Tra il confine e la frontiera

Che cosa è un confine? Cosa una frontiera? Cosa li distingue, cosa li accomuna? Che esperienza abbiamo-facciamo del confine o della frontiera? Quando essi smettono di essere delle figure  puramente geografiche per diventare qualcosa che riguarda il nostro essere-stare al mondo?

Il confine è una linea che separa. E’ netta, non ammette ambiguità. Di là o di qua. Non consente transiti che non siano regolamentati. Il confine ha dalla sua il peso della legge: per scavalcarlo bisogna infrangerla. La frontiera invece non è una linea fissa, ma qualcosa di mobile. Essa scopre. Avanza. Colonizza. Si dissolve quando si penetra nell’ignoto che essa stessa custodisce. La frontiera è allora un velo con cui l’inconoscibile si offre alla presa dell’uomo. Della frontiera è però il non arrivare mai. “Sempre devi avere in mente Itaca/ raggiungerla sia il pensiero costante./ Soprattutto non affrettare il viaggio/ fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio/ metta piede sull’isola, tu, ricco/dei tesori accumulati per strada/ senza aspettarti ricchezze da Itaca” (Kostantin Kavafis).  Ha scritto Piero Zanini: “la frontiera rappresenta la fine della terra, il limite ultimo oltre il quale avventurarsi significava andare al di là della superstizione contro il volere degli dei, oltre il giusto e il consentito, verso l’inconoscibile che ne avrebbe scatenato l’invidia. Varcare la frontiera vuol dire uscire da uno spazio familiare, conosciuto, rassicurante, ed entrare in quello dell’incertezza”.

La civiltà che più di altre si è rispecchiata nella frontiera è quella americana. La frontiera è stata, nell’esperienza statunitense, prima di ogni altra cosa, movimento di conquista. A sentire lo storico F.J. Turner è la frontiera ad aver plasmato l’uomo americano: “E’ alla frontiera che l’intelletto americano deve le sue caratteristiche più spiccate. La rudezza e la forza combinate con l’acutezza e la curiosità; la disposizione mentale, pratica, inventiva, rapida a trovare espedienti; il mordente magistrale sulle cose materiali…l’energia inquieta, nervosa, l’individualismo dominante“. La frontiera è la wilderness che la letteratura Usa non ha mai smesso di cantare. E’ l’estremo che prende di volta in volta la forma di una balena bianca e della distesa oceanica che la custodisce, dei lupi che imparano a sopravvivere, della foresta che occulta. Una volta che la frontiera ha cessato di esistere come spazio geografico, per lasciare posto a dei confini, essa è diventata il collante ideologico-poetico-mitico della nazione. Il movimento, il viaggio, la strada, l’inquietudine diventano i luoghi nei quali la frontiera rinasce: “l’importante è andare”, dice il Jack Kerouac di On the road.

Nell’antichità greca, lo straniero era sostenuto da nessi sacrali e avvolto da istituti che lo garantivano. “Straniero, è mia abitudine onorare gli ospiti…sì, gli stranieri, i mendicanti, tutti, ci sono mandati da Zeus”, dice nell’Odissea, Eumeo rivolto allo straniero per eccellenza, Ulisse. L’eroe omerico vive sempre su un confine: quello che corre tra il noto e l’ignoto. Quale dei due sceglie, nel suo perenne oscillare tra l’uno e l’altro? Milan Kundera ne ha riletto il mito con occhi contemporanei: “Ulisse conobbe accanto a Calipso una vera dolce vita, vita di agi, vita di gioie. Eppure, fra la dolce vita in terra straniera e il ritorno periglioso a casa, scelse il ritorno. All’esplorazione appassionata dell’ignoto (l’avventura), preferì l’apoteosi del noto (il ritorno). All’infinito (giacché l’avventura ha la pretesa di non avere mai fine), preferì la fine (giacché il ritorno è la riconciliazione con la finitezza della vita) “. Se lo straniero nell’antichità è circondato da un’aurea di sacralità, l’ospitalità è un dovere ineludibile che accomuna molte culture: per l’orientalista Louis Massignon “Abramo è il primo eroe dell’ospitalità“. Oggi lo straniero assume i tratti dell’invasore, del migrante, del senza patria, del clandestino.

