Come un ladro nella notte
Ieri sono andato a vedere il concerto di Francesco De Gregori al teatro Atlantico a Roma. 39 euro, un prezzo buono rispetto alla media dei concerti in circolazione, visto soprattutto che si tratta di un concerto doppio: la prima parte è dedicata a De Gregori che canta Dylan e poi, dopo un breve break, nella seconda parte un altro concerto con un’antologia della ultraquarantennale carriera musicale del “Principe”. Come terza canzone, De Gregori ci regala la sua versione di Not Dark Yet (Non è buio ancora), è forse il momento più intenso a livello emotivo della serata. Il cantautore si mette seduto su uno sgabello, si capisce da come presenta la canzone e dall’intensità della voce che questo brano gli sta molto a cuore: “E’ una canzone religiosa” ha detto di recente in una presentazione in una libreria romana del nuovo album De Gregori canta Dylan. Amore e furto. Nel 2001, anzi l’11 settembre del 2001 (che data!) è uscito il 31^ album in studio di Dylan che si intitola appunto Love & Theft cioè Amore e furto. Il punto è questo: chi ama ruba, il furto come segno di amore. Da Paride alle donne Sabine fino a questo album in cui De Gregori “rapisce” 11 canzoni di Dylan e le fa sue, amore e furto sono sempre andati a braccetto. “Anche Omero aveva un Omero”, dicevano gli antichi, ad indicare che è legge della poesia quella di non essere mai originali ma vivere all’interno di una tradizione dove si trasmette quello che si è ricevuto (o si è preso). La legge della poesia è il furto, è l’essere fuorilegge, con l’accortezza che lo stesso Dylan segnala in una vecchia canzone del ’66: “Ma se vuoi vivere fuorilegge, devi essere onesto”. E’ un verso molto amato da De Gregori che a questo dettato si attiene: già nei dischi, ma ancora più dal vivo (la maggior parte delle canzoni “decolla” in versione live) è tangibile questa “onestà” del ladro d’amore.
Ad esempio De Gregori non tocca la musica di Dylan ma ad essa si mantiene fedele riproducendone (grazie anche ad una band formidabile) l’impianto, gli accordi, le tonalità; forse dove osa di più è con la canzone più famosa delle 11 che ha scelto come bottino: I shall be released che anche a livello del testo conosce il livello più alto dell’inevitabile passaggio fra traduzione e tradimento. Non tocca De Gregori la canzoni “grandi” di Dylan, a parte quella appena citata ce n’è solo un’altra di “prima fascia”, cioè Desolation Row, già a suo tempo visitata dalla coppia De Gregori-De Andrè, per il resto, per la gioia dei fan dylaniati, si tratta di canzoni “laterali”, di seconda o terza fascia, le vere praterie del godimento per gli amanti del vecchio zio Bob. Colpisce ad esempio che nelle 11 canzoni ce ne sono tre quasi identiche: Subterranean Homesick Blues (che nel ’64, insieme alle esternazioni di Cassius Clay hanno rappresentato le origine del genere rap), Political World (’89) e Tweedle Dee & Tweedle Dum (2001), tre prove rock brevi e travolgenti con cui a distanza di decenni Dylan introduceva tre album tra i più significativi della sua carriera, tre canzoni “fiumi-di-parole” quasi impossibili da riversare in italiano ma che De Gregori conduce in porto con audacia e dignità (titolo della canzone più bella della raccolta, grande assente al concerto di ieri).
Onestà, dignità e rispetto, questo il sentimento che trasmette la prima parte della prova canora di De Gregori che ha cominciato la seconda parte con la sua canzone più “dylaniana” a livello musicale cioè A Pà, dedicata a Pier Paolo Pasolini, terminando l’esecuzione con uno struggente assolo di armonica a bocca proprio così, “alla Dylan”, quell’armonica che s’è guardato bene di non utilizzare prima, nel momento in cui andava a rubare qualche stella nel cielo dylaniano. Dal suo repertorio ha poi regalato una canzone meno nota ma quanto mai pertinente: In onda, non me la ricordavo, bella la musica, dolce e ipnotica, e con un testo illuminante. Parla di un uomo, ed è proprio l’autore, che sta “fermo ai bordi della strada” (e qui c’è Dylan) che però, “stranamente io/ Non ho vergogna”, il che fa pensare alla Bibbia e alla strana mancanza di vergogna dei nostri progenitori: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna” (Genesi 2,25). Ma il seguito è ancora più forte, De Gregori ci regala con poche parole un’immagine degna di un racconto di Raymond Carver o di un quadro di Edward Hopper: “Sto aspettando e sto chiamando/ Che qualcuno mi risponda/ Sono a casa/ La mia porta è aperta/ E la mia luce è accesa”.
Questa “acuta sensazione di attesa” è colmata da una promessa/minaccia che ancora una volta affonda le sue radici nel testo biblico, anzi evangelico: “Come un ladro nella notte puoi venire/ Io non ho difesa/ Mentre dormo mentre sogno puoi colpire/ Di sorpresa/ Soffia il vento”. Il vento che soffia ricorda ovviamente sia Elia che Dylan presente anche nei versi successivi contenenti tre immagini care al menestrello del Minnesota: “Spreco il tempo/ Sta piovendo/ La tempesta sul mio viso sta passando”. Il finale invece sembra un omaggio alla canzone più bella di De Andrè, La guerra di Piero: “Il mio nemico è in piedi ed io lo vedo ride/ Fermo sulla sponda/ Ed io lo guardo e gli sorrido”.
Uscendo dal Teatro Atlantico, nella notte umida di Roma, dopo oltre due ore di lieta e sana festa rock, ripensavo a quel verso: come un ladro nella notte, nei quali gli esegeti riconoscono un caso di ipsissima verba Jesu, parole che provengono proprio dalla bocca dello stesso Gesù. Così mi è apparso ieri De Gregori: un ladro nella notte, un ladro onesto, perchè la notte è il suo ambiente, il suo momento, che irrompe ma prova a non disturbare più di tanto, giusto a inquietare quel tanto che basta a scuoterci da un torpore quello sì insano. E’ un immagine cara questa del ladro notturno, non solo a Gesù, ma anche a molta poesia, letteratura e canzone e, senza andare troppo lontano, mi viene in mente un testo, ancora una volta di Dylan, una delle sue canzoni più celebri (prima fascia senz’altro): All along the wathtower, Lungo le torri di vedetta, misterioso inno alla vigilanza. Anche lì c’è un ladro che, in compagnia del buffone (meno male!), si avvicinano mentre gli animali e il vento ululano e “si sta facendo tardi” anche se, per fortuna, Dylan ci ricorda, religiosamente, che “non è ancora buio”. Forse la nostra esistenza è racchiusa tra questo “It’s getting late” (“il tempo si è fatto breve” della prima lettera ai Corinzi) e il Not dark yet dove non è chiaro se si avverte un “murmur of a prayer” (così l’originale), tradotto: “e credo di sentire una preghiera mi potrei sbagliare, oppure non lo so”. Tornare a casa pensando a queste cose qui.. non male per un concerto rock, anche se doppio.
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