Spogliarsi
Oggi il giardino splende alla luce del sole e gli alberi sono di un verde brillante. Anche i fiori squillano con i loro colori vivaci. Oggi sembra quanto mai vera la frase: “Osservate come crescono i gigli del campo: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”. I fiori e gli alberi non si spogliano da soli: non possono deporre petali e foglie. Il loro spogliarsi, il loro divenire “spogli”, è un fatto naturale, involontario, dovuto al ciclo delle stagioni. L’uomo si spoglia invece. E questa è una grande differenza.
L’albero spoglio ha una sua bellezza: L’albero spoglio non è uno scheletro: è una energia in piena incubazione, pronta ad esplodere al momento opportuno, al momento giusto. L’essere spoglio dice attesa, preparazione, adeguamento a condizioni ambientali che sono fuori dal suo dominio, inconsapevole “obbedienza” a un ciclo vitale. Per l’uomo è diverso. Innanzitutto, certo, nel freddo, l’uomo si copre, al contrario degli alberi. Ma ecco già una sottile differenza che investe un gesto fatto delle medesime procedure: coprirsi e vestirsi, e dunque, al loro opposto, scoprirsi e spogliarsi (e anche svestirsi). Sono cose simili ma differenti. Coprirsi serve a proteggersi dall’esterno, vestirsi serve a prendere una forma. Così scoprirsi significa “mostrare il fianco”, mettersi in una posizione in qualche modo vulnerabile, esporsi mettendo l’accento sul proprio corpo; spogliarsi invece significa il gesto di togliersi ciò che si ha addosso, mettendo l’accento su ciò che riveste il corpo, dandogli una forma per l’esterno.
Ma c’è un’altra differenza: lo scoprirsi è sempre parziale, lo spogliarsi è totale. Si dice: “scopri il viso” non “spoglia il viso”. Si scopre qualcosa, ci si spoglia tutti. E si dice così anche se non si vuole o si deve restare completamente nudi. Dunque che significa spogliarsi? Significa togliersi di dosso qualcosa che comunque riguarda tutto il nostro corpo, anche se alla fine questo gesto non ci porta alla nudità completa.
Perché ci si spoglia? Che cosa implica lo spogliarsi? Varie cose: innanzitutto che l’uomo non è una cipolla. C’è nell’uomo una intimità coperta della quale non si può spogliare e che non può essere riducibile a qualcosa di esterno. L’uomo ha un corpo. A questo corpo l’uomo ha dato da sempre una forma grazie a “vestiti” che si mette addosso. Le foglie non sono il vestito dell’albero: sono l’albero; i petali non sono il vestito del fiore: sono il fiore. Lo spogliarsi tocca la biologia dell’albero e del fiore. L’uomo invece in se stesso si percepisce “nudo” (… e si accorsero di essere nudi”) se non è vestito. Il corpo fa appello a una forma che lo rivesta e lo presenti, lo “riveli”, cioè insieme: lo mostri e lo veli. Solo in questa dinamica ri-velativa l’uomo appare nella sua vita quotidiana.
Quando allora l’essere umano si spoglia e in quali situazioni? Ne indico almeno due.
Un motivo può essere l’intimità. Spogliarsi significa in questo caso essere raggiungibili nella propria condizione umana, attraente o repellente, senza veli. L’intimità coniugale, ad esempio, prescinde dalla bellezza oggettiva del corpo e percepisce come desiderabile l’intimità com la persona che si ama anche in tutte le sue imperfezioni e in aspetti che per altri sarebbero repellenti. In questo senso l’intimità è nella sua radice “indissolubile”. Se chi la vive la vive come dissolubile allora la sta vivendo come radicalmente seduttiva. E allora la nudità cambia di significato: non è essere nudi, ma essere ricoperti dalla pelle del proprio corpo percepita come un bel vestito da mostrare. Insomma: ci si spoglia per essere meglio vestiti. La pelle diventa “tunica di pelle” umana, e potenzialmente persino armatura di “attacco” seduttivo. Un/una pornostar non è mai nudo/a: il suo corpo diventa tuta di seduzione di carattere pubblico. E questa realtà è alienante perché la nudità con tutti i suoi significati simbolici diventa una condizione impossibile.
