[Report] Officina di gennaio 2020

Margherita

La prima parte dell’intervento ha preso in analisi la vita del romanziere russo Lermontov e di Pecorin, protagonista del suo romanzo Un eroe dei nostri tempi. I fatti principali delle loro esistenze sono in buona parte sovrapponibili – l’educazione, la carriera militare, furono inviati entrambi a prestare servizio in Caucaso – ma, mentre l’autore fu ucciso nella città di Pijatigorsk da un vecchio compagno d’armi durante un duello, nel romanzo il protagonista si trova nella stessa situazione, nella stessa città, quando uccide un vecchio compagno d’armi in duello. Questa grande coincidenza – sembra quasi che Lermontov abbia “predetto” la sua morte, avvenuta tre anni dopo la pubblicazione del romanzo – ci porta ad osservare quanto sia sottile il confine tra finzione e vita reale, ma anche ad interrogarci su cosa sia un eroe. Pecorin è definito sin dal titolo del romanzo un “eroe”, eppure, a differenza del proprio autore, uccide un amico.

Un secondo intervento trae spunto da una scena del film Il coraggio, in cui Totò interpreta un pover uomo che ha tentato di uccidersi gettandosi da un ponte, ma che è stato salvato dal “Commendatore” interpretato da Gino Cervi. Nella scena, in particolare, Totò si reca dal suo “salvatore”, non per ringraziarlo, ma per accusarlo di aver agito contro la sua volontà, per dirgli che lo ha restituito ad una vita che lui non voleva e che adesso la responsabilità di quella stessa vita è nelle sue mani. D’altra parte il commendatore, che ha una parete con le foto di tutte le persone che ha salvato e fa un gran vanto del suo coraggio, rimane spiazzato dalla mancanza di gratitudine dell’uomo.

Ci si chiede dunque se sia o meno da considerarsi eroico qualcuno che agisce solo in funzione dell’accrescimento del proprio ego e per il pubblico riconoscimento derivante dal salvare vite. Emerge fortemente anche la riflessione sulla “durata” della responsabilità che un eroe ha rispetto a chi viene salvato. Mentre nella realtà chi salva delle vite deve tendenzialmente essere presente anche in un ipotetico processo di recupero di autonomia – come ad esempio per i medici – l’eroe da romanzo o da fumetto (o film) vede, nella maggior parte dei casi, la sua responsabilità come limitata al momento dell’atto eroico.

Valerio

Se la ‘responsabilità’ rinvia etimologicamente al latino ‘respondeo‘, occorre chiedersi ‘a chi (bisogna) rispondere?’. Iniziando dalla comparazione tra due eroi della fantasia (Achille e Odisseo) e un personaggio realmente esistito (Cincinnato), possiamo riscontrare delle differenze basilari nel comportamento di risposta a una ‘chiamata’. I primi infatti pur di evitare la guerra di Troia si nascondono, fingendosi uno donna e l’altro pazzo, mentre Cincinnato lascia il suo ritiro tra i campi per tornare al servizio di Roma.

Più problematica è la situazione di Jamie Lannister, che in Game of Thrones, viene ripetutamente accusato di essere un traditore. Questa la sua risposta:

Troppi giuramenti. Ti fanno giurare, giurare. Difendi il re, obbedisci al re, obbedisci a tuo padre, proteggi gli innocenti, difendi i deboli.
Che succede se tuo padre disprezza il re? E se il re massacra degli innocenti?
Giuramenti, qualsiasi cosa tu faccia, finirai sempre per infrangerne uno.

Jamie pone dunque un problema di antinomie, cioè di conflitto causato da predicati che tra loro sono in ontologica contraddizione. Rispettarne uno, significa necessariamente tradirne un altro.

Un simile (e più celebre) conflitto si consuma nell’Antigone di Sofocle, dove – almeno stando all’interpretazione più diffusa – alle leggi scritte (umane e razionali) della città, propugnate da Creonte, vengono opposte da Antigone le leggi non scritte (eterne e irrazionali) degli Dei.

Creonte: E hai osato infrangere la legge?
Antigone: E chi l’ha fatto questo bando? Dio? A me non risulta! Oppure la Giustizia dei morti? Non ha mai stabilito leggi simili! Non credevo che i tuoi ordini fossero così potenti da obbligare un essere umano a infrangere le leggi degli dèi.
Quelle sono leggi non scritte e incrollabili. Non sono di oggi o di ieri: vivono da sempre, e nessuno sa quando siano apparse.

Ovvero, secondo altra interpretazione (S. Weil), lo scontro si viene a porre tra le leggi della comunità e la legge familiare; ma, ancora, è la stessa Antigone a presentare un ulteriore dilemma familiare, sostenendo che quello che ha fatto per un fratello non lo avrebbe fatto per un marito o un figlio.

Antigone: E questa è la bella ricompensa, Polinice, per aver sepolto il tuo cadavere! Ma ho fatto bene a renderti questi onori. Chi è saggio lo capisce. Non avrei affrontato questa fatica, non avrei agito contro la città, per un figlio o per un marito. Perché dico così? Per quale legge? Se mi fosse morto un marito, avrei potuto averne un altro. O fare un figlio con un altro uomo, se avessi perso il figlio che avevo. Ma mia madre e mio padre ormai sono morti, e un altro fratello non potrebbe più nascermi. Ho seguito questa legge e ho scelto di onorare te prima di tutto, o fratello mio.

A prescindere dall’interpretazione prediletta, emerge comunque la difficile scelta tra nomos diversificati e incompatibili, simile alla tragedia narrata in Mystic River, dove lo sventurato Tim Robbins è condannato prima dalla moglie (che predilige la legge della comunità a quella del più ristretto nucleo familiare) e poi dall’amico Sean Penn (che sceglie invece la legge familiare – e della vendetta – a quella della società). E, tuttavia, da questa alternativa rimane sempre esclusa una terza, forse più eroica, via: quella del perdono.

Adriano

Se da “grandi poteri derivano grandi responsabilità” è vero anche che da piccoli poteri derivano piccole responsabilità, da medi poteri solo medie responsabilità e infine da nessun potere nessuna responsabilità? Esiste cioè una scala gerarchica che lega in maniera biunivoca potere e responsabilità?

Prendiamo ad esempio lo Han Solo di Guerre Stellari – Episodio IV,  il cui ravvedimento dal proprio impenitente egoismo salva Luke Skywalker e l’esito dell’intera missione all’ultimo secondo. O ancora, e meglio, il mite e pacifico Hobbit de Il Signore degli Anelli Samvise Gamgee che nei desolanti paesaggi di Mordor viene messo di fronte alla necessità di dover prendere sulle sue spalle le responsabilità di Frodo. Il portatore dell’anello è infatti esausto al punto da non poter muovere un solo passo in più verso la meta e nessun altro può fare qualcosa a parte Sam, che si ritrova di colpo investito di immense responsabilità pur non avendo o non riconoscendosi le qualità necessarie a compiere l’impresa. Nel momento dell’estremo bisogno, quando tutto sembra poter andare perduto, Sam si carica Frodo sulle sue spalle, pronunciando una frase emblematica:

“Non posso portare l’anello per voi, ma posso portare voi!”.

Ovvero Sam di fronte al massimo pericolo prende su di se grandi responsabilità e nel farlo inventa il proprio “potere”, cioè quello di portatore del portatore dell’anello.

Ma se ci sono piccoli e grandi impotenti che assumono grandi responsabilità sulle loro spalle esiste anche un rovescio della medaglia, ovvero grandi eroi, quasi invincibili che rifiutano di prendersi responsabilità alcuna. Un esempio tratto dalla classicità è Achille, l’invincibile eroe acheo, vero ago della bilancia delle sorti del conflitto narrato da Omero, che all’inizio del poema vediamo sfidare l’autorità di Agamennone e ritirarsi dalla guerra, offeso dal trattamento a lui riservato. Sarà un altro “assistente dell’eroe”, ovvero Patroclo, in lacrime, a tentare un ultimo disperato tentativo di ricondurre alla ragione e soprattutto alle proprie responsabilità il suo compagno d’armi.

