Il giornale incarta la vita
Qualche giorno fa un tweet: uno dei principali quotidiani italiani usciva in edicola con un restyling di grafica e impaginazione. Giorni di campagna pubblicitaria, su carta e via web. Il direttore cinguetta più volte al riguardo, e celebra il “nuovo” giornale di carta. Molti retweet lo accompagnano, tra questi uno rilancia un’affermazione categorica: “Il giornale incarta la vita”. Ecco – penso mentre leggo – questo è un assunto, giocato probabilmente sull’assonanza con il verbo “incarnare”, (e forse anche “incantare”) che racconta moltissimo del giornalismo italiano; che rende il paradosso di un mestiere di umile vocazione e di pratica superba, nell’accezione più viziosa. Ma – penso, ricordando il tema proposto per l’Officina di aprile, che quella sia una dichiarazione che ci aiuta a riflettere anche sul senso delle parole, sull’uso della carta, e sulla vita che può essere incartata. Il giornale, in questo caso, di carta, può “incarnare” la vita, riuscendo davvero a essere strumento di servizio? La carta è assorbente, si lascia imprimere e segnare. Che sia nero, o che sia colore. Accetta su di sé storie e notizie che altri hanno scelto per lei. Se ne fa carico, in modo definitivo. Perché a differenza di altri strumenti che veicolano informazioni, parole, immagini, su carta non c’è possibilità di aggiornare, modificare, linkare, in tempo reale. Per giornali e libri di carta, una volta stampati, “il segno è tratto”. Hanno una fisicità spazio-temporale che li contraddistingue. Una singolarità, e unicità data appunto dalla materia. In tal senso, forse, possono “incarnare” e “incartare” qualcosa o qualcuno (la vita, la storia di una persona). Certo anche un tablet, un kindle, una pagina web hanno un loro spazio, un proprio peso, ma con caratteristiche molto diverse.
Il quotidiano, come ricordato nell’editoriale, ha un ciclo di vita breve. È mortale. Le sue pagine, una volta stampate, non possono essere modificate (come succede per le pagine web), possono essere invece riciclate o utilizzate appunto per incartare qualcosa. Ma quando un oggetto viene incartato? I regali vengono incartati per sorprendere chi li riceve. Altre cose invece vengono incartate e avvolte quando devono essere protette, soprattutto quelle fragili, a rischio di rottura e frantumazione. La carta le custodisce, il tempo necessario. C’è un tempo, infatti, che fa la differenza. E va rispettato. Perché un regalo se resta incartato che regalo è? Va tolta la carta per godere della sorpresa. E se una cosa resta incartata più di quanto serva, rischia di deperire, di essere dimenticata, di non avere la sua occasione per essere quello che è. Non a caso, dire “incartarsi” in senso figurato vale a dire confondersi, fare qualcosa in modo improprio. Incompleto e incompiuto. Allora meglio se il giornale non incarti la vita, e non la incanti, ma su carta la “incarni” in buone parole e senza omissioni. Così, come disse Giorgio La Pira, potremo ancora oggi viaggiare “con il Vangelo in una mano e il giornale nell’altra” sapendo che se ci fossero da incartare e proteggere per un po’ di tempo uova, pesce, o quant’altro, la carta di quest’ultimo, dopo la lettura, è sempre pronta.
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