Ma cosa significa vivere sulla frontiera? Cosa significa per un’identità vivere a cavallo di due mondi che si specchiano uno nell’altro, si attraggono e si respingono? La scrittrice Gloria Anzaldua: “Il confine tra Stati Uniti e Messico es una herida apierta, in cui il Terzo Mondo si strofina forte contro il Primo e sanguina. E prima che si formi una crosta l’emorragia riprende, il sangue vitale di due mondi che si fondono per formare un terzo paese – una cultura di confine. Un confine è una linea divisoria, una striscia stretta lungo un bordo ripido. Una borderland è un luogo vago e indeterminato, creato dal residuo emotivo di un confine innaturale. Si trova in uno stato di transizione continua”. Il Nord è molto spesso solo un miraggio. Canta Ry Cooder in Across the borderline: “Mi hanno detto che c’è un paese/ dove tutte le strade sono ricoperte d’oro/ed è proprio dall’altra parte del confine/ è quando è il tuo momento di passare di là/ eccoti una lezione che devi imparare/ tu puoi perderci ben di più di quanto ci posso trovare”.

Se la nostra esistenza è un venire al mondo, la nascita è un violare un confine. Il mistero della nascita è catturato dai versi di Dylan Thomas: “Chi/sei tu/ che nasci/ nella stanza accanto/ alla mia con tanto clamore/ che io posso udire l’aprirsi/ del ventre e il buio trascorrere/ sopra lo spirito e il tonfo del figlio/ dietro il muro sottile come un osso di scricciolo?// Nella stanza sanguinante della nascita/ ignoto al bruciare e al girare del tempo/ e all’impronta del cuore dell’uomo/ nessun battesimo si curva/ ma il buio solamente/ a benedire/ il barbaro/ bimbo”.

Chi ha dato uno spessore filosofico (e politico) all’atto della nascita è stata Hannah Arendt. E’ la nascita, la pluralità delle nascite, a inaugurare lo spazio politico per eccellenza, lo spazio nel quale si intrecciano le azioni umane. E’ la nascita e non l’essere-per-la-morte il tratto dell’umano: “Poichè l’azione è l’attività politica per eccellenza, la natalità, e non la mortalità, può essere la categoria centrale del pensiero politico in quanto si distingue da quello metafisico”.

Se tracciare confini è un modo per organizzare lo spazio, c’è un’esperienza nel cuore della civiltà occidentale in cui la suddivisione, la chiusura dello spazio, si trasforma in esperienza di morte. In morte di massa. Nel campo di concentramento il confine spaziale diventa immediatamente sentenza di morte. Chi è nel recinto è un condannato, un non essere, un’entità spogliata di ogni identità, ogni diritto. L’uso politico dello spazio, fino alla sua perversione più spaventosa, è stato analizzato da Michel Foucault, nei suoi studi sulla prigione, la fabbrica, la disciplina. Olivier Razac, sulla scia di Foucault,  ha tracciato la storia del filo spinato, che proprio nei campi di concentramento raggiunge il massimo utilizzo. Ma qual è la sua finalità? “Il filo spinato è un operatore di trasformazione dell’uomo in puro materiale vivente”. 

Eugenio Montale ha scoperto il confine segreto che attraversa le cose, che le apre all’inaspettato o le fa partecipi del nulla.  Nei limoni il poeta ritrova “le trombe d’oro della solarità”, nelle pozzanghere le anguille scivolose, nel pieno del tutto l’impronta del nulla, “con terrore da ubriaco”.

