Di quale disegno vorremmo essere la matita?

L’ago e il pennello sono due strumenti creativi formidabili: permettono di confezionare oggetti e dipingere quadri meravigliosi. Questi attrezzi portentosi sarebbero solamente degli oggetti inerti e inutili se non fossero maneggiati dall’artista e dalle idee ed emozioni che guidano il movimento delle sue abili mani.

Italo Calvino, nel capitolo Rapidità delle sue Lezioni americane riporta una storia cinese:

Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno d’un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. “Ho bisogno di altri cinque anni” disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto.

Ci sono quadri frutto di una realizzazione lunga, lenta e meticolosa. Quello di Chuang-Tzu invece è stato realizzato “con un solo gesto” e “in un solo istante” che però è il risultato di un lungo periodo di tempo. Dieci anni in cui il pennello è rimasto fermo, inutilizzato e in cui invece, probabilmente, la mente dell’artista ha riflettuto molto.

L’importanza dell’ingegno e della creatività dell’artista, oltre che della sua manualità, emerge anche nella storia popolare del vestito di Arlecchino.

Arlecchino era un bambino che viveva con la sua mamma in un piccolo paesino in provincia di Bergamo. (…) Si avvicinava il Carnevale e anche a scuola la maestra organizzò una festa in maschera: tutti i bambini parlavano degli abiti e delle maschere che avrebbero indossato e quando chiesero ad Arlecchino come si sarebbe vestito egli rispose: “Mi vestirò come tutti gli altri giorni… ma mi divertirò lo stesso”. Sapeva che la sua mamma non aveva soldi per comperargli un vestito nuovo. I compagni di scuola allora  (…) il giorno dopo, tutti portarono un pezzetto di stoffa. Si accorsero però che i pezzetti di stoffa erano tutti di colori diversi… Come fare? Non volevano che Arlecchino fosse senza vestito per la festa! “Non temete!”  disse Arlecchino. “Ci penserà la mia mamma… lei ha sempre una soluzione per ogni cosa!”. Tornato a casa mostrò alla mamma tutti i ritagli di stoffa colorata e lei, durante la notte, cucì insieme tutti i pezzetti di stoffa e confezionò un bellissimo vestitino colorato.  La mattina dopo Arlecchino uscì di casa con il suo vestito nuovo, saltando e cantando dalla gioia per quel bellissimo abito che gli aveva cucito la mamma. 

Ci sono casi in cui l’ago e il filo diventano strumento di idee più grandi. Idee non artistiche, ma sociali e civili che mostrano nella loro aspirazione al Bene tutta la loro bellezza.

Meena Keshwar Kamal è stata una giovane e coraggiosa attivista afghana, vissuta in un periodo di drammatici rivolgimenti politici per l’Afghanistan e in cui le donne vivevano in una grave condizione di oppressione e discriminazione. Intorno al 1978 fonda la RAWA, Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, “un’organizzazione che per la prima volta si propone espressamente di lottare per i diritti delle donne afghane, a partire dal diritto all’educazione e all’assistenza medica”. Le attiviste tengono riunioni e corsi di alfabetizzazione nei villaggi di Kabul e insegnano alle donne a leggere e scrivere. Successivamente Meena lascia l’Afghanistan e le attiviste iniziano ad operare anche nei campi profughi del vicino Pakistan. È interessante che la prima comunità creata dall’associazione RAWA a Quetta, in Pakistan, “è un laboratorio di cucito, dove un gruppo di diciotto donne vive e lavora insieme ai rispettivi bambini e a qualche marito. (…) Le prime scuole di RAWA vengono aperte nel 1984 proprio grazie ai fondi raccolti nei laboratori di cucito e, una volta a regime, accolgono ogni anno centinaia di bambini (…)”. Meena era convinta che l’istruzione fosse il miglior antidoto al fondamentalismo e riteneva che le donne dovessero sviluppare anche una coscienza politica, sociale e culturale.

Il cucito, simboleggiato dall’ago, e l’alfabetizzazione, simboleggiata dalla matita, divengono per la tenace attivista Meena lo strumento per gettare le basi di un processo di emancipazione femminile in quei territori così difficili.

Ma a volte il disegno, l’idea e il progetto sono così grandi che non basta un ago o una matita per realizzarli. Allora è l’uomo stesso che si fa ago e matita per cercare di realizzarli.

Luis Sepúlveda, in Ingredienti per una vita di formidabili passioni scrive:

In un angolo di Bergen-Belsen, vicino ai forni crematori, qualcuno -non so né chi né quando- ha scritto delle parole che sono le fondamenta del mio essere scrittore, l’origine di tutto ciò che scrivo. Quelle parole dicevano, dicono e continueranno a dire finché esiste gente decisa a sacrificare la memoria: “io sono qui e nessuno racconterà la mia storia”. Mi sono inginocchiato davanti a quelle parole e ho giurato che, chiunque le avesse scritte, io avrei raccontato la sua storia, gli avrei dato la mia voce perché il suo silenzio smettesse di essere una lapide carica del più infame degli oblii. Per questo scrivo.

Non sappiamo quale ago o matita abbia utilizzato la persona che ha scritto quelle parole. Sappiamo che Sepúlveda ha deciso di essere la loro matita, la matita di chi non può scrivere la propria storia.

Madre Teresa di Calcutta amava definirsi “una matita nelle mani di Dio” e diceva queste parole semplici e piene di significato:

Sono come una piccola matita nelle Sue mani, nient’altro. È Lui che pensa. È Lui che scrive. La matita non ha nulla a che fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata.

Dove Sepúlveda si fa testimone, Madre Teresa diviene strumento attivo: in entrambi i casi sembra svanire la volontà dell’io soggetto, eppure, nonostante le apparenze, permane un elemento di libero arbitrio, se non altro nella scelta della causa che si vuol sposare, nel disegno che si intende rappresentare. Di qui la domanda che tutti, almeno una volta nella vita, dovremmo rivolgere a noi stessi:

Noi, nel nostro piccolo, di quale disegno vorremmo essere la matita?

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