Un altro motivo può essere il sentirsi a proprio agio in un ambiente. Togliersi le scarpe o restare in casa in pigiama o addirittura in mutande o in sottoveste assume il senso di diffondersi in un ambiente riconosciuto come familiare, intimo. Lo si può fare da soli o in famiglia o tra amici in alcune circostanze, insomma in un contesto dove l'”agio” è la cifra esistenziale e formalmente riconosciuta. Si tratta di un contesto che permette all’uomo di assumere una forma non convenzionale e che non presenta rischi. L’emergere del rischio di presentabilità è tipico delle situazioni nelle quali, ad esempio, si è in desabiliè e all’improvviso, inaspettatamente, squilla il campanello di casa. Lì ci si accorgere di essere “nudi”, anche se non lo si è alla lettera.
“Spogliarsi” non mette l’essere umano nella condizione di essere “spoglio”, dunque.
Un primo commento a caldo su questo caldo editoriale.
Secondo me non è esatto dire che “l’uomo ha un corpo”, forse è meglio dire: “l’uomo è un corpo”. In questa luce le cose un po’ cambiano, anche se quanto poi è scritto di seguito, sull’intimità coniugale e sulla nudità della pornostar, sembra proprio scritto alla luce di questa affermazione. Ma voglio tornarci su… rifletterci di nuovo, con una mente “spoglia” (da mille altri pensieri), ciao
andrea
Ci stavo riflettendo proprio stamattina, mentre vedevo un film: la nudità completa è possibile?
Anche il nostro corpo è un vestito da cui è impossibile spogliarsi, apparentemente. Però dipende tutto dalla condizione interiore in cui ci poniamo rispetto a ciò che c’è fuori. E’ una questione di fiducia/sicurezza.
Tutto sommato credo che sia possibile essere completamente nudi se ci si pone proprio in questa dimensione nei confronti dell’esterno.
Chi mette la corazza sembra una persona sicura ma non lo è, o comunque non lo sarà più di chi non ha paura di mostrarsi completamente nudo.
Ma è possibile porsi in una condizione di fiducia e sicurezza totale verso il mondo, verso la realtà? Non lo so, non credo. Quindi forse è davvero impossibile rimanere completamente nudi?
Ma è la vita che ti spoglia, anche se non vuoi.
Vani sono invece i tentativi di spogliarsi anche quelli fatti con i più nobili ideali e con la maggiore consapevolezza possibile della vanità di ogni mascherata: il nostro io è il vestito appiccicato addosso più di ogni altro.
Dicevo che la vita ci spoglia, ci toglie ad ogni momento qualcosa.
C’è una bellissima frase di Gesù a Pietro:
“In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”.
Lo spogliarsi è semplicemente l’arrendersi di fronte a se stessi, di fronte agli altri, di fronte alle cose: che non vuol dire affatto rinunciare e chiudersi, semplicemente accettare la verità su tutto ciò che è altro da me, anche in me, che momento per momento si rivela e che non sempre è gradita.
Amare la verità su di me più di quel me che ho costruito faticosamente in tanti anni e che è apprezzato dagli altri anche prima che da me e forse per questo mi dà maggiore sicurezza.
la questione su l’uomo che “ha” un corpo o che “è” un corpo è intrigante. Certo che per me l’uomo “è” (anche) corpo… ma qui solleviamo interessanti questioni antropologiche. Mi chiedo solo se ha senso continuare a seguire Erich Fromm in quella sua dicotomia tra essere/avere come se l'”avere” (habeo -> habitus -> abitudine -> abito) fosse una cosa davvero distinta e saparata rispetto all’essere. E’ una domanda, si capisce…
Mai letto Fromm; leggendo Gabriel Marcel (anzi Marcel letto da Francois Varillon) e Timothy Radcliffe, mi sono trovato di fronte a questa cosa, davvero intrigante, del fatto che l’uomo è un corpo, non solo e non tanto lo possiede. Questo vale molto sul piano del rapporto con il corpo dell’altro ed entra quindi nella dinamica dell’amore. Mi interessa questo nuovo corso spadariano “panteista” che non distingue più nulla, m’intriga parecchio assai… vediamo dove va a parare. E’ una domanda si capisce…
la prima riflessione che mi ha fatto fare questo articolo è quella sul corpo nudo di Francesco che si spoglia negli affreschi di Giotto ad Assisi. Spogliarsi è il viatico per accetare sorella povertà ed è il segno alto della Letizia intesa come comunione della carne e dello spirito con l’universo che ci circonda. È segno di umiltà ma non di rassegnazione. Al contrario, è segno di donazione totale di sé al di là delle convenzioni offrendosi nella totale nudità della carne per rigenerare lo spirito cioè per mettersi nella condizione mentale per rigenerare lo spirito. Il padre scandalizzato e il mantello con cui lo ricoprono/rivestono sono segni di un mondo che spogliandosi Francesco ha abbandonato. Spogliarsi segna allora un confine, segna un punto di non ritorno, è a tutti gli efetti una nuova nascita ( che –mi verrebbe da dire — noi ripetiamo tutte le sere entrando nudi nel letto e vivendo in umiltà solo nel sonno).