L’esistenza è suggellata da un confine. Quel confine è ciò che la limita, che ne fa franare il senso, che la dissolve o al contrario è ciò che le dà pieno significato?  Luce D’Eramo, fa dire a un personaggio di Una strana fortuna: “Se mi ami devi amare anche la mia morte”.

Leggi i 19 commenti a questo articolo
  1. Anonimo ha detto:

    Seconda stella a destra
    questo è il cammino
    e poi dritto fino al mattino
    poi la strada la trovi da te
    porta all’Isola che non c’è

  2. anonima ha detto:

    Se non c’è mai la guerra
    forse è l’ isola che non c’è
    non è in gioco di parole
    se ci credi ti basta perché
    poi la strada la trovi da te

  3. Carlo ha detto:

    Confine e frontiera. Ad una prima riflessione essi sembrano avere due accezioni opposte: uno limita, rinchiude, pone dei ‘paletti’, l’altro spinge al superamento, richiama ad oltre di sè.

    A ben pensarci il confine porta innata, dentro di sè, l’accezione di frontiera. O meglio, questo vale in quanto il soggetto che sperimenta il confine è l’uomo, l’unico essere che costitutivamente ha l’esigenza di spingersi ‘oltre’, poichè sperimenta che ogni cosa non gli basta.

    Il confine non è, come hai spiegato benissimo, solamente ‘fisico’. Ogni pezzo della realtà in sè ha un confine, sta al nostro sguardo il percepirlo e cercare di superarlo. Mi viene in mente l’inizio di una poesia di Rebora:

    “Qualunque cosa tu dica o faccia
    c’è un grido dentro:
    non è per questo, non è per questo!
    E così tutto rimanda
    a una segreta domanda…”

    Solo chi prende sul serio ciò che gli sta davanti riconosce che questo non lo può soddisfare o compiere veramente. Serve umiltà per riconoscere la sproporzione del desiderio rispetto a cio che, terrenamente, avrebbe la pretesa di compierlo.

    Il confine diventa una “frontiera in potenza”, la dinamica del confine è quella dello spingere ‘oltre’.

  4. vichi ha detto:

    Per ma la frontiera rappresenta un sito di transizione provvisorio di arrivi e partenze verso la linea obbligata del confine di alba e tramonto, nascita e morte ,noto e ignoto.

  5. lalla ha detto:

    In origine la parola “marco” non aveva niente a che fare con la moneta. Nella lingua antica tedesca ‘marcha’ significa confine, delimitazione. Ancora oggi le parole “marcare” (in tedesco: “markieren”) testimoniano questa origine. “Markstein” è ancora oggi il nome della pietra che indica il limite di un territorio. “Mark” divenne poi il nome del territorio di confine, infatti da lì vengono nomi come “Danimarca” (regione dei danesi), “Mark Brandenburg” (nome tradizionale della regione tedesca di Brandeburgo) e anche “le Marche”! Le Marche erano infatti zona di confine con il Sacro Romano Impero. I feudi che gli imperatori davano ai nobili da condurre si chiamavano marchesati, da cui presero il nome la Marca di Fano, la Marca di Camerino, la Marca di Ancona. Ecco perché oggi, pur essendo una singola regione, la regione ha il nome al plurale. “Marchese” in tedesco è “Markgraf”, cioè conte di una zona di confine.
    Molte parole in uso corrente (oltre a “markieren e “Markstein”) testimoniano l’origine della parola. Nel rugby “Mark” significa “fuori”, “markant” sta per marcato, pronunciato, “die Marke” è contrassegno, marchio e la marca, die Markung è la demarcazione e infine: die Briefmarke (francobollo) indica un valore e si avvicina così già al “marco” come nome per la moneta.
    Da: Cosa c’entra il marco tedesco con “Le Marche”

  6. Max Granieri ha detto:

    E’ un post che aiuta a comprendere quanto accade in Iran. Cito parte di un brano che rievoca quanto scritto da Luca, dal mio punto di vista: “Quelle creature hanno superato le barricate e si sono dirette verso il mare. Lei ha iniziato a respirare al pensiero di tutta quella libertà. Si è alzata e ha sussurrato al suo bambino, mi appartieni… Quelle barricate possono reggere solo per un certo tempo”. Barricate come “chiusure di spazio” da spezzare, rompere in una silenziosa rivoluzione. La canzone è “Belong” dei REM. Grande Luca!

