Tutti i figli di Dio danzano

Il Libro si compone di sei racconti ambientati intorno alla metà degli anni 90, al tempo del terremoto che distrusse la città giapponese di Kobe.
L’autore, Haruki Murakami, è il traduttore in giapponese di Raymond Carver e, come è stato ampiamente notato, è possibile cogliere in alcuni tratti caratteristici delle sue opere l’impronta del famoso scrittore americano, nell’attenzione che egli mostra per le piccole cose, nel gusto per il particolare, per il dettaglio, per l’attimo di sospensione prima che un sentimento e una frase siano pienamente compiuti e consapevolmente vissuti.
I protagonisti dei sei racconti sono uomini comuni osservati negli ambienti e nelle azioni ordinarie della vita, impiegati alle prese con il loro lavoro, casalinghe, madri indaffarate, giovani alla ricerca del vero padre, personaggi che hanno un tratto in comune: sono alla deriva, vivono un momento di crisi non facilmente superabile, nell’attesa più o meno consapevole di una situazione nuova, l’incontro con una persona o il presentarsi di una circostanza, che può cambiare il corso della loro vita. Il disagio che questa condizione comporta, ha allora una connotazione positiva: mette il personaggio in grado di prendere coscienza della vita che ha vissuto fino a quel momento, spiazzandolo, gli permette di guardarla da un altro punto di vista, di scoprire opportunità altre che fino a quel momento non aveva preso in considerazione, e di poter imprimere una svolta alla sua esistenza. Il –cammino di consapevolezza– dei personaggi è l’obiettivo che Murakami si propone, sottolineato dalle parole poste a prefazione del libro, tratte dal film Pierrot le fou, del regista francese J. Luc Godard:

-Il notiziario della radio:
“Numerose le perdite tra le truppe americane, ma anche tra i vietcong si contano 115 vittime”.
La donna: “Che cosa tremenda l’anonimato!”.
L’uomo: “Come sarebbe?”.
La donna: “Dire che 115 guerrieri sono morti non fa capire niente. Non si sa nulla delle singole persone. Avevano moglie, figli? Preferivano il teatro o il cinema? Non sappiamo niente. Sono solo 115 uomini morti in guerra, questo è tutto”-.

Centoquindici uomini senza nome, diventati solo una notizia dentro la scatola nera del televisore, morti in guerra, senza un volto e un nome, ignoti. Murakami racconta la vita come una difficile ricerca della consapevolezza di sé, ricerca del proprio volto, di una ragione di vita, per non rischiare di essere messi nella scatola nera dei senza nome dall’uomo del terremoto, come teme Sara, la piccola figlia di Sayoko.
Yoshiya, il protagonista del racconto che dà il titolo al Libro, si accorge improvvisamente che la necessità di tutte le sue azioni è confusa…. Proprio come quando il fatto di saper prendere al volo la palla giocando a baseball, che per lui era stata una questione di vita o di morte, ad un certo punto aveva smesso di esserlo. Che cosa ho cercato facendo tutto questo?, si chiese Yoshiya continuando a camminare. Volevo accertare una sorta di legame col mio essere qui adesso? Speravo di entrare a far parte di una nuova trama, che mi venisse concesso un nuovo ruolo, più definito?

Questo cammino di ricerca è presentato in uno stile dimesso, familiare, in cui prevale l’uso del dialogo, la scelta di far progredire il racconto attraverso l’interazione dei personaggi, che fa affiorare progressivamente la loro storia e le caratteristiche individuali nella condizione in cui si trovano a vivere.

Murakami, è stato detto, lascia che sia la vita a parlare, la quotidianità, “senza trucchi”, come gli ha insegnato indirettamente Raymond Carter…. Nelle pagine di “Tutti i figli di Dio danzano”, le sofferenze comuni a tutti gli uomini emergono da ogni parola, da ogni piccolo gesto dei personaggi. Le emozioni, i sentimenti non vengono mai chiamati per nome, descritti, è la parola che li evoca… Il non senso della vita diventa una scatola misteriosa, la rabbia una pietra bianca e dura, “della grandezza di un pugno di un bambino”, la solitudine un grosso ranocchio che invita un uomo a salvare il mondo in una battaglia che combatterà senza riconoscimenti e senza il conforto di qualcuno.

I racconti non hanno una vera e propria conclusione, rimangono aperti: lo Scrittore ha scelto una parte di vita ben limitata, con uno sguardo al passato per quel tanto che permette di capire meglio il presente, ma il futuro rimane tutto da vivere e da scrivere: penso alla conclusione del primo racconto, Atterra un Ufo su Kushiro, in cui Komura, il protagonista, quando arriva ad sentire qualcosa di sé che non conosceva, crede di aver compiuto tanta strada ed invece, come osserva la donna che in quel momento è con lui, è solo all’inizio del cammino.

