Ladri di ricordi

Capita a tutti di perdere qualcosa. Di non trovare più un oggetto, un pensiero, un’idea, un ricordo. Di sentirsi soli, privati di un riferimento, come abbandonati. Un po’ nostalgici, un po’ tristi. Una sensazione fulminea, che nella maggior parte dei casi passa senza lasciare troppe tracce.

Ho perso un Mondo – l’altro giorno! dice Emily Dickinson.

E prosegue:

Qualcuno l’ha trovato?
Si riconosce dal Filo di Stelle
Legato intorno alla fronte.
Un Ricco – potrebbe non notarlo –
Eppure – al mio Occhio frugale,
Ha più Valore di Ducati –
Oh trovatelo – Signore – per me! *

Perdere un mondo è un po’ più complicato, certo.

In questi giorni, attraversati dalle straordinarie storie dei giochi olimpici di Tokyo, l’immagine del mondo dickinsoniano coronato da un filo di stelle rimanda immancabilmente alle vittorie sportive e agli agoni “coronali” dell’antica Grecia. A quei giochi il cui premio consisteva in una corona di rami d’ulivo intrecciati, il massimo fra i riconoscimenti possibili. Niente denaro ma un simbolo, un semplice “filo di foglie”. Una corona che “ha più valore di ducati”.

La Dickinson parlando del suo mondo smarrito ricorda che agli occhi di una persona ricca questa scomparsa potrebbe essere davvero un nulla, perché bilanciato dalla presenza di altro. Ma per chi ha uno sguardo abituato alla misura (è davvero difficile trovare un sinonimo per quel frugale che non vuole essere nemmeno corrispondente di povero), ebbene, vale più del denaro, di qualsiasi cifra di denaro. Un mondo che “ha più valore di ducati”.

Cosa può esserci dentro questo mondo? La domanda ha almeno un miliardo di risposte, tutte valide.

La Dickinson non ha smarrito “il” mondo, ma “un” mondo, ovvero il suo universo fatto di esseri, oggetti, immagini, pensieri. Il suo orizzonte visivo e temporale, la sua volta celeste con le strade di stelle. Tanto ha per lei importanza da volerlo ritrovare il prima possibile: alla stregua di una favola medievale si rivolge ad un immaginario cavaliere, un signore, che viene incaricato di cercarlo e riportarlo alla sua legittima proprietaria.

Come se la poetessa ci stesse dicendo che, perdendo un mondo, il suo, ha perduto se stessa, che non ha più davanti agli occhi le certezze (e le incertezze) del suo prezioso quotidiano.

Una recente miniserie  in streaming, Solos – che racconta un non meglio identificato futuro post-pandemico attraverso i monologhi dei diversi protagonisti – ha riproposto, in uno dei suoi episodi, la tematica dei ricordi, della perdita e della possibile riacquisizione dei ricordi.

In Stuart, l’omonimo personaggio (Morgan Freeman) incontra sulla spiaggia dell’istituto di cura che lo ospita il giovane Otto (Dan Stevens). Stuart è affetto da Alzheimer e nel corso dell’esperimento cui il suo “antagonista” lo sottopone emerge quella che è stata la sua principale attività: rubare ricordi, compresi i ricordi che Otto conservava della madre.

In questa serie le tematiche, estremamente umane, affrontate da uomini e donne che hanno vissuto il dramma di una epidemia globale ci fanno da specchio e ci mettono in guardia sul fatto che non è questione di tempo o tempi, ma di prospettiva. Esattamente come possiamo fare quando prendiamo in considerazione i nostri ricordi.

Stuart, come per contrappasso dantesco, perde la memoria dopo aver sottratto per mestiere i ricordi alle persone. Un perdente nel senso più completo del termine: fa perdere e perde. Ma suo malgrado il suo monologo sul passato è l’inevitabile punto di svolta per leggere il futuro.

Perdere (per + dare) è un verbo che nel significato primario latino indica proprio l’atto di procurare danno, rovina, addirittura morte a qualcuno. Solo secondariamente ci riporta al significato di cessare di possedere qualcosa, di rimanerne privi. Ed essere privati dei ricordi costituisce un danno incalcolabile.

I ricordi sono, in qualche modo, ingredienti del nostro universo (mondo secondo la Dickinson). Sono quel “ritorno al cuore” che l’etimologia suggerisce. Uno sguardo al passato che permette di dare corso al futuro. Stanno alla base della felicità e della disperazione; sono la superficie che riflette i nostri pensieri, sono particelle invisibili che ci rendono ciò che siamo.

I ricordi hanno qui e in questo momento storico una funzione che prima non avremmo attribuito loro: una sorta di Filo di Stelle che lega a doppia mandata la “vita di prima” con la “vita che ci prepariamo a condurre”.

Particolare di vaso greco a figure rosse (V sec. a.C.): Nike incorona un atleta vincitore

Per tornare agli atleti olimpici, mi piace ripensare a recenti interviste fatte in occasione di trionfi: i vincitori hanno detto di sentirsi le persone più felici del mondo e che quella felicità pesca dentro contenitori pieni di sacrifici, dolori, fallimenti. In poche parole, dentro vasi pieni di ricordi che hanno contribuito a costruire un successo. Ricordi che hanno “più valore di ducati”. Ricordi che sono stati ritrovati e riposizionati nel mondo.

Che memoria serberemo di questo lungo e complicato “qui”?

Viene da citare Pindaro, che nella II Olimpica scrive:

Certo per i mortali

Non sta fissa una soglia di morte,
né quando un giorno figlio del sole
s’acquieterà alla fine in pura felicità:
flutti diversi, momenti alterni
di gioia e d’affanno vengono agli uomini.

È l’alternarsi della vita. Fatta di confini superabili e di limiti invalicabili. E anche di ricordi che solo noi possiamo guardare da vicino e cui solo noi siamo autorizzati a dare un valore. Ma mai a farceli rubare.

 

* I lost a World – the other day!
Has Anybody found?
You’ll know it by the Row of Stars
Around it’s forehead bound.
A Rich man – might not notice it –
Yet – to my frugal Eye,
Of more Esteem than Ducats –
Oh find it – Sir – for me!    

 

(Immagini tratte dal web, con particolare riferimento a radioluna.it; frosinonemeteo.it; Christian Schloe)

 

 

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