  7. manuela pallonì ha detto:

    Quanti tipi di confini esistono nella mente e nell’anima?
    Quali i confini che la nostra percezione impone per l’approssimazione al senso di realtà?
    Confini mentali senza la dialettica della domanda e della risposta: il disincanto esistenziale, la depressione, i sistemi politici autoritari, le ideologie, lo gnosticismo, la superstizione, l’assenza di Dio. Confini che non si pongono la domanda, se vi sia una frontiera, per cui valga la pena d’infrangere la legge che li regola.
    L’italiano “frontiera” racchiude in sé il sostantivo “fronte”; la frontiera è “fronte a”, è rivolta verso (contro) qualcosa, verso (contro) qualcuno. Questo fronte è mobile, in continua trasformazione. La frontiera è instabile nelle abitudini e nei costumi della società” nel’inquietudini dell’anima e nella ricerca di Dio.
    Non sono mai cento gli anni della vita ma di mille ne portano il dolore, è il senso di chiusura e di segregazione che “non si mette in viaggio per Itaca”.
    La frontiera è l’ascesi interiore e artistica di Kavafis cui essa lo spingerà, dove il poeta sa di non poter trovare una finestra aperta sul reale e sulla libertà.
    Le frontiere sono situazione di vita di gente comune che abbia fatto la scelta di esplorare la strada per esplorare la vita per sottrarsi a situazioni insostenibili “dobbiamo andare e non fermarci finchè non siamo arrivati” dove andiamo?” non lo so, ma dobbiamo andare” (Jack Kerouac – On the road)

    La frontiera è anche la Memoria storica nel libro CAMPO del SANGUE di Eraldo Affinati “ (…) come se dovessi viaggiare in un calco memoriale, diventando il modello teorico del deportato”.
    E poi alla fine mi chiedo se sul mio confine ho una frontiera, e quale, da esplorare come la traccia del un solco che il vomere dell’aratro traccia nella terra.

  8. Manuela Palloni ha detto:

    “Varcare la frontiera vuol dire uscire da uno spazio conosciuto, rassicurante, ed entrare in quello dell’incertezza”.

    “Mi sento come in un piccolo campo di battaglia dove si combattono i problemi del nostro tempo “(Etty Hillesum).

    “ È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili” ( Anna Frank.

    La scrittura dei Diari delle due giovani donne esce dal confine del foglio “e si dissolve quando si penetra nell’ignoto che essa stessa custodisce.” La frontiera è allora un velo con cui l’inconoscibile si offre alla presa dell’uomo.”
    E’ la speranza in un piccolo miracolo quotidiano, nei diari di Anna, in lei emerge un prepotente spirito libero, senza età: sembra di poter vedere un’anima matura in un corpo di bambina, fiduciosa nell’avvenire, nella bontà dell’uomo.

    La Fede in Dio è la frontiera per EttY.
    Etty Hillesum aveva qualche anno più di Anna Frank, ma a lei è accomunata dal tragico destino degli ebrei vittime della furia nazista. Ventiseienne ebrea olandese, visse ad Amsterdam e morì ad Auschwitz nel 1943. Attraverso le parole dei suoi diari e delle sue lettere, una sbalorditiva speranza e fiducia nel genere umano.

    Il velo con cui l’inconoscibile si apre è un pezzo di noi da cercare dentro di noi, fuori dalla torre di Babele del mondo: Nella segregazione dell’anima , “in un linguaggio differente, il linguaggio con Dio, un linguaggio che rende presente ciò che altri avvertono invece assente.” ( Aprire Antonio Spadaro) .