In tutti e sei i racconti è presente, in modo più o meno influente sulla storia narrata, il grande terremoto che colpì Kobe nel 1995, vivo nel ricordo di tutti attraverso le immagini diffuse dalla televisione. In alcuni esso è la molla scatenante della crisi, come nel già citato Atterra un Ufo a Kushiro: … le immagini di banche e ospedali crollati, strade piene di negozi avvolte dalle fiamme, ferrovie e autostrade fatte a pezzi… sono quelle che la moglie di Komura guarda per giorni prima di decidere di lasciare il marito, “una bolla d’aria” che non le dà quello che vorrebbe, anche se è un uomo bello e gentile e lei una donna insignificante e brutta; o in Torte al miele in cui le immagini di quel paesaggio in rovina riaprono in Junpei ferite nascoste. Sembrava che quel disastro immane, fatale, stesse modificando impercettibilmente ma inesorabilmente diversi aspetti della sua vita. Provava un profondo senso di solitudine, mai avvertito prima. Non ho nessuna radice, pensava, non sono legato a nulla.
In altri racconti il ricordo del terremoto è sullo sfondo ma sempre presente come una realtà di cui non si parla più perché da tutti conosciuta ma che continua ad esercitare la sua influenza sugli uomini e sulla loro vita che non può procedere come prima.
Il racconto che ho preferito è Torte al miele, e per diverse ragioni.
Intanto il protagonista è uno scrittore che prende consapevolezza non della sua vocazione a scrivere, di cui è convinto fin dall’inizio al punto da entrare in conflitto con la famiglia per seguire la sua vocazione, ma di come e che cosa scrivere: “Voglio scrivere racconti diversi da quelli che ho scritto finora, pensò Junpei. Racconti come quello di qualcuno che attende impaziente la fine della notte, il rischiararsi del cielo, per stringere forte nella luce le persone che ama, storie di questo tipo.”

Il tema della notte, dell’attesa impaziente dell’apparizione della luce, del rischiararsi del cielo proprio di chi prende consapevolezza del suo bisogno di amare e di essere amato e decide di impegnarsi a proteggere le persone che più ama al mondo, sono aspetti e momenti della vita stessa di Junpei: la sua maturazione come scrittore avviene parallelamente alla sua maturazione di uomo a conferma di quanto la scrittura sia unita alla vita dalla quale soltanto trae ispirazione ed alimento:

Junpei chiuse gli occhi e pensò al lungo cammino che era trascorso dentro di lui. Non voleva pensare che fosse stato solo un inutile spreco, come Takatsuki che non si sbagliava mai, aveva sicuramente un fiuto speciale per gli amici, ma questo non bastava. Continuare ad amare una sola persona per il resto della vita, è ben altro che trovare dei buoni amici. Quando verrà il mattino e Sayoko si sveglierà, le chiederò subito di sposarmi, decise. Non aveva più esitazioni. Non poteva più sprecare inutilmente un solo istante.
E mentre veglia sul sonno di Sayoko e Sara, Junpei pensa al modo di concludere anche la storia degli orsi Masakichi e Tonkichi, da lui inventata per far prendere sonno alla bambina e sviluppata a poco a poco, racconto nel racconto, in seguito alle domande acute di Sara ed alle considerazioni della madre: i due orsi scoprono di poter vivere per sempre una grande amicizia, come Sayoko e Junpei dopo il lungo cammino che li ha portati dalle aule dell’università dove erano compagni ed amici, alla decisione di impegnarsi a vivere insieme.

Tutti i figli di Dio danzano di MURAKAMI Haruki, 156 pp., Einaudi, euro 11

Murakami Haruki è nato a Kyoto nel 1949 ed è cresciuto a Kobe. È autore di molti romanzi e saggi, e ha tradotto in giapponese autori americani come Fitzgerald, Capote e Carver. In Italia sono stati pubblicati: Sotto il segno della pecora, Tokyo Blues, L’uccello che girava le viti del mondo, Dance Dance Dance, A sud del confine, a ovest del sole, La ragazza dello Sputnik, Underground, L’elefante scomparso e altri racconti.

Leggi i 2 commenti a questo articolo
  1. Katia ha detto:

    Durante il terzo incontro del corso di formazione per coordinatori di laboratori abbiamo letto proprio l’ultimo racconto di questa raccolta, Torte al miele. Grazie Tita per avermi fatto scoprire questo nuovo autore. Qualcosa mi dice che potrebbe presto diventare uno dei miei preferiti. Adesso guardo il libro che mi hai gentilmente prestato e mi accorgo che quella copertina bianca sta già iniziando ad assumere nella mia mente sembianze nuove.

  2. Giulia ha detto:

    Non lo conosco, credo che lo leggerò, Ciao Giulia

Prima di inserire un commento, assicurati di aver letto la nostra policy sui commenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *