Lottare
Mi hanno sempre detto che sono un tipo calmo, dalle reazioni pacate. Non so se è così, ma quando me lo dicono mi viene sempre in mente quel giorno in cui, da studente di ginnasio, un mio compagno mi prendeva in giro senza tregua. Mi sentivo a disagio, ma ero un po’ abituato: la mia timidezza mi preveniva dall’essere troppo reattivo. Cercai di trovare una via d’uscita dalla situazione. In altri casi mi era sempre riuscito. Quella volta no. Non so come ma a un certo punto gli tirai un pugno dritto sul naso che lo stese. Non reagì. Neanche gli altri reagirono. Neanch’io. Il tempo si fermò d’improvviso. Il tempo di un respiro. Nessuno si faceva capace del fatto che io potessi reagire così.
È stata una lotta la mia? Ho accettato la sfida? No, non è stata una lotta. E’ stata una reazione puntuale. Uno scatto d’ira. Dopo la pausa di respiro ho solo alzato il bavero della mia giacca e me ne sono andato. La lotta non è uno scatto. La lotta è un processo, è un’«impresa». Lo scatto d’ira è comune, necessario, istintivo: è uno sfogo. La lotta invece è tensione verso un obiettivo. Imparare a lottare significa imparare ad avere un obiettivo nella vita e faticare per raggiungerlo.
Una caratteristica peculiare della lotta (pensiamo alla boxe, ad esempio) è il fatto di essere uno spettacolo muto, privo di linguaggio, che però richiede di essere narrato, testimoniato, celebrato all’interno di una connessione intima, dolorosa e irrisolta tra chi agisce (e chi guarda, se c’è uno spettatore). Per questo l’arte coglie nella lotta non solamente un soggetto da rappresentare, ma anche un modello di espressione: drammatica, intensa, coinvolgente. Antonio Franchini nel suo Quando vi ucciderete, maestro? La letteratura e il combattimento riporta la lezione di un maestro di arti marziali: “io v’insegno dei colpi che sono i vocaboli, poi bisogna inserirli in concatenazioni che sono le frasi, la grammatica, ma quando diventerete più capaci, sarete voi a comporre le vostre frasi, cambiando a vostra scelta, come quando scrivete… “. Lottare è scrivere una storia che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Viceversa: scrivere una storia è sempre una lotta dove le parole o le frasi sono colpi ben assestati.
La letteratura non è uno sfogo ma una lotta. Se uno scrive per sfogarsi si vede subito. Se uno vive per sfogarsi si vede subito pure. Molta gente vive solo per sfogarsi, per urtare l’esistenza e basta. Così anche molti scrittori. L’etnologo e scrittore Michel Leiris ha fatto del torero il modello di un’estetica letteraria. Egli dice che ciò che avviene nel campo letterario è senza valore se non c’è nulla “di equivalente a quello che per il torero è il corno aguzzo del toro“.
Flannery O’Connor, all’interno di una lettera del 17 gennaio 1956 si descrive efficacemente in un ricordo biografico dagli echi biblici: “Fra gli otto e i dodici anni avevo l’abitudine di chiudermi ogni tanto a chiave in una stanza e facendo una faccia feroce (e cattiva), vorticavo torno torno coi pugni serrati scazzottando l’angelo. Si trattava dell’angelo custode del quale, secondo le suore, tutti eravamo provvisti. Non ti mollava un attimo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcione finendo lunga distesa.
Ci deve essere nella nostra vita, se non vogliamo ricadere nella vanità, o un angelo da scazzottare o un corno aguzzo da affrontare.
bellissima l’osservazione sulla boxe spettacolo muto! ho visto centinaia di incontri di boxe, ho scritto sulla boxe eppure questa cosa ce l’avevo davanti gli occhi e non l’avevo mai espressa!