    Dialogare come Etty “ in modo pazzo e infantile o serissimo con la parte più profonda di me che per comodità io chiamo Dio”.

    Camminare nel mondo spirituale non è una passeggiata bucolica è soffrire le sofferenze degli altri, dei nostri tempi.

    “Dobbiamo aprire il nostro spazio interiore senza fuggire, far sì che questi problemi trovino ospitalità in noi che in noi combattono e si plachino.

    “NONOSTANTE TUTTO LA VITA È BELLA CONTINUO A RINGRAZIARE DIO PER LA VITA” afferma la Hillesum “
    Ella afferma “l’ unica cosa possiamo salvare in questi tempi è un piccolo pezzo di te.” Cult Book – I diari e le lettere di Etty Hillesum

  9. Anonima ha detto:

    ANSA scia di tensione in queste ore a Roma

    “Il veolo con cui l’inconoscibile si apre è un pezzo di noi da cercare dentro di noi, fuori dalla torre di Babele del mondo:
    Nella segregazione dell’anima , “in un linguaggio differente, il linguaggio con Dio, un linguaggio che rende presente ciò che altri avvertono invece assente.” ( Aprire Antonio Spadaro) .

    LA NUOVA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI: VERO ESAME DI COSCIENZA PER TUTTI

    UN ALTRO MONDO È POSSIBILE
    NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ
    LA NUOVA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI: VERO ESAME DI COSCIENZA PER TUTTI

    L’enciclica serve per spiegare che non si tratta di un’utopia, ma che mettendo in fila analisi serie e buone pratiche, si può cambiare il mondo, migliorare la giustizia, far procedere il bene comune e dare a ognuno il suo.

    L’enciclica parla a tutti: ai manager, ai sindacati, ai politici. Ma parla anche a ciascuno di noi. Può essere un buon esercizio leggerla per un esame di coscienza, per verificare quanto il nostro stile di vita guasta il destino degli altri. ( famiglia cristiana)

  10. lalla ha detto:

    “Guido sul nastro d’asfalto verso la frontiera polacca: è dedicata all’amicizia fra i popoli…Quando ormai sono in prossimità del confine, sterzo in direzione della fortezza di Guten. Nel 1945 venne utilizzata come bunker difensivo. Ora appare in disarmo. Lì accanto c’è un campeggio di giovani eccentrici, come si vedevano in Italia negli anni Settanta. Capelli rossi, azzurri, blu. Tatuaggi, canottiere a righe, pantaloni attillati, stivali e canne. Mezzi anarchici, stufi di tutto. Aspirano il fumo là dove i loro bisnonni finirono schiacciati sotto i blindati sovietici.
    (Da: Berlin, di Eraldo Affinati, p. 211-212)

  11. EmMagi ha detto:

    “Mi sento come in un piccolo campo di battaglia dove si combattono i problemi del nostro tempo “(Etty Hillesum).
    “ È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili” ( Anna Frank).”

    Nella carità e nella verità, ci dice il Santo Padre che si superano i confini politico-geografici del mondo.

    E’ nell’ esperienza del dono,UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, mi sembra di capire che ”vecchi rancori storici –mostri della storia- unifica gli uomini nell’amore gratuito e non nell’odio.

    UN VERO ESAME DI COSCIENZA PER TUTTI
    NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ

    “La carità e la verità pongono l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono” mentre, per quanto riguarda le relazioni economiche, “senza forme interne di solidarietà e fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”.
    spiega il pontefice, ”la carita’ nella verita’ e’ una forza che costituisce la comunita’, unifica gli uomini”. ”La logica del dono – precisa – non esclude la giustizia” mentre ”lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuita’ come espressione di fraternita”.