Voglio inviarvi una poesia, che a me piace tanto
Vestiario
Ti togli, ci togliamo, vi togliete
cappotti, giacche, gilè, camicette
di lana, cotone, misto di lana,
gonne, calzoni, calze, biancheria,
posando, appendendo, gettando su
schienali di sedie, ante di paraventi;
per adesso, dice il medico, nulla di serio
si rivesta, riposi, faccia un viaggio,
prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,
ritorni fra tre, sei mesi, un anno;
vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,
e voi supponevate, e lui sospettava;
è già ora di allacciare con mani ancora tremanti
stringhe, automatici, cerniere, fibbie,
cinture, bottoni, cravatte, colletti
e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori
-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa
riutilizzabile per protratta scadenza.
(Wislawa Szymborska)
E’ interessante la notazione di Alessandro: in genere un oggetto per essere “dono”, regalo. va “confezionato”, cioè “ri-vestito” in modo che si presenti come tale: non più oggetto da usare, ma simbolo di omaggio. L’uomo, invece, per donarsi, come nel caso di Francesco, si deve s-vestire, assumendo una nudità simbolica e a volte anche reale. Molto interessante…
Just wish it was written in English so I could share in it.
Kiki
Let’s do something for Kiki…
Kiki, do you speak Latin?
Splendida citazione Carla!
Vi ricordate, così al volo, lo slogan degli anni ’70 delle Caramelle Sperlari?
Un cofanetto di caramelle Sperlari non si incarta, non s’incarta mai. Ci sono doni che non hanno bisogno di “coperture”. Eppure per me non c’è niente di più bello del distruggere l’involucro di un regalo, quell’involucro che nasconde la sorpresa che non immaginiamo. Però nessuno dice “spogliare” un regalo…
Vorrei fare un’osservazione che non c’entra nulla col tema della prossima Officina di Bombacarta.
Questa mattina mentre mi recavo a lavoro mi suonava in mente una canzone dei Nirvana, sarà perchè sull’autobus è salito un tipo che gli somigliava, e ho pensato una cosa.
E’ una domanda che vorrei porre principalmente a Damiano. Perché si è più attratti dai miti “negativi” invece che da altri personaggi “positivi” quali, ad esempio, personaggi sportivi? Penso a Pistorius, alla Pellegrini…personaggi pieni di vita in contrapposizione ad Antonia Pozzi, a Morgan, ai Doors e a tanti altri che non mi sovvengono in questo momento.
Forse, poiché il tema ha risvolti che toccano la psiche umana la domanda dovrebbe essere rivolta a Cristiano Maria Gaston, ma anche a Gianluca visto che comunque l’oggetto verte soprattutto su personaggi del mondo della musica.
Ok, chi legge prima risponde. Comunque desidererei conoscere il parere di Damiano. Se poi si volesse pronunciare anche Padre Spadaro, non disdegnerei certo una sua osservazione in merito.
Grazie
beh, provo a rispondere io (non richiesto) ma solo per indicare un bel libro che parla (sin dal titolo) de “Il fascino del male” (Giovanni Cucci, APL). Il male ha un suo fascino, non c’è che dire.. forse ha solo quello!
Una poesia di Antonia Pozzi: si tratta forse di un’altra persona?
Confidare
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
Il male ha un suo fascino?
Ma perché una cosa che fa, appunto, male ha il suo fascino?
Scusate, ma io sto proprio fuori. Cerco risposte a domande che mai nessuno ha saputo dare e mai nessuno saprà dare. Del resto, le domande abbondano ogni giorno, sono le risposte che scarseggiano.
