Fatte a mano
“Fatte a mano” è il titolo di un bel saggio appena pubblicato dal teologo Giovanni Cesare Pagazzi (edito da EDB Bologna). Ho letto questo libro con grande piacere e vi ho ritrovato molto dello “spirito” di BombaCarta, quell’attenzione (e affetto) alle cose più semplici, alle esperienze più umili dell’esistenza che però rivelano spesso una forte carica vitale di senso e significato. Nell’Officina di ieri, sul tema “Argilla”, non ho potuto non citare questo saggio, che è molto “argilloso”… ecco qui di seguito il testo di una mia recensione che è apparsa su Il Foglio lo scorso venerdì 15 novembre. Buona lettura!
In Sunset Limited di Cormac McCarthy al raffinato professore Bianco, scettico e nichilista, il manesco e volgare Nero gli risponde così: “Se Dio dopo aver creato il mondo si è messo pure a girarci in mezzo, allora quando uno si alza la mattina può mettere i piedi per terra senza preoccuparsi di capire da dove è venuta quella terra. Ma se non è così, allora tocca trovare tutta un’altra spiegazione di cosa uno vuol dire quando dice realtà […] E allora che ne dici, professore? Tu esisti davvero?”. McCarthy parla dei piedi, mentre il teologo Giovanni Cesare Pagazzi si occupa delle mani, ma il risultato non cambia: se non si parte dal basso, dal livello terra-terra, la realtà tout-court salta e anche la teologia più raffinata è spacciata. E qui ci troviamo di fronte ad un teologo molto raffinato cresciuto all’ombra di Pierangelo Sequeri, che ha scritto la bella prefazione, e del benedettino Elmar Salmann, a cui è dedicato questo saggio per stile e contenuto molto “salmaniano”, un testo che è una sorta di “fenomenologia della mano”, l’organo che, forse più del cervello, distingue l’uomo dagli altri animali. Mano e cervello sono strettamente collegati se è vero, come ricorda Sequeri, che secondo Aristotele “l’uomo è l’essere pensante perchè ha la mano. La geniale intuizione fu ripresa dal teologo per eccellenza, il grande Tommaso d’Aquino. Dunque l’idea di sviluppare una fenomenologia della mano, e del suo lògos, non è affatto una trovata estetica e peregrina.”. Il tatto è per lo Stagirita il senso fondamentale e forse lo è anche per il cristianesimo, la religione “più materialista di tutte” secondo Romano Guardini; Cristo è risorto fin nelle unghie ed i capelli, come ricordava l’Aquinate, e ha preso per mano l’apostolo incredulo per fargli toccare, con mano, le sue mani ferite. Con Fatte a mano ci troviamo dalle parti del materialismo tomista, ben distanti da ogni eresia spiritualista di marca platonica, con l’attenzione meticolosa di evitare sia la Scilla del contemptus mundi, sia il Cariddi del panteismo. Con mano sicura l’autore, lasciandosi guidare al testo biblico, intraprende invece una navigazione che da una parte contesta la facile deriva di chi vede nel cristianesimo una fuga dal mondo, come fosse una realtà da disprezzare, dall’altra non si scioglie in un vago e confuso panteismo. La bussola per evitare gli scogli pericolosi è rappresentata proprio dalle “cose”, dalla realtà (da res), perchè le cose anziché essere motivo di dannazione per gli uomini, sono occasione di salvezza. Tutto sta a come ci si accosta alle cose, in questo è illuminante la battuta con cui Papa Francesco ha definito l’umiltà: “accostarsi bene agli altri”, implicitamente tradotta da Pagazzi in “accostarsi secondo il bene degli altri”, che poi vuol dire rispettando la natura paradossale delle cose, per cui le cose sono ad un tempo “a portata di mano” ma anche “indisponibili”: si possono prendere ma resistono ad una presa definitiva. Da qui l’in-segnamento, quel faticoso magistero delle cose che si rivela cammino di salvezza per l’uomo, soprattutto per l’uomo contemporaneo che invece vive nell’illusione della rimozione del legame con le cose che, inoltre, consumandosi, ricordano anche la lezione più dura, quella della morte (illuminante, tra le altre, la pagina sul rifiuto dei rifiuti in nome dell’ossessione dell’igiene, cifra inquietante dello spiritualismo disincarnato della società odierna). Questo esito freddo e letale può essere contraddetto solo dall’affetto verso le cose, un affetto tutto cristiano. Di fronte al rischio dell’in-consistenza Pagazzi sceglie di difendere l’indifendibile, non la Materia, non il corpo, ma le cose, le semplici, umilissime cose e invita il lettore a sporcarsi le mani, per avviare quel cammino fatto di “presa, ri-presa, ap-prendimento, com-prensione, im-presa” che permette all’uomo una crescita vera anche nella sequela di Cristo, per mezzo del quale “tutte le cose sono state create”.
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