Incontro con il teschio, da elmo a confidente

La parte dello scheletro più ricca di richiami simbolici, religiosi, culturali è senza dubbio il teschio. La testa è in effetti la parte del corpo che più ci identifica e rappresenta la totalità dell’essere umano, la parte per il tutto. Non a caso, la tradizione celtica considerava il cranio come il fulcro centrale dello spirito.

È curioso notare che le parole teschio e cranio indicavano originariamente alcuni oggetti usati per contenere, proteggere o da collocare alle estremità.

Teschio deriva dal latino testulum che significa coperchio, vaso di terracotta e cranio deriva dal greco kranion (κρανίον) che significa elmo (divertenti i passi dell’Elogio della calvizie, V secolo d.C.,  in cui Sinesio di Cirene gioca proprio sul doppio significato cranio-elmo).

La forma del cranio ha dato il nome a paesaggi, come la collina del Golgota detta anche luogo del cranio per il suo aspetto tondeggiante e il cui nome deriva dall’aramaico gulgultā e dall’ ebraico gulgoleth, termini che significano entrambi cranio/teschio.

In direzione differente, ma sempre tesa a stabilire un legame tra teschio e luogo geografico, l’artista contemporaneo Robert Gligorov, nella sua opera Space Odissey (2005), provocatoriamente ha individuato la forma del teschio nel continente africano, contrapponendolo a un’Europa punteggiata da tante luci.

Più ricorrente è l’iconografia del teschio come simbolo ascetico che invita a meditare sul mistero della morte e della vita, tipica, ad esempio, delle raffigurazioni pittoriche di San Girolamo.

L’ironia non manca, come nei versi di Igino Ugo Tarchetti che, quando bacia il labbro profumato dell’ amata, sente sporgere un bianco teschio. La poesia rivolta alla sua fanciulla, tanto cara quanto inconsapevole della caducità del suo corpo vezzoso, sembra più una offesa che un corteggiamento.

Quando bacio il tuo labbro profumato,

cara fanciulla, non posso obbliare

che un bianco teschio vi è sotto celato.

Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso,

obbliar non poss’io, cara fanciulla,

che vi è sotto uno scheletro nascosto.

E nell’orrenda visione assorto,

dovunque o tocchi, o baci, o la man posi,

sento sporgere le fredda ossa di un morto.

Memento, da Disjecta, raccolta pubblicata postuma nel 1879

L’orrenda visione della morte che cova nel corpo dei vivi e l’ angoscia che ne deriva sembrano più marcati nei versi di Amelia Rosselli in cui il teschio sfida la testa e la sua voglia di comprendere. Ma dinanzi al mistero della vita (inesplicabile esistenza) è vano ogni sforzo di astrazione, ogni ricerca di senso (fede impossibile), ogni discorso (parole mute).

Propongo un incontro col teschio,

una sfida al teschio

mantengo ferma e costante

chiusa nella fede impossibile

l’amor proprio

delle bestie.

Ogni giorno della sua inesplicabile esistenza

parole mute in fila.

da Documento (1976)

Più sereno sembra invece l’incontro con il teschio in Vita e Morte di Klimt in cui i vivi appaiono indifferenti rispetto al loro destino fatale, accogliendolo come parte della loro esistenza.

Il dipinto di Klimt è in linea con la simbologia del teschio nelle opere dell’artista contemporaneo Enzo Cucchi secondo cui “il teschio non è una cosa spaventosa, è solo un elemento primario, elemento di conoscenza, la cosa più vecchia e tranquilla che abbiamo”.

Dall’incontro con il teschio può nascere anche un’amicizia. Così, diventa un confidente che denuncia le atrocità dei conflitti, nella celebre canzone popolare siciliana del secondo dopoguerra Vitti ‘na crozza.

Diventa quasi un parente acquisito nella cultura popolare napoletana, in particolare in luoghi evocativi come il Cimitero delle Fontanelle, nel rione Sanità di Napoli, che custodisce 40.000 resti umani vittime delle epidemie che colpirono la città, come la peste del 1656. Qui nessun cranio è uguale all’altro, ogni capuzzella (teschio) ha la sua individualità. C’è Donna Concetta che ricolma di grazie e c’è Il Capitano, sprucido e vendicativo.

Lo racconta con efficacia il docufilm Napoli, l’aldilà di tutto di Gualtiero Peirce (2022).

Ma c’è chi resta sbigottito da tanta confidenza con le capuzzelle, come la turista inglese Katherine (Ingrid Bergman) in Viaggio in Italia, 1954, di Roberto Rossellini.

Una simile familiarità con la morte la ritroviamo nella cultura messicana e sudamericana come nella umoristica rappresentazione Ave Maria-La morte si sente sola, dell’Odin Teatret, regia di Eugenio Barba, in cui Mr Peanut è la maschera della morte che ha strappato alla vita l’attrice cilena María Cánepa e, ora si mostra in frac, ora è una elegante signora in abito rosso, ora è la sposa consapevole del suo imminente declino.

Utensile che protegge o amico, elemento simbolico o capuzzella con una sua individualità, motivo di angoscia o di ironia…e noi, come viviamo l’incontro con un teschio, come percepiamo il nostro?
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