Mi sento un po’ bambina e un po’ Socrate. I bambini non fanno altro che chiedere domande e Socrate, con la maieutica, pressapoco aiutava l’essere umano a scoprire quanto in realtà poco sapesse del mondo che lo circondava, un’arte che tuttavia lo “aiutava” in un certo qual modo ad andare alla scoperta della verità. Ok, mi rendo conto che il discorso sta diventando un po’ complesso, per ora mi accontento della risposta di Andrea. Ma solo per ora! Vorrei che, comunque, gli altri esprimessero il loro parere.
PS: Bella (appunto) la poesia della Pozzi.
;)
Comunque anche il Bene ha il suo fascino (e non solo quello). Pensa agli eroi, ai protagonisti delle grandi e piccole storie che gli uomini si raccontano da sempre.. sono personaggi positivi. Il “cattivo” non può mancare ma è sempre, appunto, nell’ombra, direi quasi che “è” un’ombra, privo di consistenza. Ma qui mi si apre l’universo tolkieniano che…è meglio che mi fermo qui (comunque ho appena postato sulla homepage del blog qualcosa in proposito) ciao bambina socratica!
Un tale diceva che essere eroi è più facile che essere gentiluomini, per il semplice fatto che eroi lo si può diventare per un momento, gentiluomini lo si deve rimanere per tutta la vita. Parafrasando la massima credo che il fascino del male deriva dall’immediatezza con cui ci si avvicina ad un modello “negativo”, rispetto alle maggiori responsabilità che comporta adottare un riferimento “positivo”. Personaggi come Kurt Cobain, Jim Morrison riscuotono ampio credito tra i giovanissimi, che appunto son concentrati a vivere, a bruciare l’attimo fuggente. Se penso alla Pellegrini invece mi viene in mente ad una ragazza che si allena ogni giorno per raggiungere un obbiettivo, e la parola allenamento fa rima con costanza, tenacia. Un look trasandato, uno stile di vita disordinato probabilmente esprimono meglio ciò che c’è dentro a 16 anni: lo stato di disagio interiore tipico adolescenziale. O semplicemente rappresentano la via più semplice. Crescere vuol dire anche spogliarsi di tante cose, giusto per rientrare in tema, e spogliarsi a volte fa male, non soltanto per il freddo.
“Crescere vuol dire spogliarsi di tante cose… e spogliarsi a volte fa male, non solo per il freddo”.
Grazie Federico per questo tuo post. Mi sono emozionata leggendolo e mi trovi pienamente d’accordo, anche col tuo pensiero dei miti negativi e positivi.
Io adoro la Pellegrini e Pistorius, per questo li ho citati, proprio perchè sono persone di carattere, pieni di coraggio e che adorano le sfide per raggiungere i loro obiettivi. Sì, anche il bene ha il suo fascino, forse più del male, come dice Andrea.
Grazie a tutti.
:)
…si è sposgliata dopo essersi vestita ed ha scoperto invidia e gelosia.
Insomma: ci si spoglia per essere meglio vestiti…
l’intimità è nella sua radice “indissolubile”. Se chi la vive la vive come dissolubile allora la sta vivendo come radicalmente seduttiva…e questa realtà è alienante perché la nudità con tutti i suoi significati simbolici diventa una condizione impossibile.