“O Achille, figlio di Peleo, il più forte dei Danai,
non adirarti, tanta pena ha raggiunto gli Achei!
Tutti coloro ch’erano prima i più forti
giacciono tra le navi o colpiti o feriti:
è colpito il Tidide, Diomede gagliardo,
ferito d’asta Odisseo e il nobile Agamennone,
colpito anche Eurίpilo di freccia alla coscia;
i guaritori dai molti rimedi si danno da fare per essi,
curando le piaghe: e tu sei insensibile Achille.
Mai tale ira mi prenda quale tu la conservi,
distruttore! che bene avrà un altro da te, anche un tardo nipote,
se non difendi gli Argivi dalla rovina obbrobriosa?
Spietato, a te non fu padre Peleo cavaliere,
non madre Teti: il glauco mare t’ha partorito
o i dirupi rocciosi, tanto è duro il tuo animo.
Se vaticinio cerchi d’evitare nel cuore,
te ne ha predetto qualcuno la madre augusta da parte di Zeus,
manda me almeno, subito, fa’ che mi segua l’esercito
dei Mirmίdoni, potessi esser luce pei Danai!
Permetti ch’io vesta l’armi tue sulle spalle
e credendomi te fuggano dalla battaglia
i Teucri, respirino i figli guerrieri degli Achei
sfiniti; basta breve respiro in battaglia.
Facilmente noi, freschi, uomini stanchi di lotta
respingeremmo in città, via dalle navi e dalle tende”.

Francesco

“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, questa è la regola su cui è nato il cinema d’azione. John McClane, il protagonista di Die Hard, ribalta questa regola aurea, perché è un uomo qualunque che anche senza superpoteri decide di combattere i cattivi. Se Schwarzenegger fa l’eroe perché è forte e muscoloso, Bruce Willis diventa eroe semplicemente perché è responsabile. Possiamo pensare quindi che per l’uomo qualunque, per chi non ha superpoteri, la frase di zio Ben possa invero essere capovolta: “da grandi responsabilità derivano grandi poteri”.

Valeria S.

Beastars ci parla di un mondo popolato da animali antropomorfi, diviso fra erbivori e carnivori. Dato che mangiare la carne è considerato taboo, le relazioni fra questi due diversi tipi di animali sono segnate da pregiudizi e discriminazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=ciIVKkj7Hcc

In questa scena tratta dalla serie, incontriamo il personaggio di Legosi che, pur essendo nato – in quanto lupo – con dei poteri più grandi rispetto ad altri animali, rifiuta di utilizzarli perché non desidera avere le responsabilità che tali poteri comportano. Questa sua attitudine lo porta a scontrarsi con Louis (il cervo), il quale, invidioso dei suoi poteri, lo chiama ad assumersene le conseguenti responsabilità.

Cristiano

L’intervento di Cristiano ha affrontato in modo molto sintetico alcune tematiche toccate dai precedenti interventi della giornata e da alcuni post del blog, nel tentativo di capovolgere il rapporto tra persona e responsabilità, non partendo quindi da quest’ultima (qual è il nostro referente? a chi o a cosa dobbiamo “rendere conto”?) ma, al contrario, dalla prima (nel senso che la persona, nel dispiegarsi attraverso la propria libertà, automaticamente esprime la propria responsabilità).

È stato ripercorso (facendo riferimento ai lavori di Dodds e Snell) il processo di interiorizzazione della coscienza nell’uomo greco, la sua concezione della psiche e del corpo, il passaggio da una concezione omerica (in cui l’uomo è – ed è responsabile di – solo ciò che sa di sé, mentre larga parte delle sue azioni è dovuta a istanze extrapsichiche/divine) a una più recente (in cui emerge l’individuo e, con lui, il sentimento della colpa).

È stata proposta una definizione della “Persona” come soggetto di libertà (e quindi di responsabilità), che è libertà di eseguire “atti” rifacendosi al saggio Persona e atto di Wojtila.

È stata collegata questa recuperata “dignità” dell’atto a Vita Activa di Hannah Arendt, in cui si rappresenta che l’azione umana, in quanto tale, non può non operare su e dentro una “pluralità”.

È stato infine fatto solo un rapido accenno al principio di individuazione in Jung, secondo il quale, in estrema sintesi, l’uomo “individuato” mette in equilibrio (o, meglio, integra) le istanze dell’individuo e quelle del collettivo.

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