  12. fru fru ha detto:

    Siegati meglio ,lalla, secondo te in Berlin di Affinai “la solidarietà fra i popoli” passa per ragazzi mezzi anarchici, stufi di tutto, mentre aspirano fumo?

  13. lalla ha detto:

    Si. Sono una persona sensibile, e, “leggo e sento e interpreto”, tra le righe, proprio qualche cosa del genere.

  14. fru fru ha detto:

    Evviva son tornati i figli dei fiori!

  15. leo ha detto:

    Mettete dei fiori nei vostri cannoni” e “Fate l’amore, non la guerra”, Bravo Affinati!

  16. magdala ha detto:

    “Siegati meglio ,lalla, secondo te in Berlin di Affinai “la solidarietà fra i popoli” passa per ragazzi mezzi anarchici, stufi di tutto, mentre aspirano fumo?”

    Nella carità e nella verità, ci dice il Santo Padre che si superano i confini politico-geografici del mondo.

    E’ nell’ esperienza del dono,UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, mi sembra di capire che ”vecchi rancori storici –mostri della storia- unifica gli uomini nell’amore gratuito e non nell’odio.

    UN VERO ESAME DI COSCIENZA PER TUTTI
    NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ

    “La carità e la verità pongono l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono” mentre, per quanto riguarda le relazioni economiche, “senza forme interne di solidarietà e fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”.
    spiega il pontefice, ”la carita’ nella verita’ e’ una forza che costituisce la comunita’, unifica gli uomini”. ”La logica del dono – precisa – non esclude la giustizia” mentre ”lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuita’ come espressione di fraternita”.

  17. anonimo ha detto:

    Francesco De Luca precisa che il punto di vista sintetico assunto dall’enciclica è che “il ricevere precede il fare”. Vale a dire che “bisogna convertirsi a vedere l’economia e il lavoro, la famiglia e la comunità, la legge naturale posta in noi ed il creato posto davanti a noi e per noi come una chiamata – la parola ‘vocazione’ ricorre spesso nell’enciclica – ad una assunzione solidale di responsabilità per il bene comune”. Per questo il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l’annuncio di Cristo”.

  18. vajmax ha detto:

    Se il confine è una difesa, è anche il punto d’inizio della scoperta dell’altro, mentre la frontiera è un orizzonte che si sposta quando sta per essere raggiunto. Si sposta perché mostra l’aspetto indefinibile di una realtà che non è lineare. A questa natura ciclica l’orizzonte deve la sua forza, ma deve anche la sua mancanza di esaustività. L’orizzonte è superficiale e la superficie non contiene l’Essenza se non come riflesso capovolto. L’Essenza è nel Centro che determina l’orizzonte, Centro che non si muove, a immagine del più piccolo punto centrale che tutto abbraccia: quello Spirituale. Il punto, realtà priva di estensione e forma, quando si moltiplica, dividendosi, consente alla retta di estendersi nel relativo e la retta, che è in realtà il segmento di un’immane curvatura, dividendosi e moltiplicandosi in altre curvature, apparentemente rettilinee, dà forma a un piano, curvo anch’esso, che dividendosi e moltiplicandosi in altri piani costituirà il solido che ha, nel proprio compito, il trovare rifugio nella completezza del punto senza estensione che è la porta d’accesso alla vita e che noi identifichiamo alla morte. L’infinitesimo puntino centrale che dà origine al vortice cosmico e universale è, nella manifestazione relativa, la realtà più piccola che unisce l’esistenza alla non esistenza, ma nella Realtà vera e assoluta quel puntino si rivela essere la più grande Verità che tutti ama e abbraccia. Il punto privo di dimensione, e l’istante privo di durata, sono i testimoni dell’Infinito dal quale traggono nutrimento.

  19. Lalla Romano ha detto:

    La storia della beat generation non sarebbe come la conosciamo se non ci fosse stata Lalla Romano. E’ stata il faro italiano che ha rischiarato l’oscurità della nostra ignoranza

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