Soltanto la fiction potrà salvarci

«Una verità inventata è meglio di una bugia inventata?». Tempo fa ho letto questo post del fumettista Massimo Cavezzali e mi sono messo a pensare. Moltissimi hanno commentato a caldo: “Sono tutte e due bugie!”, dando per scontato che ciò che è inventato sia automaticamente falso. Eppure il verbo «inventare» viene dal latino invenio, che significa “trovare, scoprire, immaginare, conoscere”. Il contrario di “verità” è “bugia”, ma qual è il contrario di “inventare”? Ciò che è “artefatto” – ossia “prodotto tramite arte”, ciò dall’abilità dell’uomo, o dalla sua creatività, o dalla sua fantasia… è per forza “falso”? Insomma, l’uomo è capace di verità?

Il Novecento ha risposto grevemente: No. L’età post-moderna è stata definita come l’età in cui prendere congedo dalle «grandi narrazioni», quei grandi sistemi di senso (politico, economico, religioso) che hanno condotto a delusioni epocali. Liberandosi delle narrazioni, l’uomo disincantato – che non vuole sentirsi «raccontare storie» – pensava di poter finalmente fissare lo sguardo sulla nuda realtà… se non che ci troviamo invece impantanati nella «post truth-age», illusi dalla virtualità, confusi dall’infotainment, travolti dall’infobesità, smarriti in un giungla di fake e bufale. Insomma, scacciando dalla vita la narrativa, pare essersene andata proprio la verità.

Forse perché le due fossero inestricabilmente legate. Ci sono verità che non si possono dire, se non con una storia – un quadro, una canzone, un film – perché solo le storie sanno articolare il come, il dove e il quando. Solo le storie dispiegano la carne e le forme della verità. «Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre» scrisse Sallustio a proposito degli antichi miti. Ed è significativo che a dirlo sia stato proprio uno storico, il quale si rendeva conto che tanti fatti “reali” – di attualità e di cronaca, diremmo noi – invecchiavano rapidamente, e nel giro di poco non ne restava più traccia, né memoria. Al contrario, i “falsi” miti esprimevano verità che attraversavano i secoli senza nemmeno accusare il fiatone.

Nelle scorse feste natalizie ho notato un fenomeno bizzarro. I miei nipoti ringraziano i genitori per i regali comparsi sotto l’albero, ma se gli chiedi chi li ha portati, rispondono con sicurezza: “Babbo Natale!” E guai a stuzzicarli. Le due identità, per loro, non si contraddicono. D’altra parte cosa è più stupefacente? Il coupe-de-théâtre della misteriosa creatura che una volta l’anno consegna un pacchetto per poi dileguarsi, o la silenziosa magia che impregna 365 giorni di cure assidue da parte di quei due anzianotti che abitano sotto il loro stesso tetto? Le favole – la fiction – sono cannocchiali che ci permettono di scrutare dalla giusta distanza ciò che è troppo vicino per essere visto. Siamo affetti da miopia nei confronti della realtà, e ci servono occhiali correttivi per rimetterla a fuoco, superando le apparenze. Soprattutto le apparenze troppo verosimili. Soltanto la verità della fiction potrà salvarci dalle illusioni dei reality.

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