Presenza e Assenza

Folla di personeParlare di presenza – assenza lì per lì mi è sembrato quasi un compito facile. Quasi un naturale prolungamento di libertà – autorità. Ed in effetti la scelta di questo binomio è nata proprio come una conseguenza direi scontata della coppia che ha aperto il nostro anno BC.

Perché nella libertà intesa come assunzione di responsabilità verso se stessi e verso gli altri si manifesta appieno la facoltà di esserci, di essere presenti.

Come di consueto partiamo dall’inizio, ovvero dalla radice etimologica di presenza: prae + esse. Essere innanzi, davanti, al cospetto di qualcuno, un piccolo “gradino in più” del “semplice” esserci.

Ma non solo: presenza, presente è qualcosa che avviene nello stesso momento in cui si parla, è un altro modo per esprimere il concetto di imminente, inevitabile.

E presente, inoltre, è anche sinonimo di dono, regalo, l’oggetto che mettiamo di fronte a chi vogliamo omaggiare. Come non citare l’immortale Kung Fu Panda? “Il passato è storia, il futuro è mistero, il presente è dono, per questo si chiama presente”.

Mentre il suo opposto, assenza (ab + esse) indica qualcosa o qualcuno che è lontano da un determinato luogo.

Come ci collochiamo rispetto alla presenza/assenza? Cosa ci suscita? È solo pienezza/vuoto o c’è anche dell’altro?

La parola a questa poesia di Par Lagerqvist che mi ha suggerito Andrea Monda a cui devo molto per la stesura di questo editoriale.

Uno sconosciuto è mio amico
uno che io non conosco, uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia
perché Egli non è presso di me.
Perché Egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza,
che colmi tutta la terra della tua assenza?

Può uno sconosciuto essermi amico (dunque vicino, presente)? È davvero così ovvio che uno sconosciuto sia lontano (anzi lontano lontano…)? Per qualcuno assente (lontano), che non è presso di me (che non mi è vicino) posso provare nostalgia? La nostalgia (che letteralmente significa dolore del ritorno) mi fa dubitare del fatto che questo qualcuno possa esistere (non c’è, non è presente dunque non esiste) e questa assenza diventa mancanza (mancus latino nel senso di monco, imperfetto, che non è a sufficienza). Può una mancanza colmare un cuore e perciò diventare presenza?

In questo incontro di opposti, basti pensare proprio all’amicizia: quanto è presenza l’amicizia? Torniamo per un attimo di nuovo sul dialogo fra il maestro Oogway e Kung Fu Panda. Cosa fa il maestro? Lo avvicina e lo ascolta. È presente per lui, diventa un vero dono per lui, un riferimento su cui contare, con cui confidarsi.

E così la presenza può essere un elemento di sicurezza, una sorta di protezione, un non sentirsi soli.

O magari la presenza può incutere timore, spaventare. Come racconta, in maniera divertente, Ozpetek nel suo Magnifica presenza dove uno strano (e simpatico) gruppo di fantasmi infesta una casa.

E chi è il fantasma? Dal greco phainomai, mi manifesto, appaio, è appunto quell’immagine che, intangibile, si mostra, è visibile. Più semplicemente, sembra, assume un sembiante, compare, c’è, si sente…

“Eccoci nella casa di Dio” fece una voce stridula. “Ti ringraziamo, o Signore, di accoglierci nella Tua casa.”

Sollevai la testa: altro che casa! Mica era una casa qualsiasi! Non aveva porte né muri interni, aveva finestre colorate che non si aprivano, colonne che non servivano a niente e soffitti tondeggianti. Perché i soffitti erano così tondi e così alti? E senza lampadari? E perché interno al sacerdote avevano acceso delle candele in pieno giorno? Guardandomi intorno, vidi che c’erano abbastanza sedili per far accomodare ognuno dei presenti. Ma dove si sarebbe seduto Dio? E perché i trecento umani stipati in quel luogo al livello del pavimento occupavano così poco posto? A che serviva tutto quello spazio intorno? Dove alloggiava Dio a casa sua?

I muri tremarono e quelle vibrazioni divennero musica: l’organo aveva cominciato a suonare. Gli acuti mi solleticavano le orecchie, i bassi mi accarezzavano le natiche. La melodia si spandeva densa, generosa.

In un attimo capii tutto: Dio era là. Dappertutto intorno a noi. Dappertutto sopra di noi. Era lui l’aria che vibrava, l’aria che cantava, l’aria che rimbalzava sotto le volte, l’aria che inarcava la schiena sotto la cupola. Era lui l’aria che si stemperava nei colori delle vetrate, l’aria che brillava, l’aria cangiante che sapeva di mirra, di cera d’api e di profumo di gigli.

Avevo il cuore pieno, il cuore forte. Respiravo Dio a pieni polmoni, al limite dello svenimento.

