Come decidere
A chi paragonerò questa nostra epoca contemporanea?
Alcuni parlano di un’epoca “autunnale”, in cui le grandi narrazioni e le antiche istituzioni declinano: la religione, la politica, la famiglia non hanno più parole che riescano a colpire, stimolare, accendere speranze.
Altri dicono pure di un vero e proprio “inverno” e sottolineano questo freddo che nasce dalla crisi che nella sua forma più mortifera non è quella economica o finanziaria che da anni sta investendo l’Occidente, ma la crisi delle relazioni, della relazione. La fragilità e la solitudine sembrano essere diventate le cifre più precise della contemporaneità
Pochi vedono in questo scenario i segni di una primavera che di nascosto, sotto terra, comincia timidamente a svelare il suo avvento (anche se alcuni hanno parlato di “primavera” rispetto all’impatto dei quasi due anni e mezzo di pontificato di papa Francesco).
Secondo me la stagione che meglio rappresenta il nostro tempo è proprio l’estate. Stagione estrema, anche disperata, rigogliosa e spossante, ricca di contraddizioni, di forza e debolezza congiunte in un inestricabile abbraccio. E’ il tempo, quello nostro, della comunicazioni ma anche delle grandi solitudini. Tante immagini, poca immaginazione. Tante visualizzazioni, poca visione. Il sole è potente d’estate ma rischia così di fiaccare anziché accendere l’energia degli uomini. Una lenta emorragia sembra attanagliare l’esistenza quotidiana di tanti tra gli uomini dell’occidentali. Il ritmo lavorativo, la routine si è spezzata, ma questo tempo nuovo, tempo libero, è anche tempo “vuoto”, tempo del Vuoto. E’ quindi un tempo che fa anche orrore, che appare senza punti certi di riferimento, tempo di incertezza e smarrimento. D’altra parte, proprio per questo senso di novità, di qualcosa che “spezza” la routine e il krònos, l’estate potrebbe rivelarsi tempo opportuno, kairòs, per il raccoglimento, il discernimento, la decisione.
Ecco, di questo mi vien voglia di parlare oggi, 31 luglio 2015, festa di S.Ignazio di Loyola, maestro del discernimento: della decisione. Come si fa a decidere, a decidersi? Perchè poi, ammettiamolo, decidere vuol dire decider-si. E’ come per il dono, anche donare significa in realtà donarsi, ogni dono vero, autentico, è dono di sé. Decidere è de-cider-si: tagliare via una parte di sé. Decidersi è un po’ uccidersi. Da qui il peso mortale che avvertiamo ogni volta che ci tocca decidere qualcosa. Si deve un po’ morire. Quando prendiamo una decisione tagliamo via tante potenzialità, le uccidiamo per farne vivere solo una, scegliendo facciamo morire tante parti di noi, auspicabilmente le meno autentiche. La toti-potenza è im-potenza. Parafrasando Pirandello: se vogliamo essere centomila rischiamo di essere nessuno, se si vuole essere qualcuno bisogna avere il coraggio di essere uno.
L’estate corre sempre il rischio di essere dispersiva, dissipativa, assomiglia ad un lasciarsi andare, che mette in moto una dinamica molto difficile da contrastare. Perchè è doloroso decidersi e allora l’unica decisione che prendiamo facilmente è quella di rinviare la decisione o delegarla a qualcun altro.
La nostra epoca appare da questa prospettivo come l’epoca della “in-decisione”, un po’ come l’estate, dove si sta e ci si crogiola al sole lasciando scorrere il tempo, evitando il peso delle decisioni. La crisi della politica, che in Occidente dura ormai da un quarto di secolo, grossomodo dalla fine della Guerra Fredda, indica in modo icastico questo regno della indecisione. La tensione della guerra portava comunque ad essere pronti per ogni decisione possibile. Oggi che le differenze si sono affievolite e il crollo delle ideologie ha portato via con sé anche ideali e idee, nessuno sembra avere più la forza di una “visione”, quella capacità “visionaria” necessaria per scegliere, decidere una via tra le tante.
Cosa e come fare allora a decidere in questo tempo di incertezza?
L’arte narrativa, cinema e letteratura, come sempre, ci può aiutare o, meglio, rappresenta bene questa esperienza della decisione, il passaggio delicato della scelta, che può portare anche a quella “estiva” paralisi e lenta emorragia della vita.