insomma: ci si aliena nel desiderio…
Mi affascina molto la questione sul “l’uomo ha un corpo” o “è corpo”. Ritengo che la mediazione “l’uomo è anche corpo” non risolva totalmente la differenza, da cui deriva, poi, un’interpretazione dello “spogliarsi”; che implica un “corpo da spogliare”, se lo riferiamo alla nostra attività pratica e/o spirituale di continua svestizione. Anche il cambiamento – se assumiamo che “l’uomo cambia” – è un continuo spogliarsi. Io lo trovo molto un verbo della “rivelazione”, ma anche dell’assenza, della mancanza, e della perdita. Spogliarsi implica “la perdita” di un qualcosa, che può ben dirsi uno stato d’animo, una condizione, un’identità, una visione del mondo, e quanto altro c’è, rimanendo su un questo piano. Sarebbe interessante indagare la fine che fa quell’abito, quando viene a mancare dal nostro corpo, dal nostro spirito. Dove andrà a finire nella nostra memoria, nel nostro ricordo, nel nostro oblio? Perdiamo davvero ogni cosa di cui ci “svestiamo”? E che valore le daremo, nel tempo e nei “tempi”? Ma ritorno sul primo termine del mio intervento. Voglio citare l’Arte, perchè se si parla di corpi, corporeità, non c’è altra disciplina, a mio avviso, che possa illuminarci. L’Arte è sempre stata, fin dall’inizio, ossessionata dal “corpo”: quello figurativo-anatomico, quello ideale-immateriale. L’uomo ha un corpo. Io sono concorde con questa definizione. A Giotto già il Vasari riconosceva l’atto rivoluzionario di “aver dato corpo” alle sue figure: ed ecco i suoi invulnerabili volumi, così netti, certi, intensi, e densi….soprattutto densi. Riflettiamo sulla densità dei corpi di Giotto: non è solo elaborazione figurativa, ma è meditazione: l’uomo ha un corpo. E queste parole erano ben chiare a Michelangelo, che ha dato un “corpo” ad ogni sua figura. Nel “Giudizio Universale” gli uomini “hanno corpo”, come d’altronde nella Divina Commedia dantesca. Sarà panteismo, ma sono convinto che “essere/avere” non si contraddicano…non possono contraddirsi.
Non è affatto panteismo!!
Ne sono lieto, perchè è uno dei concetti che mi lega di più al Cristianesimo.
povera Eva, l’hanno cassata la sua poesia
Nel Vangelo di ieri, lunedì dopo la Pentecoste:
“Vendi ciò che hai, dallo ai poveri, seguimi”, sono le parole di Gesù al giovane ricco, cioè spogliati di tutto ciò che hai per poter venire dietro me, e il poveretto se ne va perché, come ammetterà dopo Gesù stesso e sconsolati constateranno i discepoli, è un’impresa impossibile, è “un cammello che dovrebbe passare per la cruna di un ago”.
E il giovane che se ne va triste, è onesto nell’ammettere la sua assoluta incapacità.
Semplicemente non ha previsto, non ha avuto pazienza e coraggio per fermarsi ad ascoltare, quanto Gesù aggiunge dopo: “impossibile agli uomini, ma non impossibile presso Dio”, Lui può aprire le mani pronte, per salvarsi, ad “afferrare e tenere stretto perfino un pugno di alghe”, come dice Manzoni.
Può farlo la voce inconfondibile di Lui che chiama attraverso parole e fatti che non rientrano nella routine di cui ho, o penso di avere, il controllo, persone e avvenimenti che passano sconvolgendo il tranquillo scorrere della vita: solo la sua voce può spogliare per rivestire.
E quelle di Gesù non sono parole vuote, sono parole-vita, come mostra la sua morte e resurrezione.
La Pentecoste di A. Manzoni L’ultimo degli Inni Sacri di Alessandro Manzoni, oltre al Cinque Maggio e al coro di Ermengarda, è la Pentecoste. In questo componimento è descritta la vita della Chiesa prima della discesa dello Spirito Santo quando i discepoli, timorosi per la discesa del redentore, vivevano appartati nel cenacolo per paura di essere uccisi. Nelle cinque strofe iniziali che costituiscono la prima parte dell’Inno, Manzoni descrive lo stato della Chiesa prima della discesa dello Spirito Santo e si chiede dov’era questa quando Cristo fu portato dai malvagi sul colle Golgota e dov’era quando questo, resuscitato, salì alla destra del Padre.
Non mi stupisce caro Corrado…ma va bene così.
cosa non ti stupisce, che ti abbiano cassato la poesia?
Certo che va bene così, ricordo a tutti che i commenti sono sottoposti ad un regolamento (http://bombacarta.com/la-policy-sui-commenti/) e che, per quanto possibile, bisognerebbe attenersi al tema del post, evitando di andare off topic.
Ricordo che queste regole sono a vantaggio e nell’interesse di tutti
la pelle che diventa “tunica di pelle umana”…
sì sì… il nudo come “vestito”:l’ossessione più pervasiva e maligna e oscena della nostra società: ci hanno tolto la nudità e in definitva il corpo… (povero corpo, vestito di chirurgia plastica…
La pelle Curzio Malaparte
http://www.youtube.com/watch?v=62KtiSmT9M8