Ironia vs. Epica?
Su Ombre rosse visto a scuola, tra epica e ironia – di Andrea Monda [apparso su Avvenire il 26 novembre 2009]
Diceva J.L.Borges che “anche se per motivi commerciali Hollywood ha resuscitato l’epica”. Il poeta argentino, che finché poté vedere fu ottimo critico cinematografico, si riferiva in particolare al cinema western che secondo lui aveva preso il testimone della lunga corsa del genere epico, il più antico dei generi letterari, corsa che dopo millenni di stradominio, si era arenata alla fine del ‘500 dopo l’Ariosto e il Tasso e con l’arrivo dell’ironia del Don Chisciotte di Cervantes. Quando interviene la parodia di un genere vuol dire che quel genere è giunto al suo canto del cigno.
Ma l’epica non si è data per vinta e, come un fiume carsico, ha ripreso il suo corso camuffandosi e occultandosi per poi rispuntare in modo proteiforme e sorprendente, magari nel melodramma, nell’opera lirica, nella musica rock o appunto nel cinema, specie quello americano che ha conosciuto la grande epopea del West e della frontiera. Ho sempre amato il western e se potevo, al limite, capire che alle donne questo genere così essenziale potesse non intrigare, non potevo accettare il fatto che il western non piaccia più… e invece sono stato doppiamente smentito da quell’amica antipatica e irriducibile che è la realtà.
Quest’anno infatti ho organizzato un cineforum a scuola (lì dove i cineforum ancora resistono, a fatica) sul tema della speranza: Spes contra spem l’ho intitolato citando San Palo che parla di Abramo che “ha sperato contro ogni speranza”, ad indicare che i film ricompresi nella rassegna avrebbero raccontato storie in cui i protagonisti si trovano in condizioni disperate riuscendo però ad esercitare la virtù della speranza ricacciando via la tentazione della disperazione e a compiere azioni fino a quel momento considerate semplicemente impossibili. All’interno di questo cineforum ho quindi deciso di far vedere uno dei capolavori di John Ford Ombre rosse che, tra l’altro, proprio quest’anno compie 70 anni. Mi rendo conto che il mio era un doppio salto mortale: far vedere a dei ragazzi di liceo un film western del 1939 in bianco e nero… Credo però che l’insegnamento debba essere anche una pro-vocazione e poi, come Jannacci, ho voluto vedere l’effetto che fa. Risultato: un mezzo fiasco. C’erano una quindicina di studenti su 700, però nessuno se n’è andato prima della fine del film. Al termine c’è stato l’immancabile dibattito (altrimenti che cineforum sarebbe?) e mi hanno molto colpito le reazioni dei ragazzi. Un ragazzo mi ha confessato che lui non va mai a cinema perché lo trova scomodo; gli ho fatto notare che il nome della sedia del cinema è “poltrona” ma non c’è stato verso: non si può essere costretti a stare seduti senza interruzioni per due ore nello stesso posto (forse era rimasto solo perché Ombre rosse dura solo 90 minuti). Un altro mi ha detto che il film era poco spettacolare e, soprattutto, ingenuo; molto meglio i film di Leone che hanno più ironia. Mi ha colpito l’accusa di “ingenuità”; in effetti l’epica non conosce la sottile e tagliente dimensione dell’ironia e inevitabilmente mi sono interrogato sulle persone che avevo davanti, piccolo specchio della tribù degli adolescenti di oggi: sono una generazione epica o ironica? Hanno dentro il cuore il senso della frontiera e del destino ultimo dell’uomo o già il sorriso amaro che può sfociare nel cinismo? Per fortuna uscendo da scuola una ragazza mi ha ringraziato perché la storia di Dallas, la prostituta dal cuore d’oro che alla fine trova l’amore di Ringo-John Wayne, l’aveva commossa. Allora mi sono sentito un po’ come uno di quei passeggeri di quella diligenza così ricca di varia umanità che attraversa il deserto e, contro ogni speranza, vince la sua lotta per la vita.
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