Bang! si (ri)parte

Oggi è il primo settembre. Assomiglia tanto al primo gennaio. Di fatto questo di oggi è il vero Capodanno, non penso solo per me ma per molti di noi. La mia sarà deformazione professionale (oggi prendo servizio a scuola) ma la cadenza scolastica per cui l’anno parte a settembre e termina a giugno ci è rimasta addosso, sulla pelle, un po’ a tutti, anche a chi manca dalla scuola da decenni, giusto? A settembre si parte, anzi si riparte. Ri-partire: bello no? L’altro giorno alla radio girava un test di una sola domanda: qual è il tuo giorno preferito? Ho pensato al lunedì. Sì, quel giorno che quando io arrivo a scuola e chiedo a tutti quelli che incontro “come va?” molti di loro mi rispondono: “da lunedì”, come a dire: che me lo chiedi a fare, è una giornataccia, si ricomincia! Invece il bello secondo me è proprio ricominciare. Don Luigi Sturzo diceva con acume e saggezza che in politica bisogna ogni giorno ricominciare da zero e Cesare Pavese ci ricorda: «L’unica gioia al mondo / è cominciare./ È bello vivere / perchè vivere / è cominciare, / sempre ad ogni istante».

Ricomincio da zero è il titolo di uno dei più grandi film degli ultimi 30 anni (di Harold Ramis con Bill Murray) e ci dice proprio che ogni giorno è l’occasione per ogni uomo di fare di ogni giorno quel capolavoro che può essere ed è destinato ad essere.

C’è quindi a settembre l’ebbrezza dell’esordio, la trepidazione della prima volta, la gioia del ri-cominciamento. In fondo ogni mattina è così: risorgere (dal letto, dove si giace in posizione fetale/mortale) per ripartire; è l’attività più comune per ogni essere umano che vive sulla terra, la resurrezione è questione di tutti i giorni.

Ho visto, con piacere, che negli ultimi post di Maurizio Cotrona e poi di Valerio De Felice, finalmente si parla di cose serie (il calcio) e in particolare ho visto il granitico volto del boemo Zeman su questo blog, bene! E mi vengono in mente le sue famose “ripartenze” e le conseguenti “verticalizzazioni” (ma il linguaggio dei cronisti sportivi è divertente-delirante-geniale o è una insopportabile e astrusa lingua per iniziati totalmente dissociati dalla realtà?). Ecco: forse se riusciamo a ripartire di slancio (e settembre si apre oggi come ogni anno apposta per questo) allora la nostra vita sarà non solo orizzontale (la struggente dolcezza di rimanere a letto anche dopo che ci si è svegliati) ma anche verticale.

Ripartire è bello, trasmette un’idea di speranza. Questo editoriale è un Giano bifronte: da una parte guarda al passato, in fondo è un editoriale tutto sul significato di un verbo, come abbiamo fatto per due anni quando affrontammo la vasta gamma dell’agire umano (nel biennio 2009-2011), dall’altra incomincia a scrutare il prossimo futuro: a ottobre ri-partiranno tutte le attività di BombaCarta, non prima di avere fatto una sosta (appunto per ripartire), un momento festoso che si terrà vicino Roma il 15 settembre, una festa a cui sono invitati tutti gli amici di BC. La festa è qualcosa di strettamente legato con il ripartire ed è anch’essa bifronte: nella festa si guarda avanti e indietro, si fa un bilancio ed un rilancio nello stesso tempo; ricapitolazioni, ripartenze e verticalizzazioni. E, giusto come piccolo accenno, posso anticipare che il tema che per l’anno che sta per cominciare è legato all’aspetto bifronte della vita. “Io è un altro” diceva Rimbaud. Siamo sempre (almeno) due. Ecco, non aggiungo altro ma quest’anno che oggi comincia sarà dedicato all’esplorazione dei binomi, delle antinomie, della sana e inquietante ambiguità della vita. Chi ne vuole sapere di più non può far altro che attendere l’editoriale di ottobre e, soprattutto, partecipare alle diverse attività di BombaCarta che fra un mese ripartiranno. Adesso, al lavoro tutti, si riparte!

