Persi tra le pagine?

Entrare in libreria è come andare in guerra. Sono troppi i libri scritti per essere dimenticati, una fanteria anonima e chiassosa che ci travolge appena varchiamo l’ingresso. Occorre sfondare la linea dei bestseller, saltare la trincea dei “Consigliati”, sfuggire i cecchini delle offerte. Ma scegliere si può. Si deve. Soprattutto negli anni della propria formazione intellettuale. A proporre una “bibliografia selezionata” ci hanno provato un neolaureato e un laureando, Nicola Villa e Giulio Vannucci, curatori del volume I libri da leggere a vent’anni (Edizioni dell’Asino). Un progetto avventato e imprudente, che ci rende naturalmente simpatici i suoi due giovani promotori. Ma era necessario stendere questo elenco di quasi 600 titoli, suddivisi in trenta aree di studio? Non ci dovrebbe pensare le istituzioni scolastiche, a indicare le letture imprescindibili? «Dovrebbe – dice Nicola – ma l’Università, per me, ha rappresentato una grossa delusione. L’ho trovata troppo autoreferenziale e poco impegnata in un confronto serrato con la realtà esterna. E inoltre si studia su manuali che ti fanno conoscere i testi cardine di una disciplina solo per via mediata, senza affrontarli direttamente». Un vecchio problema, purtroppo: sui banchi si rischia d’incontrare molti professori e pochi maestri. «E se a vent’anni non hai dei maestri e delle chiavi di lettura specifiche – fa eco Giulio – ti senti perso per il mondo. Rischi di essere schiacciato tra una formazione iperspecialistica o il meramente televisivo. Per noi è stato fondamentale incontrare il gruppo di persone che ruota intorno alla rivista Lo straniero di Goffredo Fofi». Ed è dialogando con questi “fratelli maggiori” che è nato il progetto “libri per ventenni”, al quale Giulio e Nicola si sono prestati per la sola scrittura e schedatura delle opere. Inutile dire che la scelta dei titoli è parziale e contestabilissima, ma i due giovani curatori non lo nascondono: meglio un prodotto apertamente partigiano intorno a cui discutere e litigare, piuttosto che un prodotto commerciale buono per ogni palato.

I MUST CHE TI ASPETTI…
Ed ecco allora le trenta sezioni specifiche: Storia, Pensiero religioso, Letteratura, Scienze, Economia, Educazione, Fumetto, Cinema… una serie di mappe entro le quali costruire, con molta libertà, i propri percorsi di lettura. Ma ad aprire il libro è una sezione mista che s’intitola chiaramente “Maestri. I testi fondamentali”. Punti fermi, insomma. Letture con le quali, presto o tardi, bisogna confrontarsi. Come Platone, i Vangeli, Agostino, Erasmo, Spinoza, Pascal, Leopardi, Kierkegaard, Marx, Tolstoj, Dostoevskij, Darwin, Rimbaud, Bonhoeffer, Lagerkvist, Said… «Proprio perché siamo convinti che la nostra crisi è culturale ed etica, mentre quella politica e sociale ne è conseguenza – spiegano i due autori – abbiamo voluto indicare degli sguardi, magari non definitivi, ma che sono stati capaci di fare la differenza». Per esempio? Nicola è rimasto folgorato da Simone Weil. Giulio dalle grandi voci nel campo dell’educazione: Ivan Illich, Fernand Deligny e Paul Goodman. Ne avevate sentito parlare all’Università? No, mai. E le sorprese non finiscono qui. Sul podio dei narratori, ad esempio, salgono a pari merito tre voci particolarissime come Franz Kafka, Elsa Morante e Albert Camus. Seguono a distanza Hemingway e Orwell.