Nel capolavoro di Jacques Tati Le vacanze di Mounsieur Hulot del 1953 vediamo le avventure del protagonista che dovunque arrivi, con il suo catastrofico candore, finisce per gettare lo scompiglio nell’esistenza pigra del resto del mondo. Nella località marina in cui irrompe come un vento impetuoso il passo incalzante di Hulot (parente stretto dell’Innocenzo Smith di UomoVivo di Chesterton) l’esistenza scorre pigramente, le persone vivacchiano di abitudini che vengono messe in crisi dalle “decisioni” del protagonista. Hulot è uno che decide e anche se per lo più le sue decisioni sono “disastrose”, egli è un uomo “vivo”. E’ un uomo che “sfonda”, come si può vedere nel fotogramma che ho inserito in questo articolo, non si ferma al tetto ma lo supera perchè ha bisogno di vedere. Forse per decidere bisogna prima andare in alto, avere una super-visione.
Un altro esempio, ormai noto, lo troviamo nella risposta che Aragorn dà a Eomer, fiero ma confuso cavaliere di Rohan che aveva esclamato:
«E’ difficile esser certi di qualcosa fra tante meraviglie. E’ divenuto così strano il mondo! Elfi e Nani camminano insieme sulle nostre praterie, in pieno giorno; c’è gente che parla con la Dama della Foresta, eppur rimane in vita; e ritorna a combattere finanche la Spada che fu Rotta nei tempi remoti, prima che i padri dei nostri padri giungessero nel Mark! Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?». «Come ha sempre fatto», disse Aragorn. «Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca ad ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora».
Sessant’anni fa (è del 1955 l’uscita de Il signore degli anelli), Tolkien ricordava al lettore fuoriuscito dalla seconda guerra mondiale e pieno di entusiasmo per la rinascita di un nuovo mondo ricco di speranze e fiducia nel progresso, che il bene e il male esistono, non si sono confusi tra di loro, che alcune cose non mutano e che nel cuore dell’uomo resta sempre impressa la capacità di un “discernimento”, vissuto alla luce della coscienza, di quella voce che parla incessantemente anche attraverso i segni più nuovi e bizzarri che gli stravolgimenti sociali possono presentare di volta in volta.
Forse l’uomo che decide si trova sempre in una forma di “estate”, in un momento di pienezza e di “eccesso” che può portare alla crisi, la “crisi meridiana”. Ogni uomo che si trova a dover decidere è sempre “nel mezzo del cammin di nostra vita”, con addosso l’angoscia di chi sente nella “selva oscura” con la consapevolezza di aver smarrito la via. Una via che, lo sente nel profondo del suo cuore, è o doveva essere “dritta”. Siamo tutti “nel mezzo”, siamo nella “terra di mezzo” e siamo sempre nel cuore della nostra esistenza perchè ogni attimo della nostra vita è “decisivo”. Inferno e Paradiso sono sempre in palio in questo gioco serio che è la vita, che è appunto un gioco, non uno scherzo (niente c’è di più lontano dalla serietà del gioco della frivolezza dello scherzo).
Dante e Tolkien ci indicano la crisi e l’incertezza ma forse anche la via d’uscita. Che risiede nella relazione; l’uomo è un “ente relazionale” che trova la sua ragion d’essere e motivo di vita nella capacità di tessere storie di affetto e amicizia con i suoi simili. Tessere storie, proprio come un narratore.
Aragorn può rispondere in quel modo al capitano Eomer perchè fa parte di una “compagnia”, la Compagnia dell’Anello, in cui “Elfi e Nani camminano insieme” sulle praterie e in pieno giorno. La ricchezza della Compagnia, piena di contraddizioni e opposizioni, è il segreto della forza dei suoi membri, che si aprono agli altri in un duro esercizio di accoglienza. Per questo, con tutte le fatiche del caso, la Compagnia potrà progredire, camminare avanti e insieme, decidendo e decidendosi (fino a quando si dividerà in più parti, sopravvivendo proprio perchè apparentemente si darà la morte).
E anche Dante camminerà, raggiungendo dall’Inferno perfino il Paradiso, ma potrà farlo proprio perchè non sarà solo nel suo viaggio. Dallo sprofondare nell’angoscia della morte, verrà salvato da Virgilio, il suo “duca” e “autore”, spedito lì da Beatrice, perchè, ha ragione Borges, il senso di tutto il poema dantesco è proprio nel fatto che Dante ha percorso tutto l’universo, terreno e ultraterreno, per poter rivedere ed incrociare di nuovo lo sguardo di Beatrice. Uno sguardo è in grado di salvarci, nient’altro. Di salvarci e quindi di metterci in moto, di farci risalire a rivedere le stelle, il più bel frutto di una semplice, bella e terribile, umana decisione.
È’ sempre bello leggervi.
Aiuta a riflettere.
N.
grazie Nicola! è bello scrivere e condividere questa avventura di BombaCarta con tanti amici!