Venezia 70 – THE CANYONS di Paul Schrader
Dopo cinque anni dall’ambizioso e sfortunato Adam Resurrected (2008) Paul Schrader torna deitro la macchina da presa presentando alla Mostra di Venezia il suo ultimo The Canyons, film low-budget scritto di Bret Easton Ellis e già uscito nelle sale americane la scorsa estate. Autore di una generazione gloriosa, quella del grande cinema americano degli anni settanta (tanto per capire stiamo parlando dello sceneggiatore di tanti capolavori di Scorsese e De Palma), Schrader si conferma autore al passo con i tempi, proponendo in modo impetuoso la propria visione teorica sulla morte del cinema. Il film si apre e si chiude proprio con immagini di sale cinematografiche chiuse, intervallate nei titoli di coda da istantanee di interni dismessi. L’autore ci avvisa in partenza che il suo sarà un film teorico, mettendoci in mostra il suo personale museo dei cinema, inquietante presagio di morte della settima arte. Le immagini iniziali si profilano quindi come compendio ideale agli spettatori addormentati dentro la sala nella prima scena di Holy Motors (2012) di Leos Carax.
La vicenda è ambientata in California, tra Venice e West Hollywood, dove cinque giovani incrociano le proprie vite personali con il lavoro nel mondo del cinema, definendo uno scenario moralmente desolante. Il cinema a Hollywood è ai titoli di coda, gli attori per mantenere il proprio status sono costretti a fare i baristi o lavorare part-time in alberghi di infima categoria. I continui tradimenti che li vedono protagonisti non sono altro che metafore della condizione precaria di agiatezza mondana di cui godono passivamente. Nonostante siano tutti perfettamente bellissimi e la loro vita scorra superficialmente felice, sono alla continua ricerca di qualcosa di nuovo ed elettrizzante, che possa trasgredire la quotidianità paludosa delle loro squallide vite. L’ossessione di Christian (James Deen) nel cercare sconosciuti su internet, soprattutto maschi, che possano guardare ed eccitarsi di fronte a un rapporto sessuale tra lui e la sua compagna Tara (Lindsay Lohan) rappresenta al meglio la condizione voyeuristica dello spettatore, che osserva il naufragio del cinema senza poter intervenire.
Le vite così apparentemente perfette dei cinque ragazzi non sono altro che una sovrastruttura volta a celare il marcio del mondo che vivono e contribuiscono ad affondare, cui non c’è più soluzione. I protagonisti bevono di continuo vino, tequila, vodka, nascondendo le loro stentate personalità dietro un avatar glamour e luccicante, tra orge, baci saffici, rapporti bisessuali e scambi di coppia. Si incontrano dentro case governate dal design o in locali alla moda, parlano di futilità, di sentimenti ed emozioni che in realtà non provano. Perché sono spietatamente soli. Le subdole dinamiche del tradimento e della menzogna riprendono la metafora della relazione tra reale e virtuale, tra cinema e vita. D’altronde, come ricorda Christian al suo psicanalista, interpretato da un insolito Gus Van Sant, “nella vita siamo tutti attori, ci comportiamo in modo diverso a seconda delle situazioni”. Esattamente come alla fine del già citato Holy Motors, dove a fine giornata per tornare alla vita reale bisogna indossare una maschera sul volto.
I corpi impeccabili dei protagonisti si spostano con macchine costose e cangianti, guidati dai propri smartphone tra viali alberati e ville mozzafiato a strapiombo sul mare. Tra loro spicca una Lindsay Lohan di una bellezza imperfetta e magnetica, cui si perdona la buca dell’ultimo minuto alla Mostra, ufficialmente per motivi di salute, ma che lo stesso Schrader ha definito in conferenza stampa “una brava attrice dal comportamento inqualificabile”. Il volto di Tara-Lohan è sfatto e stressato, con le occhiaie e il trucco colato, a differenza degli altri personaggi che sembrano indossare delle maschere nella vita che intepretano giornalmente. Il corpo di Tara non è perfetto, la sua pelle rosa è ricoperta di macchie e lentiggini, ogni tanto si intravede un piccolo indecifrabile tatuaggio sul braccio, ed è questo che la rende così poetica ed attraente. Ha abbandonato un film in lavorazione perché il cinema non le interessa più. “Ricordi l’ultima volta in cui sei stata veramente al cinema?” chiede a pranzo alla sua amica Gina (Amanda Brooks), che non riesce a risponderle.
Oltre alla musica indie, la colonna sonora del film è scandita da continue notifiche di messaggi ricevuti dagli onnipresenti smartphone dei protagonisti. Telefoni che sono protagonisti fin dalle scene iniziali: da fonte di distrazione durante una noiosissima e imbarazzante cena – dove i continui sguardi in camera degli attori anticipano il tema centrale – fino a fugaci occhi digitali con cui Christian sostituisce la telecamera per girare filmini pornografici amatoriali con i suddetti sconosciuti. I rapporti sessuali sono di plastica, e il bacio diventa un fastidioso diversivo che distoglie dall’incastro meccanico di questi corpi senza amore né vita. Nella scena dell’orgia una miriade di luci psichedeliche rosse e verdi proiettate sulla pelle nuda dei partecipanti restituiscono una dimensione virtuale all’atto sessuale, durante il quale la stessa Tara guarda, volutamente, in camera in almeno un paio di occasioni. Così come la scena dell’omicidio viene filmata da Schrader in modo volutamente ironico e artificioso, quasi a prendersi gioco del cinema stesso, suscitando non poche risate tra i critici presenti in sala. Qui il tocco di Ellis è tangibile, che insieme al regista sembra portare all’estrema rappresentazione le efferatezze compiute da Patrick Bateman (Christian Bale) nell’adattamento cinematografico di American Psycho (M. Harron, 2000).
Quello di Schrader è un film estremo, non tanto per ciò che si vede, quanto per il messaggio teorico alla base. Il cinema ha intrapreso una strada di non ritorno, indirizzato verso la propria fine. Le telecamere onnipresenti nella nostra vita hanno eliminato l’aura artistica della settima arte, sfumando sempre più la dialettica tra il pubblico e il privato. “La vita privata non esiste più” dice Christian a Tara, mentre aspettano in salotto il voyeur di turno, scelto per la serata con una App dello smartphone.
aiuto! (grazie Damiano, aspettiamo altre notizie, magari migliori, dalla Laguna)!