“Cos’è BombaCarta?”
Sono ormai passati quattro anni dalla prima volta in cui ho messo piede in BombaCarta, insieme a uno stuolo di compagni di liceo, tutti approdati a via Panama 13 per uno scopo molto pratico: raggiungere le duecento ore imposte dalla riforma scuola-lavoro, necessarie per sostenere l’esame di maturità. In realtà, c’era tempo e avremmo potuto prendercela con comodo, perché mancavano ancora due anni scolastici, ma l’allora professore di religione Andrea Monda sembrava così entusiasta all’idea di accoglierci che decidemmo di provare; a scuola, tra un Tolkien e un Re Leone, se ne usciva spesso con questo strano nome, un po’ sovversivo, che ci incuriosiva: BombaCarta.
Superate le beghe burocratiche, eccoci dunque in una stanza dalla temperatura fredda e tuttavia dall’atmosfera accogliente, senza la minima idea di cosa ci sarebbe toccato in sorte.
Fu un disastro: usciti alla luce del sole, tutti, nessuno escluso, avevamo un mal di testa lancinante e un bisogno impellente di dormire per far riposare il cervello. Non eravamo abituati! Di solito a scuola ci insegnavano qualche nozione da ripetere per bene, e per i ragionamenti non rimaneva troppo tempo. Quel primo sabato ricevemmo così tanti input che, tutti insieme, attivarono pure troppo la nostra capacità di pensare; il mese successivo, caparbi, tornammo e uscimmo nuovamente esausti. Il mal di testa si ripetè a lungo ma cominciava a nascere in noi anche la voglia di partecipare: se avessimo tirato fuori i nostri pensieri, magari non sarebbero rimasti a rimbalzare incontrollati nel nostro cranio e il mal di testa sarebbe cessato.
Dapprima na parlavamo fra noi, intimoriti da chi credevamo “più importante” (eravamo pur sempre studenti di liceo). Poi qualcuno si fece coraggio e venne subito risucchiato in un vortice di entusiasmo: sembrava quasi che non aspettassero altro che noi! Venivamo continuamente coinvolti con suggestioni, domande spinose, esercizi creativi. Capimmo pian piano i delicati meccanismi delle Officine, il lavoro e la cura che c’erano dietro; finchè, alcuni di noi si decisero a fare un ulteriore passo avanti e partecipare al processo di costruzione degli interventi. Non fu affatto facile, all’inizio: da noi “giovani” non si pretendeva nulla e tuttavia noi stessi pretendevamo molto: avevamo energia da vendere e volevamo dimostrare di essere all’altezza.
C’era la paura di dire sciocchezze, di non essere capiti, di non stimolare alcunchè in chi ascoltava. E certamente a volte capitava di rimanere con l’impressione di aver ideato un intervento sterile e ci si rimuginava, cercando di capire cosa non andasse. I Bombers più esperti ci aiutavano, ma ci concedevano anche molta libertà, lasciando che fosse l’esperienza stessa di BombaCarta a istruirci. Personalmente, a distanza di quattro anni, ho accettato il fatto che sciocchezze e incomprensioni sono inevitabili, ma ho imparato anche a non preoccuparmene troppo. Quello che è più importante, ciò che è fondamentale, quello avviene sempre, in modo incomprensibile, quasi magicamente: anche solo una parola di un intervento può stimolare, accendere una lampadina, provocare una reazione, svegliare il pensiero altrui. Questa, per me, è stata la scoperta più stupefacente.
Nel caso in cui qualcuno fosse stato ancora in dubbio, verso la fine dell’anno bombacartiano, si veniva accolti tutti nella grande casa di Lubriano per due giorni: forse era il clima familiare, forse gli ottimi pranzi, forse la buona compagnia, ma era lì che finivi per affezionarti definitivamente.
Nel corso del tempo, il “pubblico” cambiava, i ragazzi finivano la scuola e alcuni non venivano più: ci si ritrovava seduti in mezzo a volti più o meno conosciuti, di età, professioni, caratteri, tutti diversissimi tra loro. Mi chiedevo spesso cosa potesse tenerci tutti insieme, senza impegnarmi troppo nel cercare una risposta: tutte le mie energie erano e sono rimaste tutt’ora impegnate a fare BombaCarta, non a capirla.
Così, ogni volta che cerco di spiegare a qualcuno tutto questo, non riesco mai a trovare le parole.
“Cos’è BombaCarta?” mi chiedono.
E io qualcosa farfuglio, partendo con un misterioso “BombaCarta non esiste”, ma dalle loro espressioni poco convinte capisco che più parlo più li confondo. Alla fine, arresa, gioco l’ultima carta e concludo: “Senti, tu vieni e vedi. Ti piacerà, lo so. E poi, si mangia la pizza”. Sono convinta che molti vengano per la prima volta principalmente per quest’ultima, non immaginando neanche di poter finire impigliati nella rete di BombaCarta.
Io non mi ci sono impigliata, mi ci sono piuttosto avvolta. La prospettiva bombacartiana fa ormai parte della mia visuale e non di rado mi capita di pensare: questa cosa è proprio bombacartiana. Perché BombaCarta non è un universo separato, una bolla sicura in cui ci si incontra ogni tanto per quattro chiacchiere inutili; BombaCarta si estende ben oltre i nostri interventi, i nostri editoriali, le nostre Officine.
È quindi naturale ritrovarla un po’ ovunque, anche dove non te lo aspetteresti. Ed è anche naturale non riuscire a farne a meno: per questo, ora che abbiamo dovuto sospendere le attività di incontro, si è subito fatto sentire in noi il bisogno di ingegnarci per trovare un modo diverso di vivere BombaCarta. È (ri)nata così BomabaMag.
Certo, non è la stessa cosa. Ciò che più mi manca è chiacchierare, durante le pause, con persone a cui non avrei avuto altrimenti occasione di rivolgere la parola. Mi manca la percezione di quel misterioso legame che ci portava tutti lì, nella stessa stanza fredda ma accogliente di quattro anni fa. Mi manca l’imprevedibilità dell’incontro con gli altri, che rendeva ogni intervento diverso da come lo si era pensato all’inizio. Tutto questo mi manca; ma sono anche senza alcun dubbio entusiasta di quello che siamo riusciti a fare, rimboccandoci le maniche con energia, aperti a scoprire nuove possibilità.
Cos’è BombaCarta?
Forse è vero che, come spesso diciamo, “BombaCarta non esiste”: non è qualcosa di astratto né si riduce a un immobile formalismo. BombaCarta è viva e in continua trasformazione, perché legata strettamente alle persone che la compongono e la animano. Per questo mi è difficile descriverla: occorre farne esperienza, perché il suo senso possa rimanere impresso, senza necessità di troppe parole.
Bellissimo. Verissimo. Così anche per me.