…MA NON C’E’ FILOSOFIA SENZA AVVENTURA
Gli autori più presenti in assoluto, però, non sono romanzieri: di Ivan Illich ci sono ben sette titoli, e sei di Hannah Arendt. Scelte decisamente alte, alla faccia di chi crede che la filosofia non sia cosa da ventenni. «E invece – si accalora Giulio – la dimensione filosofica, intesa come riflessione sulle cose, è importante proprio perché è quella che oggi manca del tutto. Forse è anche per questo che abbiamo privilegiato alcuni scrittori: Morante e Kafka sono prima di tutto narratori, ma imprimono una dimensione verticale alle loro storie». Giustissimo. A fianco di questi grandi della riflessione, però – e per fortuna – non sono stati esclusi i grandi evergreen dell’avventura, come Robert L. Stevenson e Jack London. D’altra parte, se io dovessi far appassionare alla lettura un ventenne, non gli metterei subito tra le mani Il processo… Nicola sorride. «Sì, e se cerco nella mia autobiografia i testi che mi hanno avvicinato di più alla lettura, ci sono i romanzi d’avventura e di formazione. Ma è questa la base per il lavoro intellettuale, mettere in moto l’immaginazione. Bisogna immaginare per capire. Se dovessi consigliare un libro…? Beh, Huckleberry Finn di Mark Twain è uno di quei romanzi che ti aprono mondi interi e ti donano una visione di libertà. È un romanzo scritto durante la segregazione dei neri e l’avventura nasce proprio da un atto di ospitalità». Giulio punta tutte le sue carte sulla fantascienza: «Penso a Ubik di Philip Dick, a Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, a Regno a venire di James Ballard… sono affascinanti, ti coinvolgono e allo stesso tempo ti aprono un’infinità di prospettive. Sono romanzi di avventura e saggi di sociologia… ma, prima di tutto, letture entusiasmanti!».

(parzialmente comparso su Famiglia cristiana 21/2010)

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  1. Federico Cerminara ha detto:

    Sai Paolo, io non riesco a fidarmi di una persona che non conosco e vuole consigliarmi una lista di libri da leggere o film da vedere. Anche quando – persone che stimo tanto – me ne hanno stilata una, non son mai riuscito ad andare oltre il terzo titolo senza poi divagare lungo percorsi del tutto personali. Per questo sono un po’ scettico riguardo la possibilità di maturare, sviluppare capacità e/o libertà di pensiero seguendo sentieri prefabbricati, qui presentati addirittura come necessari. Nick Hornby riassume splendidamente quanto sto cercando di dirti nel simpatico libro “Shakespeare scriveva per soldi”…

    “Il problema della lettura è che non finisce mai. L’altro giorno ero in libreria a sfogliare un volume che si intitolava più o meno I 1001 LIBRI DA LEGGERE PRIMA DI MORIRE ( e senza far nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno quattrocento dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura – è proprio questo il punto, no? – e uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente morto.”

  2. Paolo Pegoraro ha detto:

    Secondo me bisogna intendersi.

    Chi scrive «I 100 titoli indispensabili» pretende che il suo lettore si metta caparbiamente a leggere i cento titoli che consiglia uno dopo l’altro, come fosse un elenco telefonico? Credo proprio di no… e un lettore del genere, se esistesse, sarebbe davvero inquietante, per non dire patologico.

    Chi stila un canone vuole prima di tutto spiegare a se stesso i titoli che lo compongono e riappropriarsene. E’ come la versione “impegnata” di una rivista di recensioni. Sfogliandole, poi, ti accorgi che di alcuni autori non hai mai sentito parlare, di altri conosci solo alcuni titoli, di altri ancora hai ormai deciso che vuoi incontrali e quella presentazione è il passo finale che ti fa decidere che sì, è giunto finalmente il momento di leggere l’opera X di WZH.

    In fondo un canone è un po’ come una festa… se ci sono un centinaio d’invitati, di molti ricorderai solo le facce, con un certo numero riuscirai a chiacchierare, con un paio riesci a stringere amicizia, con uno può scoccare l’amore. E se scocca, beh, non chiedo altro, nemmeno di poter conoscere gli altri 99.

  3. Nicola Villa ha detto:

    E’ vero che una delle cose più affascinanti della letteratura (letteratura in senso lato) è la possibilità di tracciare percorsi sempre autonomi e originali: da un testo trovarne un altro, un autore richiama un altro fino allora sconosciuto, romanzi stimolano saggi e viceversa e cosi via. Ma forse questa autonomia, questa indipendenza degli individui lettori è sempre più rara per tutta una serie di motivi: il mercato in primis, ma anche la forzata specializzazione che ti chiede l’università e il lavoro. Se abbiamo sentito il bisogno di selezionare, di trovare un canone assolutamente non-definitivo è stato anche per ridare valore a questa vitalità e curiosità della letteratura. Trovare dei testi necessari oltre la confusione mediatica e l’illusione della cultura. Siamo seriamente entrati nell’ottica che la cultura, oggi come oggi, sia un’altra forma di controllo delle coscienze non pari, ma quasi, ad altre forme di intrattenimento più riconoscibili. La metafora bellica di Paolo sui troppi libri che intasano la nostra contemporaneità è calzante.

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