Un nodo d’acciaio

Nell’antologia Un nodo d’acciaio, pubblicata dalla casa editrice ExCogita e curata dall’associazione TarantoViva, non c’è posto per disfattisti, piagnoni o narratori dall’inchiostro d’aria. La questione non è di certo nuova – purtroppo – ma resta estremamente seria, e perciò non si scherza: Taranto e Ilva. E il nodo che li lega e che li stringe, soffocando via via ora un capo ora l’altro.
Cronache, racconti, resoconti, ricordi, riflessioni e analisi economico-sociali gettano luce su alcune delle tante sfaccettature di una città al cospetto di un ingombrante stabilimento siderurgico. Due mondi paralleli – dalla ormai comune polverosa anima rossa − le cui vite si incrociano, si invadono e si fondono, talvolta annullandosi. Ilva come erma bifronte? Anche, ma non solo. Lavoro e sostentamento da un lato, infortuni e inquinamento dall’altro. Ma Ilva anche come tassello fondamentale di un processo che porta il capoluogo jonico a meditare sulla possibilità di ricercare una nuova vocazione economica.
A firmare gli svariati contributi sono stati giornalisti, scrittori, fotografi, illustratori, membri dell’associazione promotrice dell’iniziativa, nonché figure professionali che hanno svolto un ruolo di primo piano nelle vicende legate, in particolar modo, all’impatto ambientale del centro siderurgico stesso. Il risultato finale? Un’opera dalla forte personalità, carica di senso civico e fucina di spunti interessanti per aprire un costruttivo dibattito anche su scala nazionale. La parola a Girolamo Albano, Massimina Gigante e Roberto Petrachi, curatori dell’antologia e membri dell’associazione TarantoViva.

Qual è stata l’urgenza che ha spinto l’associazione TarantoViva a pubblicare un’antologia sul rapporto tra i tarantini e l’acciaieria?

La sensazione che, dopo l’Atto d’Intesa, si volesse diffondere l’idea che la questione ambientale fosse risolta.

Quali sono gli effetti che vorreste sortire nei lettori di Un nodo d’acciaio?


Vorremmo che i tarantini, attraverso la disponibilità di uno strumento di informazione e di riflessione, prendessero coscienza che, se pure si sono mossi i primi passi, la situazione è tale che bisogna mettersi a correre per evitare danni ulteriori e forse irreversibili.

Esistono nodi che legano, che bloccano, che stringono o che, addirittura, strozzano. Alcuni sono larghi, altri stretti. A volte, i nodi si fermano in gola, mentre altre si rivelano l’anima di un fiocco o il quid di un amore. Poi ci sono nodi naturali, artificiali e ibridi. In quali di queste categorie potremmo far rientrare il nodo tra Taranto e l’Ilva?

Ci sono anche grovigli che si possono solo recidere. Attualmente il rapporto fra città e acciaieria ci sembra un nodo molto intricato e, allo stesso tempo, sfilacciato. Sempre più emerge una coscienza critica e mutano gli stati d’animo. Senza cambiamenti, questo nodo rischia di diventare soffocante, anche in senso metaforico, per il futuro di Taranto.

Un coro di voci affronta con la penna in mano la spinosa questione “Ilva”. Ma si tratta di un coro che racconta o che urla? E questo coro, cosa ha mostrato di avere maggiore premura di dire?

Il coro degli interventi vorrebbe esprimere molte voci dei tarantini. A volte il registro è quello della narrazione, a volte della rabbia, a volte del dramma e, a volte, perfino della satira.

La maggior parte dei componenti di TarantoViva abita a più di mille Km dal capoluogo jonico. Credete che la vostra distanza dalla nostra città – distanza più fisica che mentale – vi abbia in qualche modo favorito nel valutare con un certo “distacco”, e perciò con una certa “lucidità”, l’andamento delle attuali dinamiche nel rapporto tra Taranto e il gigante siderurgico che, agli occhi di chi ne incrocia quotidianamente i colori, i sapori e gli scherzetti, rischia talvolta di divenire invisibile?

Sicuramente l’emigrazione porta a contatto con realtà differenti e con problemi magari analoghi che hanno trovato soluzioni differenti e maggiormente risolutive. Pensiamo a Cornigliano o ad altre aree a rischio. Non crediamo che la lontananza porti al distacco o alla freddezza; forse permette di continuare a sperare e di pensare che, se ce l’hanno fatta da altre parti, ce la possiamo fare anche qui.

Al di là delle notevoli differenze di stile, tono e genere tra i vari contributi raccolti nell’antologia, credete vi si possano individuare alcune costanti? Se sì, quali?

L’emozione, l’impegno, la passione civile e il talento fra i sentimenti degli autori. E poi, fra gli argomenti, il problema delle polveri minerali, degli incidenti sul lavoro, della necessità di un’identità culturale nuova e del rischio che, continuando a non avere risposte, la gente smetta di chiedere soluzioni e si rifugi nell’indifferenza e nell’inerzia.

Qual è l’immagine che l’antologia offre della nostra città al lettore “forestiero”?

Quella di una città ferita nel profondo, ma non spenta, con un desiderio di partecipazione, patrimonio, questo, da non disperdere e da ascoltare.

Quali sono i limiti e quali le potenzialità di questo lavoro?

I limiti ed anche i pregi sono quelli legati all’intensità dei vissuti relativi all’acciaieria. La potenzialità è quella di destare attenzione sull’argomento e di suscitare una discussione, ma anche la convinzione che ci possa essere un’evoluzione soddisfacente.

Qual è, o meglio, quali sono, in definitiva, i messaggi che si è riusciti a lanciare con Un nodo d’acciaio?

Il messaggio principale è che a Taranto ci sono talenti, capacità, tensione ideale e buona volontà. Bisogna ricordare sempre di essere cittadini e di poterlo essere in modo attivo. Anche di fronte ad eventi dolorosi o a realtà deprimenti.

Oltre Taranto, quali altre città vi ospiteranno per la presentazione del libro?

Vorremmo portare l’argomento fuori dal recinto urbano, cosa che, peraltro, sta già succedendo spontaneamente. Sicuramente Un nodo d’acciaio sarà presentato a Milano e a Torino e vorremmo portarlo anche a Bologna, a Firenze, a Padova, a Pisa, a Roma e, magari, a Genova e nelle città dove l’associazione TarantoViva è presente.

A che cosa sarà devoluto il ricavato delle vendite del libro?

Vorremmo finanziare un dottorato di ricerca o una tesi di laurea sulle tensostrutture di copertura dei parchi minerali. Ci sembra che possa essere l’occasione di un progetto laico, commissionato dalla società civile, che mostri una via per risolvere il tormento delle polveri minerali. In Giappone l’hanno fatto, perché da noi no?

Chi sentite di dover ringraziare per la realizzazione di questo lavoro?

Tutti gli autori che hanno scritto, per la pazienza, per la fiducia e, soprattutto, per l’entusiasmo e per il sostegno emotivo che ci hanno dato nei momenti di difficoltà. Ma anche chi ci ha sostenuto economicamente.
Sì, crediamo che non valga la pena essere pessimisti.

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  1. Lorenzo ha detto:

    Abbastanza attuale… :(

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