[Report] Officina di marzo 2017

La ripetizione è generalmente considerata in termini negativi, venendo associata di volta in volta alla monotonia, alla noia, alla copia. Ripetere innumerevoli volte lo stesso vocabolo o la stessa frase ci conduce a uno smarrimento del senso; le lettere restano lì, come sacchi svuotati del loro contenuto. Eppure ripetere vuol dire anche rafforzare un concetto, ritornare sulla pagina amata, ritrovarsi. Come sciogliere questo dilemma tra due alternative apparentemente irriducibili?

Siamo partiti dalla ripetizione intesa come routine.

Andrea

Ci sono (almeno) due film, vecchi amici di BC, che raccontano due storie simili: un uomo chiuso in un mondo claustrofobico, sempre uguale a se stesso, che si ripete incessantemente, un mondo dal quale sembra impossibile uscire. Mi riferisco a Ricomincio da capo (Harold Ramis, 1993) e a The Truman Show (Peter Weir, 1998)
Nel primo dei due film il protagonista, Phil Connor, a volte sembra anche “apprezzare” la sua condizione di stallo al punto da approfittare della situazione (essendo l’unico uomo che cambia, e quindi consapevole, in un mondo statico):
Ma si tratta di magre consolazioni, alla fine anche per Phil quella situazione è un incubo, l’incubo della ripetizione sempre uguale a se stessa, senza movimento, senza esito.
Interessante notare che in entrambe le pellicole i due sventurati protagonisti riusciranno a farcela, ad uscire dal loro mondo, e ce la faranno grazie all’amore, che appare come l’unica dimensione sempre nuova, capace di spezzare l’angoscia della ripetizione. L’efficacia di questi due film sta nell’aver immaginato uno sfondo statico, immobile, contro il quale si stagliano i due protagonisti, unici uomini veri (Truman, True-Man) in un mondo finto. Da questo contrasto nasce il dramma che avvice lo spettatore. Viene in mente il mondo della Contea, raccontato da Tolkien nei suoi romanzi: la Contea è un mondo sempre uguale, immobile, eppure c’è qualcuno (pochissimi) tra i suoi abitanti che, per una sorta di inquietudine ed una strana “chiamata”, trovano la forza di tras-gredire, di muoversi e uscire dalla bella e insidiosa tranquillità del proprio mondo abituale e familiare.

Senza movimento non c’è vita e la vita procede in avanti, senza mai ripetersi. E’ questo forse il senso della poesia della W.Szymborska “Nulla due volte”:

Nulla due volte accade
Né accadrà. Per tal ragione
Nasciamo senza esperienza,
moriamo senza assuefazione.

Anche agli alunni più ottusi
Della scuola del pianeta
Di ripeter non è dato
Le stagioni del passato.

Non c’è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali.

Ieri, quando il tuo nome
Qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.

Oggi che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos’è?
Forse pietra, o forse fiore?

Perché tu, ora malvagia,
dài paura e incertezza?
Ci sei – perciò devi passare.
Passerai – e in ciò sta la bellezza.

Cercheremo un’armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua.

Un po’ all’opposto si muove la breve poesia di Claudio Damiani tratta dal suo ultimo libro di poesie, Cieli celesti:

E se fosse come nei giochi dei ragazzi
della playstation
che le vite non sono una sola, ma tante,
se fosse proprio come nei semplici
giochi dei ragazzi?

Che, per contrasto, sottolinea l’inquietante potere d’alienazione presente nei videogiochi, nei quali il giocatore si trova a disposizione un numero infinito di vite.
La ripetizione, che sembra la “regola” dell’arte e di ogni artefatto, non sembra invece essere la regola della vita, che sempre si muove “diversamente”, mai uguale a se stessa e, soprattutto, in modo mai reversibile.

Valerio (intermezzo)

Michele Mari, Temperatura esterna, da Euridice aveva un cane: la routine che svuota di senso o la narrazione che dona un nuovo senso?

Monty Python, Spam sketch: la ripetizione, che nella pubblicità rafforza il marchio, svolge qui un surreale effetto comico.

Dall’esperienza quotidiana della routine siamo poi passati alla ripetizione dell’opera d’arte, di volta in volta, come copia, remake o remix.

Damiano

L’intervento è iniziato con la visione della scena della doccia in Psycho (1960) di Alfred Hitchcock e con la sua riproposizione nell’omonimo remake diretto da Gus Van Sant nel 1998. Si tratta di un’apparente copia, anche formale, che nella seconda versione presenta tuttavia dei caratteri di originalità. A partire da queste due scene, abbiamo ragionato sulla ripetizione come risignificazione, ri-attualizzazione di una storia che funziona ieri come oggi.

Ma qual è la differenza tra copia  e citazione? Ci abbiamo ragionato attraverso la visione di un video che mostra tutti i riferimenti al cinema americano di genere degli anni ’70 e ’80 presente nella serie TV, di recente produzione Netflix, Stranger Things (2016-), diretta dai fratelli Duffer. La citazione, in questo caso, appare talvolta come fine a se stessa, mentre altre volte agisce da riferimento intertestuale intervenendo sull’elemento narrativo.