Settembre è infatti anche il mese in cui ripartire con il “travaglio”, la “fatica”, è il momento di riprendere quel lavoro che si era sospeso per la vacanza estiva e anche qui la sensazione è duplice, agrodolce, mix feeling. Mi vengono in mente due cose al volo: Costruire, la magnifica canzone di Nicolò Fabi (l’ho postata in questo blog poco tempo fa) che ci dice che costruire è “rinunciare alla perfezione”. Mi piace. L’altra cosa che mi viene in mente è una definizione lapidaria dell’amore da parte del teologo italiano Pierangelo Sequeri: “l’amore è un lavoro”. Però…mi piace, a voi?

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  1. Stas ha detto:

    Condivido questa sensazione di “inizio” anno che settembre porta con sé e mi piace la fotografia che accompagna questo primo editoriale dell’anno. Mi chiedo se la mia partenza sia paragonabile a uno scatto, se sto indossando le scarpette giuste, se i muscoli sono caldi, se ho chiara la direzione, se mi attendo una vittoria, un premio o se è uno scatto simile a quello dei bambini che giocano a nascondino che, quando inizia la conta, corrono via ma non sanno ancora dove andranno a nascondersi, un po’ a caso, magari in un armadio, come accade alla bimba de “Le cronache di Narnia” di C.S. Lewis, insomma l’inizio di un’avventura. In ogni caso, è bello pensare a un “inizio” quasi per gioco, tutti insieme (e magari lo starter è proprio quello delle gare atletiche di Fantozzi :-)

  2. Andrea Monda ha detto:

    bella l’immagine del gioco a nascondino.. magari in quel caos iniziale c’è più saggezza di quello che si possa immaginare (come Lucy di Narnia dimostra)

  3. alfonso ha detto:

    L’amore è un lavoro? Le “veline” gli darebbero ragione…ma per me che frequento altri tipi di donne (magari anche più brutte, e che ci volete fare) l’amore spesso mi porta a prendere delle ferie dal lavoro o…a darmi malato: perchè – caro il mio teologo – caso mai l’amore è una malattia, una splendida e tremenda malattia. Certo, poi può essere una malattia anche il lavoro, ma in tal caso, che tristezza!
    Alfonso A.

  4. Andrea Monda ha detto:

    ma che c’entrano le veline con l’amore? :-) caro Alfonso, sì a volte l’amore è patologia.. diciamo che è un rischio, a volte è bello (e quindi si costruisce qualcosa, che è l’amore stesso, in questo senso è un “lavoro”, un cantiere aperto), a volte prende una brutta piega, forse perchè nasce da un equivoco (sembrava amore ma non lo era) e anzichè costruire demolisce, soprattutto i due pseudo-amanti. Certo che come il lavoro anche dell’amore si intuisce il “prodotto finito” ma non lo si vede se non alla fine… che fatica e che pazienza!

  5. alfonso ha detto:

    carissimo, ma perchè non rispettiamo i confini delle parole, ché stanno bene dove stanno? Il lavoro è luogo dove si lavora, l’amore “è un’altra cosa” (visto che ti piacciono le canzioni). Che ne dici? Un caro saluto dal tuo agente provocatore.

  6. Andrea Monda ha detto:

    bella la canzone di Arisa, sì. Sinceramente non avevo mai pensato a “lavoro” come “luogo dove si lavora”.. questo cambia tutto.. o no?

  7. alfonso ha detto:

    Carissimo, non vorrei monopolizzare questo spazio, però, come si dice, rispondere è cortesia. Il lavoro, i luoghi di lavoro, come sai sono epressioni verbali che comprendono tante cose, mezzi, persone, comportamenti. Si parla di problemi del lavoro, di politiche del lavoro, e in questo ci sono anche i luoghi (aziende, aree territoriali, ecc). Ora non ti annoio oltre, altrimenti ricado nelle mie deformazioni professionali. Cmq io intendo il lavoro come un mondo (un luogo, in questo senso) particolare, con sue proprie leggi e prassi (talora perniciose…).
    Piuttosto: ma quando ci si rivede nel nostro luogo di lettura? Un caro saluto, Alfo

  8. Andrea Monda ha detto:

    lavoro come mondo, bello! Io intendevo (nei miei precedenti interventi) lavoro come “lavorare”, il gesto, l’impegno, la fatica del lavorare, dell’aprire un cantiere, creare un’opera, dar vita a qualcosa.. Per il laboratorio (nota la parola: laboratorio) di lettura ci vuole appunto un luogo.. lo stiamo cercando, direi che si tratta di un work in progress.. stiamo lavorando per voi! a presto però..abbiate fede, ciao!

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