I pugili non parlano. Anche perchè è un grande spreco di energie parlare, io ne so qualcosa che 6 ore al giorno parlo, in piedi, a 30 alunni all’ora, che fatica (anche quella è una lotta!). Alì, the greatest, cominciò a parlare, a schernire l’avversario, a irretirlo e riuscì a sconfiggere pugili fisicamente più forti di lui. Mi viene in mente Davide contro Golia dove vince chi coglie l’essenziale (Davide prende solo qualche “buon” sasso) e va dritto alla meta sovvertendo i pronostici. La boxe è muta. Nella vita invece quasi mai si “arriva alle mani” e più che altro la lotta è verbale, è lite, diverbio, esercizio di retorica quasi forense.. (il processo legale: altro esempio di lotta istituzionalizzata, rituale, formale..). Noi litighiamo con gli altri e cerchiamo di sconfiggerli con le parole, perchè siamo dei “signori”. Il bello è che solo la boxe si chiama “noble art” (così come la codificò il marchese di Queensboury, protagonista di uno dei processi più celebri della storia: la lite/lotta con Oscar Wilde).
il sucker punch al compagno di scuola è fantastico. Non butterei via così l’esplosivo colpo di fantasia dello sfogo improvviso – certo, dopo deve essere seguito dall’allontanamento e dal silenzio, ma un cazzotto decontestualizzato ha una potenza (testimoniata anche dallo sconvolgimento istantaneo che suscita in tutti quanti) che sarebbe un peccato metter da parte.
il più violento dei mezzi, lo sforzo di far pensare la gente.
Se la gente fosse più intelli! diventerebbe intelli/gente.Facciamo questo sforzo.
va bene il cazzotto, ma alzarsi il bavero della giacca dopo no!!! (ve lo immaginate?)
P. Antonio come P. Barry (Karl Malden) in Fronte del porto? Wow da non credere? E allora ecco una citazione tratta dal film:
Terry… Terry… Hai sentito?
Sì.
Per ora hai perduto, ma potresti ancora vincere.
Cosa devo fare?
Alzarti e camminare.
Che ne dite? Calza a pennello! Ovviamente dalla parte dei “malavveduti” amici di Antonio S.
io lotto seduta su un cuscino, all’inizio sembra tutto così soffice, poi avanza la fatica della pigrizia della noia del rspiro imbarazzante, poi avanzano i demoni, la ferocia del rsoconto, vorresti fuggire, ma dove? ad un certo punto capisci ke nn puoi nasconderti e allora dopo sai ke lottare è inutile, ti arrendi, la solitudine ha milioni di volti tra cui il tuo, il cuore si apre e…i pugili o i miei pugni dati a ki mi ostacolava mi appaiono ordinaria banalità, so ke nn è violenza xkè nn c’è mai stata ferocia, quella no, x fortuna ho avuto cattivi esempi da nn imitare sulla mia via, principalmente chiamata vita di strada
Alzasi il bavero dopo è perfetto!
Molto vecchio marinaio, che dopo una salutare scazzottata si perde nei vicoli dell’angiporto. «Per oggi basta, ma ci si vede alla prossima!»
I gesti di contorno, nel combattimento stradaiolo, sono importantissimi.
Mi ricordo di una volta che un tizio ricevette per strada un mezzo pugno sul naso, già debole per altri colpi ricevuti in palestra. Era stato uno scambio rapido, dove anche lui aveva assestato qualche buon colpo e il suo avversario si era perciò fermato, guardandolo in cagnesco e ansimando per recuperare, indeciso se riprendere o allontanarsi.
Una piccola gocciolina di sangue si formò sulla narice del più forte, che, con un gesto istintivo, la asciugo con l’indice, veloce, portandosi il dito alla bocca, come per succhiarsi una puntura di spillo.
Questo semplice gesto ebbe il potere di far scomparire ogni aggressività dell’altro, che si butto all’indietro nelle braccia dei suoi amici «Tenetemi, sennò l’ammazzoooooooo!!!», ma aveva perso, tutti lo sapevano.
Lutter pour un but? Ou pour survivre? La vie est une lutte. Le boxe est un spectacle, il semble souvent au spectacle de la vie.
Bellissimo pezzo! L’immagine di Flannery O’Connor che lotta con il suo angelo custode è favolosa…
Complimenti per questo vostro progetto creativo..
Leggendo le riflessioni sul tema “lottare” mi è tornata alla mente una bella pagina di un romanzo di G. Carofiglio, “Ad occhi chiusi”, dove uno dei personaggi per spiegare un po’ la sua filosofia di vita al protagonista, l’avvocato Guerrieri, racconta la leggenda legata alla nascita dell’arte marziale del Ju-Jitsu. “Ju-Jutsu” in giapponese vuol dire “l’arte della cedevolezza”:
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Cedere, quindi, soprattutto quando l’avversario si aspetta il contrario, a volte è un’ottima mossa per vincere la “lotta”.