generazione a quella degli adulti: lei, in nome dei giovani a cui si chiede continuamente speranza, rivendica un senso etico e una volontà di agire maggiori rispetto ai leader mondiali a cui si rivolge.

 

“Il mio messaggio è: vi teniamo d’occhio. Tutto ciò è sbagliato! Io non dovrei essere qui sopra, io dovrei essere a scuola, dall’altra parte dell’oceano. E invece voi avete chiesto a noi ragazzi di venire qui per la speranza. Come vi permettete? Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote, senza considerare che io sono tra i ragazzi fortunati. Le persone soffrono, le persone stanno morendo e i nostri ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui parlate sono i soldi e le favole su una crescita economica?! Ma come osate? Per più di 30 anni la scienza è stata chiara: come fate a guardare altrove? E venire qui, a dire che voi state facendo abbastanza, quando in realtà la politica e i governi sembrano essere ancora lontani. Voi dite di ascoltarci e di capire l’urgenza, ma non importa quanto io sia triste e arrabbiata, io non vi credo, perché se voi aveste capito effettivamente la situazione, continuando a fallire nell’agire, allora sareste da considerare come dei malvagi. E mi rifiuto di credere a ciò.”

  • Sherlock Homes, in questa scena tratta dalla serie televisiva Sherlock, mette a tacere tutti i presenti, ordinando: “shut up everybody! Shut up! Don’t move, don’t speak, don’t breathe! I’m trying to think!” (“Zitti tutti! Zitti! Non muovetevi, non parlate, non respirate! Sto cercando di pensare!”). Può farlo perché è l’unico, col suo solo quoziente intellettivo, in grado di risolvere il caso.

 

  • Bud Spencer in innumerevoli film si ritrova a prevalere con la sua sola forza fisica su bande di teppisti, come accade in Chissà perché capitano tutte a me, dove i fratelli Taglialegna finiscono tutti e tre per terra.

Ma cosa accade quando non è più così semplice individuare la caratteristica che distingue (ed eleva) l’io dal voi? Quando cioè è l’identità stessa (e non una sua parte) a essere messa in discussione?

Gesù chiede agli apostoli: “E voi, chi dite che io sia?”, ponendo una domanda e mettendo così in primo piano quel voi, a cui chiede un riconoscimento della propria identità. Sa cosa pensa di lui la società (che sia Giovanni il Battista, Elìa, uno dei profeti), e sa che non corrisponde al vero, perché è ben consapevole di chi è veramente.

Cosa avviene nel momento in cui tale certezza manca? Avviene che, interrogati, non siamo in grado di rispondere, come succede ad Alice nel Paese delle Meraviglie quando si imbatte nel Bruco, il quale con una semplice domanda riesce a mettere in crisi tutta la sua identità.

Il Bruco e Alice si guardarono l’un l’altra per un po’ di tempo in silenzio; alla fine il Bruco si tolse di bocca il narghilè e le rivolse la parola in tono languido e sonnacchioso.
– Chi sei? – disse il Bruco.
Non era un modo incoraggiante di cominciare una conversazione. Alice rispose piuttosto timidamente:
– I… io… non saprei, signore, sul momento… per lo meno, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma credo di essere cambiata parecchie volte, da allora.
– Che vuoi dire con questo? – chiese il Bruco severamente. – Spiegati!
– Non posso spiegarmi, signore, temo proprio di no; non posso spiegare me perché non sono me stessa, capisce?
– Non capisco.
– Ho paura di non potermi esprimere meglio – rispose Alice molto educatamente – perché, tanto per cominciare, non posso comprendere me stessa. L’essere di tante diverse stature in un giorno fa una gran confusione.
– Ma no! – disse il Bruco.
– Bene, forse lei non ha provato ancora – disse Alice – ma quando si trasformerà in una crisalide (un giorno o l’altro le dovrà succedere, sa?) e dopo in una farfalla, immagino che la cosa le sembrerà un po’ bizzarra, no?
– Nemmen per sogno!- disse il Bruco.
– Bene, forse i suoi sentimenti sono diversi dai miei – disse Alice – quel che so, in ogni modo, è che la cosa sembrerebbe piuttosto strana a me.
– Tu! – disse con disprezzo il Bruco. – Chi sei tu?
Ciò riportava la conversazione al punto di partenza.
Alice cominciava proprio a sentirsi un po’ irritata dalle maniere del Bruco.
Si drizzò in tutta la sua statura e disse con molta gravità:
– Mi pare che tocchi a lei, per primo, dirmi chi è!
– Perché? – chiese il Bruco.
Era un’altra domanda imbarazzante; e siccome Alice non poté trovare nessuna buona ragione e il Bruco sembrava d’umore piuttosto spiacevole, la bimba pensò bene di andarsene.

Una situazione terribile per Alice, che tuttavia pian piano si abituerà ad avere a che fare con una società di folli.

Una società che è sì frutto di fantasia, ma le cui dinamiche sono fortemente ispirate alla realtà: cosa accade quando qualcuno viene investito di un’identità in cui non si ritrova affatto? È preferibile essere definiti in modo distorto al non essere presi minimamente in considerazione? E ancora, come può formarsi un’identità in totale mancanza di una società?

Forse che quel voi tanto insignificante, non sia invece significativo per quell’io tanto superiore?

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