Qualcosa attraverso cui si può vedere

Il 29 giugno 2023 è stato il 225° anniversario della nascita di Giacomo Leopardi. È di certo una ricorrenza degna di nota perché Leopardi, scuola o non scuola, è uno di quegli autori che è sempre bene leggere. E rileggere. E magari ascoltare: un esempio per tutti, “L’infinito” (letto da Carmelo Bene o da Vittorio Gassman).

In questo idillio Leopardi trasforma una siepe da impedimento a possibilità: quella di affrontare un viaggio nel mistero silenzioso dello spazio.

[…] siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura.[…]

Il poeta ci mostra come sia possibile attraversare con lo sguardo un muro di foglie e immaginare una vista più ampia, buttarsi a capofitto, con spavento, in una forma di futuro dove spazio e tempo diventano i protagonisti di un sogno che parla di infinito.

Parto da qui per tentare di legare l’ultima Officina di BC, i “buchi” (della trama), al tema dello sguardo tanto caro a Leopardi. L’occhio di per sé è una fessura che apre e si apre al mondo: nell’Infinito trapassa con lo strumento dell’immaginazione e della fantasia (nel pensier mi fingo) un ostacolo (per altro amato) e si avventura nell’immensità di un universo sconosciuto (quell’aggettivo sovrumani dice molto).

Con un salto di secoli e con un mezzo letterario differente, Eshkol Nevo propone nel suo libro Le vie dell’Eden una serie di racconti. In particolare, in quello intitolato Un uomo entra nel frutteto, l’autore ricorre alla modalità del racconto nel racconto: come se la trama venisse qua e là “bucata” da inserti che permettono al lettore una maggiore comprensione delle storie.

Ecco il breve racconto dal titolo, appunto, Buco.

Nella maglietta bianca di sua moglie – la polizia gliel’ha consegnata dopo aver deciso di archiviare il caso di scomparsa per mancanza di prove – c’è un buco. Vicino al cuore. Lo strappo dev’essere stato provocato da un ramo d’albero: sua moglie non avrebbe mai indossato una maglietta bucata. Nemmeno per una passeggiata tra i frutteti il sabato mattina. Da quando l’ha notato la prima volta, non è più riuscita a non vederlo. Se prende la maglietta dal sacchetto di plastica per sentire nostalgia, non può non vedere che manca quello che avrebbe dovuto stare dove c’è il buco. Ha impiegato anni a capire che un buco è anche qualcosa attraverso cui si può vedere.

Un buco è qualcosa di evidente: non si può non notarlo, non si può fare a meno di pensare, guardandolo, a cosa ci fosse prima del buco. Ma, soprattutto, un buco è qualcosa attraverso cui si può vedere. Verrebbe da dire, in una sorta di ossimoro, che si tratta di una mancanza positiva. Una possibilità anziché una assenza.

Come la piccolezza del giardino leopardiano si confronta con l’immensità del cielo così l’anonimità di un buco (addirittura in una maglietta) si commisura con l’occasione di guardare meglio e bene alla sparizione di una persona cara.

Di fatto, se penso ai buchi penso a gallerie, trafori, tunnel.

I buchi sono – anche – dei punti (dei momenti?) di passaggio: collegano due “luoghi” e permettono non solo di vedere, ma di continuare a vedere.

All’età di 15 anni Leopardi scrive il suo trattato dal titolo “Storia dell’astronomia” il cui incipit recita: “La più sublime, la più nobile tra le scienze è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo…”.

L’interesse per quel mondo altro, infinito, inafferrabile eppure così visibile ripropone il tema dell’osservazione e quindi dello sguardo come strumento di conoscenza. L’occhio vede, indaga, accoglie e conosce.

Ma quanto è affidabile lo sguardo? Quanto restituisce l’occhio e quanto restituisce invece una lente, un cannocchiale, un telescopio, una macchina fotografica dietro i quali si muove un occhio?

Non si può non citare il film Blow Up (1967) in cui Michelangelo Antonioni affronta proprio il tema del carattere ingannevole della realtà, filtrata attraverso l’obiettivo della macchina fotografica e indaga altresì quella che possiamo definire l’illusorietà dello sguardo: la pellicola è un giallo (il delitto documentato è avvenuto oppure no?) in cui ciò che vediamo non sempre corrisponde a ciò che è.

Un buco permette di vedere. Anche l’occhio, pensiamolo come un’apertura, permette di vedere. Anzi, vede.

Eppure, lo sappiamo, c’è un limite fra realtà e fantasia (o immaginazione per essere vicini a Leopardi). E vale sempre la pena cercare di capire dove finisce l’una ed inizia l’altra.

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