Un vero esempio di sinestesia questa pagina da “Il bambino di Noè” di Eric-Emmanuel Schmitt: un bambino ebreo, che un sacerdote cattolico protegge dai pericoli della deportazione, entra per la prima volta in una chiesa e letteralmente sente la presenza di Dio con tutte le sue facoltà sensoriali, udito, olfatto, vista.

Eppure quello che a me più colpisce in queste righe è l’incipit: “eccoci”. In quell’hic et nunc si realizza la vera presenza, in quell’eccoci tutti i soggetti sono letteralmente scaraventati nella presenza, sono in un luogo, lo abitano e lo possiedono con i loro sensi.

La presenza (e anche l’assenza) si può udire, vedere, odorare, spesso toccare, a volte gustare…

Come per l’Officina di ottobre, anche per questo prossimo appuntamento di novembre ci auguriamo di vedervi… presenti! Insomma, non mancate!

Leggi i 5 commenti a questo articolo
  1. Emiliano Loria ha detto:

    Grazie Tiziana, da te imparo un sacco di cose sempre. Questa strategia dell’etimologia in effetti apre la mente più di un cruciverba. Spero tanto di esserci e di ascoltarti. Un caro abbraccio,
    emiliano

  2. Gabriele ha detto:

    Grande Tizi! Bellissimo editoriale.
    Mi ha ricordato lo Tzimtzum.
    La mistica ebraica, con la sagacia e ironia che la contraddistingue, si è posta questo problema: Dio è infinito, giusto? Ma se è infinito, occupa necessariamente tutto lo spazio. Allora come ha fatto a creare il mondo?
    La risposta è meravigliosa: Dio ha tirato in dentro la pancia. Si è ritratto. Ha fatto spazio alla Creazione.
    Questa considerazione, quasi una battuta, schiude una quantità impressionante di porte.

    Riguardo al tema dell’editoriale, mi sembra indichi una verità importante: una qualsiasi relazione affettiva non può fondarsi su di una presenza invasiva. L’esserci sempre, continuamente, infinitamente, soffoca. Nell’assenza assaporo l’amore. Riempio le lacune di significato. L’amicizia cresce con tenacia al gelo dell’assenza, si tempra fino a esplodere nella gioia del ritrovarsi.
    Nostalgia e tensione, agrodolce della mancanza. E si comprende come l’unione, anche intima, è vera solo nell’alternanza di presenza e assenza.
    Ma stiamo scoprendo l’acqua calda. La separazione non è l’elemento fondante di ogni fiaba, storia romantica, amore adolescenziale?
    Una buona sintesi del binomio presenza/assenza credo sia “La stanza del figlio” di Nanni Moretti, film a cui abbino spesso il senso vuoto e la nostalgia colma di affetto. Pellicola straripante di assenza. Che si specchia nella canzone liet-motiv: By this river, di Brian Eno.
    “You talk to me
    as if from a distance
    And I reply
    With impressions chosen from another time, time, time,
    From another time.”

    Tornando allo Tzimtzum, mi piace sempre sottolinearne un corollario: il creato è la dove Dio non c’è. E allora, quanto è vera la poesia di Lagerqvist che hai citato, cara Tiziana!

    Scrivendo mi sono anche accorto di quanto mi mancate. Quindi… vi abbraccio forte. Ma come, non essendo presente? Eh, l’amicizia fa questo e ben altri miracoli.

    Ciao!

  3. Pietro ha detto:

    05:50/1… Questo cielo d’Oriente si colora di armonie silenziose. Nel cuore passa e fa male un grande bisogno d’Amore… Grazie.

  4. Paolo Pegoraro ha detto:

    Trovo questo binomio molto stimolante, in particolare non è poi così facile definire la «presenza» proprio perché presupposta (erroneamente) come nostro stato abituale. Ma cosa significa essere «presenti» a se stessi? Cos’è la «presenza» di spirito? Quante volte ci viene detto che abbiamo un’espressione «assente»… Siamo e non siamo, l’io è altro(ve). E allora, conclude Milosz: «L’utilità della poesia sta nel ricordarci / quanto sia difficile restare la stessa persona / perché la nostra casa è aperta, la porta senza chiave, / e ospiti invisibili entrano ed escono»

  5. ulysses lorenzetti ha detto:

    L’essenza di Dio
    L ‘”essenza di Dio” è composto da ” SPAZIO FISICOU DI UNIVERSO ” occupato da una “intelligenza” il più alto grado di perfezione, per dare origine nel tempo e nello spazio, tutte le forme di “ENERGIA”, jogging, dall’atomo, con le sue dimensioni strutture infinitesimali, fino a che tutti i corpi celesti che compongono il cosmo, e in perfetta armonia ed equilibrio nei loro movimenti, e la purezza dei loro sentimenti di “amore” che consiste di “misericordia”, “giustizia” e “MISERICORDIA”, ci dà l’esistenza della vita

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