Successivamente, ci siamo concentrati sulla pratica del remix in ambito musicale. Se da un lato il remake, come abbiamo visto, finisce sempre per creare qualcosa di nuovo, il remix parte invece dalla volontà di stravolgere completamente il senso iniziale dell’opera che si ripete. E’ questo il caso della Salsoul Orchestra che, nel 1973, trae ispirazione dal tema del balletto del 1910 di Igor Stravinskij L’uccello di fuoco, riproponendolo in chiave dico-funky nel loro pezzo Magic Bird of Fire.

Infine, abbiamo chiuso parlando della pratica del campionamento musicale, molto in voga nel genere musicale electro-funk, in particolare nell’opera del duo francese Daft Punk che, nella composizione dei loro pezzi, parte costantemente da temi già esistenti, per lo più ispirati alla disco degli anni ’70, che vengono però tagliati, scomposti, stravolti e resi per lo più irriconoscibili.

https://www.youtube.com/watch?v=dgKCrbwGKpA

Valerio

La parentesi aperta da Damiano e Dante sulla musica ci ha mostrato come la ripetizione possa svolgere una funzione strutturale per differenti media narrativi. A cominciare proprio dalla musica e dalle armonie del Canone in Re maggiore di Pachelbel o del Preludio alla Suite n.1 di Bach, nella rappresentazione grafica di Alexander Chen, per poi proseguire con le ripetizioni, allitterazioni e rime di Batte botte (D. Campana). Il percorso sulla ripetizione strutturale (cioè quella ripetizione senza la quale non potrebbe esserci l’opera stessa) è proseguito attraverso esempi architettonici e, in generale, di arte figurativa sino alla peculiarità dell’effetto Droste, cioè quelle immagini ripetute una dentro l’altra: dalla pubblicità dell’omonimo cacao al primo esempio storico (Giotto, Polittico Stefaneschi), fino a Escher e ai Pink Floyd. Questi contributi si possono trovare tutti qui.

Paolo – «Raccontala… di nuovo»

Se c’è un genere letterario che si basa per definizione sulla ripetizione, che gli permette di attraversare la storia dell’umanità generazione dopo generazione, esso è la fiaba. Assistiamo allo strano fenomeno per cui su continenti diversi vengono “ripetute” favole molto simili, tanto che la scuola strutturalista ha provato a ridurle a equazioni.

Proviamo a rifletterci, a partire da due testi letterari che si presentano come delle “teorie della fiaba”. Uno è il prologo al romanzo Streghe all’estero di Terry Pratchett (Beaconsfield, 1948), dove si propone la teoria della causalità narrativa, in base alla quale non è la gente a creare le storie, ma il contrario. Le storie sarebbero entità autonome che desiderano ripetersi all’infinito, perché ogni ripetizione le rafforza, guidando le vite delle persone come copioni già scritti. Occorre essere “bicarbonato della Storia” per sfuggire al percorso già tracciato.

Il secondo testo proviene dal capitolo “La morale delle favole”, preso dal saggio Ortodossia di Gilbert K. Chesterton (Beaconsfield, 1874). Chesterton parte da una constatazione: i bambini adorano che le storie siano ripetute, sono dei tiranni della ripetizione parola per parola, e queste dipende forse dal fatto che hanno una maggiore vitalità, e godono della ripetizione come fosse un “bis” a teatro.

Dalla discussione è emerso che è facile pensare che siano solo i bambini a comportarsi così, mentre di fatto è un’esigenza comunissima agli adulti: anche noi rileggiamo le pagine che ci hanno emozionato, riascoltiamo le canzoni che amiamo e le impariamo a memoria, rivediamo i nostri film preferiti aspettando con trepidazione quella scena che conosciamo per filo e per segno, e di cui anticipiamo la battuta.

Di fatto i due testi analizzati raccontano due esigenze che si completano: quella della ri-scrittura e quella della ri-lettura. Ma la seconda è molto più comune della prima. Il bambino che dice “raccontamela ancora!” intende dire “raccontala di nuovo“, ossia chiede di ripetere non un processo meccanico, ma di rifare l’esperienza originaria, di ritrovare quel novus sperimentato come inesauribile.

Valerio (conclusione)

Forse è vero che, come afferma Borges, gli uomini si sono sempre raccontati due storie: “quella di un’imbarcazione sperduta alla ricerca di un’isola amata nei mari mediterranei, e quella di un dio che si fa crocifiggere sul Golgota”. E il destino del personaggio Espinosa ne Il Vangelo secondo Marco ne è tremenda testimonianza.

Attraverso la ciclicità di quelle storie che ritornano sempre si riesce infine a sciogliere il mistero della ripetizione che quando è copia o coazione a ripetere svuota di senso, ma se è variazione  – e quindi risignificazione – afferma un senso originale. Dove l’originalità non è intesa come processo innovativo, ma come ciò che, sottoposto a cicli che precedono e seguono, si colloca nel solco dell’origine, in quella forza sorgiva che è la vita e, quindi, l’arte.

 

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