Racconto di una presentazione di BombaCarta
Dì la verità Andrea, abbiamo avuto paura quella mattina. Era giusto giusto la giornata nella quale a Rimini si parlava di Tolkien e di quello che lui aveva “visto” mentre ci insegnava a guardare ciò che non si vede. E così, mentre il dibattito sul prestigioso componente dei vecchi Inklinks si dipanava, ci è toccato alzarci, a noi e a Don Lino Goriup. A mezzogiorno allo “Spazio clanDestino” tu dovevi “Presentare Bombacarta”. Già, ma com’è che si “presenta” un’esperienza? Con le persone.
Quei marchingegni caldi fatti di carne, con gli occhi che si muovono e le mani ora ferme, ora a disegnare e argomentare ricordi, libri, altre persone. Toccava a te raccontare ai presenti cos’è Bombacarta, cos’è cioè quel gruppo di persone che escono di casa loro con un libro o una vecchia vhs sotto al cappotto, per andare da altri a confessare cosa hanno scoperto di essere attraverso ciò che hanno letto o visto. Una setta, se mi passi il termine, che fa di tutto per non essere segreta, ma che custodisce il proprio Graal, con meticolosità e impegno. La mattinata al Meeting era piena di incontri e dibattiti e il rischio, vista anche la concomitanza col tema Tolkeniano, era quello di avere pochi spettatori presenti. Il rischio si presentò. Eravamo circa una decina quando hai fatto partire il film di Kubrick dal quale hai inteso iniziare il racconto di come è nata Bombacarta. Ma non era ne di Kubrick ne di quello schiavo meraviglioso (Spartacus) che intendevi parlarci. Era di quel tale Antonio che leggeva una poesia agli altri schiavi, era da lui che volevi iniziare. Egli infatti, pur nelle sembianze del Tony Curtis che io (da vecchio monnezaro anni Ottanta) ricordo con commozione in “Attenti a quei due” con Roger Moore, aveva esattamente lo stesso nome di quel Antonino che un giorno, dentro una classe deserta, trovò una sorpresa sotto ad un banco. C’era scritta una poesia. Chissene frega cos’era e com’era, se era bella, brutta o magnifica o superficiale, il fatto è che qualcuno aveva inciso qualcosa. Incisa capisci? Voleva che restasse. Stava salvando qualcosa, si occupava del non morire, in altre parole. Quello stesso insegnante, che il caso volle fosse pure un sacerdote, mise una cassa di cartone nell’atrio della scuola. Sulla cassa c’era una fessura, una feritoia attraverso la quale, nel più assoluto degli anonimati, chi voleva poteva inserire racconti, poesie, e tutto ciò che aveva letto o scritto e che in qualche modo ritenesse importante. Il Tomas Milian che si agita in me mi farebbe dire una sorta di “Attimo fuggente” de noartri, una “Dead poets society” senza Robin Williams. Ma con adepti forse più veri e convincenti.
Nessun pomposo addio disopra i banchi, ma una calda consuetudine settimanale. Quella “cosa” che è successa quel giorno, Antonino (che poi di cognome fa Spadaro) non lo sapeva, ma era già Bombacarta. Ah, dimenticavo, quel cartone, si riempì in poco meno di una giornata. Stavi raccontando tutto questo quando, uno alla volta, le persone che transitavano nei pressi dell’open space di clanDestino si fermavano. E poco alla volta raggiungevano la loro sedia e si univano a quanti ti ascoltavano già, fin dall’inizio. Il numero aumentava con la potenza con la quale i numeri aumentano; una cifra alla volta. Tu spiegavi che Bombacarta non è una scuola di scrittura, non è un luogo nel quale chi si reca va a parcheggiare se stesso all’ombra delle lezioni di qualche famoso (o fumoso) scrittore. Bombacarta è un posto di mare. Dove ci si arriva per scelta o anche solo per curiosità (che è lapiù umana delle scelte) con le proprie forze, e dove per “nuotare” ognuno deve battere le proprie gambette. Raccontavi di come stavi ben attento (e così gli amici Spadaro e Stas’ Gawronski) , durante gli incontri, a moderare affinché chiunque volesse portare il suo contributo potesse farlo senza incorrere nei rischi didascalici costantemente in agguato o nelle mitomanie consuete di chi crede che la scrittura nasca senza la lettura e la condivisione. Di chi voleva fare una “lezione” agli altri invece di ascoltarne una da se stesso. Spiegavi, mentre altre persone arrivavano, che a Bombacarta chi arriva deve mettersi in gioco, non “frequenta” qualcosa ma bensì “partecipa” a qualcosa. Che sia uno spezzone di un film o di un romanzo, chi arriva da voi deve avere due cose in tasca (se vuole) una cosa che lo ha emozionato, e la volontà di condividerne l’effetto. Di prolungarne il senso. Ci siamo voltati timidamente io e Don Lino, per vedere alle nostre spalle quanta gente ci fosse mentre l’incontro stava per terminare.
Erano tanti Andrea, tanti di più di quelli coi quali si era partiti. E la sensazione era che se fosse stato possibile proseguire, sarebbero stati ancora di più ad unirsi. Proprio come Bombacarta.
Credo di conoscere bene quella sensazione.
Presentare BC non è affatto difficile, sentite che nome, anche se non la conoscessi direi che quasi quasi si presenta da sola. Il timore è sempre quello di non riuscire a spiegare bene cosa si prova a chi BC non l’ha mai conosciuta, di non riuscire a trovare le parole e le espressioni giuste per descrivere in breve un qualcosa in grado di provocare un mutamento altrettanto indefinibile. Ma poi gli sguardi, la curiosità, le timide attese, le prime strette di mano, noi quelle le conosciamo bene e, personalmente, mi emozionano sempre tanto.
Lunga vita a BC!