Punti di snodo

C’è una notte, nelle pagine della letteratura, alla quale possiamo andare ogni volta che pensiamo ad un bivio, alle scelte e alle conseguenze. È la notte in cui gli spiriti dei Natali passati, presenti e futuri fanno visita a Scrooge in Canto di Natale di Charles Dickens.

I tre Spiriti sono il dono ricevuto dal vecchio socio di Scrooge, l’ormai defunto Marley che, andatosene nell’aldilà, invia un avvertimento all’avaro protagonista. Scrooge viaggia così nel tempo, vedendo cosa era da bambino, cosa è la vita nel presente. E vede pure quelle che saranno le conseguenze di una vita improntata al più gretto egoismo. Ma Scrooge, fino alla fine delle apparizioni, non si rende conto che la storia che scorre davanti ai suoi occhi ha lui per protagonista. Tant’è che nella scena in cui lo Spirito del Natale futuro lo conduce davanti alla tomba dell’uomo morto solo e disprezzato da tutti, presagendo l’imminente e terribile scoperta, Scrooge domanda:

“Prima che io mi avvicini alla pietra che tu mi indichi – … rispondi ad una domanda: sono queste le ombre delle cose che saranno, o sono le ombre delle cose che potrebbero essere?”

Questa domanda rappresenta la chiave di volta del Canto, perché butta in scena la coscienza del protagonista e con essa la nostra. Che parte abbiamo in commedia? viene infatti da domandarsi; dobbiamo subire le conseguenze delle nostre scelte in modo immutabile o c’è ancora margine per volgerci al bene e cambiare il corso degli eventi e della nostra esistenza? Lo Spirito scompare, Scrooge si risveglia nel suo letto, si ravvede e Dickens mette nelle ultime pagine la gioia conseguente alla sua scelta, per lui e per chi lo circonda.

Parabola mirabile capace di incantare tanto i piccoli quanto i grandi. Difficilmente, però, quando ci troviamo dinnanzi a delle scelte da compiere – siano esse snodi clamorosi della nostra vita o piccole e quotidiane, apparentemente minori – ci vengono in soccorso degli spiriti a svelare le future conseguenze delle nostre azioni.

Come possiamo, noi, sciogliere i rebus che la vita ci pone dinnanzi e prendere la strada buona?

Un’altra celebre notte letteraria viene in nostro soccorso. È la notte dell’Innominato de I Promessi Sposi, un racconto che nella nostra memoria accende il senso della totale solitudine di quella figura davanti alle proprie responsabilità; ma vanno veramente così le cose per come ce le racconta Manzoni?

In realtà quelle ore, delle quali la notte non è che una parte, sono un fitto dialogo che avviene tra l’Innominato, la sua coscienza e altri personaggi e non si può comprendere quel lasso di tempo se non allargando l’immagine al tempo che le precede e a quello che le segue.

Ma appena rimase solo, si trovò, non dirò pentito, ma indispettito d’averla data (la parola a don Rodrigo – ndr). Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze. Quelle tante ch’erano ammontate, se non sulla sua coscienza, almeno nella sua memoria, si risvegliavano ogni volta che ne commettesse una di nuovo, e si presentavano all’animo brutte e troppe: era come il crescere e crescere d’un peso già incomodo.

E ancora:

Da un’alta finestra del suo castellaccio, guardava da qualche tempo verso uno sbocco della valle; ed ecco spuntar la carrozza, e venire innanzi lentamente: perché quel primo andar di carriera aveva consumata la foga, e domate le forze de’ cavalli. E benché, dal punto dove stava a guardare, la non paresse più che una di quelle carrozzine che si dànno per balocco ai fanciulli, la riconobbe subito, e si sentì il cuore batter più forte.

L’Innominato qui è solo, la coscienza inizia a farsi sentire più decisa che in altri momenti della sua vita.

Poi arriva il Nibbio, il più tremendo dei suoi sgherri, il quale, facendo rapporto sul rapimento, se ne esce con quella frase tanto strana:

“Tutto a un puntino,” rispose, inchinandosi, il Nibbio: “… ma….

Mi ha fatto troppa compassione.”

“Compassione! Che sai tu di compassione? Che cosa è compassione?”

Interrogatorio rivolto al Nibbio quanto a sé, iniziando a sentire ormai la terra vacillare sotto i piedi.

Il Nibbio porta così un ulteriore colpo alla coscienza dell’Innominato costringendolo ad andare ancora più a fondo. Tanto che inquieto egli decide di andare a vedere questa Lucia.

“Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! Mi lasci andare; per carità mi lasci andare! Non torna conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto una povera creatura.” – implora lei, e nel pregarlo usa quasi le stesse parole che abbiamo sentite ad un altro bivio del racconto, quando fra Cristoforo, padre spirituale di Lucia, incalza don Rodrigo affinché smetta di importunare la ragazza, perché: “Verrà un giorno…”. La storia si rivela così essere un intreccio di tanti bivi che determinano le catene del bene e del male.

Poi l’Innominato è ancora solo:

Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: — Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! — E non gli tornavan già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza.

Seguono le ore più buie nel corso delle quali l’Innominato ipotizza di cambiar vita, o di togliersela, quella vita, resa ormai insopportabile da una nuova consapevolezza, ma anche qui non è solo, nella sua mente ricompare la memoria di Lucia.

Tuttavia gli incontri non sono ancora finiti e lui viene nuovamente richiamato al presente dalle voci della processione giù nella valle

“Che diavolo hanno costoro? che c’è d’allegro in questo maledetto paese? dove va tutta quella canaglia?”

e decide di andare a vedere quel Cardinal Borromeo di cui tutti parlano. Lo incontra, viene abbracciato da un amore grande e i nodi si sciolgono, prima ancora che col mondo, con sé.

“… io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!”

Per la verità poco prima l’Innominato ha chiesto al Cardinale cosa ne avrebbe ricavato Dio dal suo cambiamento, ma a differenza di uno spirito che vede tutto, il Cardinale, essendo un uomo risponde: “E voi domandate che cosa Dio possa fare di voi? Chi son io, pover’uomo, che sappia dirvi fin d’ora che profitto, possa cavar da voi un tal Signore?”, le conseguenze delle azioni, cioè, si scopriranno solo con il tempo perché esse non sono nemmeno esauribili nelle scelte che egli compie.

Dickens e Manzoni ci indicano dunque due situazioni differenti; per il primo, la decisione di una scelta dinnanzi ad un bivio arriva grazie al dono di una visione del tempo che disancora dal presente per poi tornarvi cambiato; per il secondo, il percorso dai toni più drammatici, passa attraverso una progressiva discesa verso il fondo del proprio presente attraverso l’apparir di alcuni volti che abitano la notte. Per entrambi, tuttavia, la possibilità di compiere la scelta arriva come un dono. Per entrambi il risultato è una gioia insperata, sperimentabile già dal primo istante in cui si decide il mutamento.

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