Dietro la porta
Nel 1993 la Stampa Alternativa pubblicò per le mitiche edizioni Millelire un libretto di poesie di Emily Dickinson dal titolo “Dietro la porta”. Il risvolto di copertina recita: “Segregata volontaria, per quasi metà della sua vita, Emily Dickinson, da dietro la porta invia nel mondo le sue lettere e le sue poesie: quasi duemila liriche di cui solo sette pubblicate in vita! L’ossimoro, la metafora, l’enigma sono la cifra della lirica della più alta creatrice di poesia statunitense, che in essi riversava la propria stessa vita, immolata, nella solitudine, alla scrittura. Questa scelta ne traduce l’essenziale.”
È interessante (verrebbe da dire bella) questa immagine di una poetessa sola e solitaria che protetta, difesa e fors’anche nascosta da una porta si impone il compito di regalare al mondo i suoi versi, suoi pensieri. Li immaginiamo attaccati alla porta su foglietti volanti o infilati sotto la porta per arrivare a chi è dall’altra parte.
Che cosa rappresenta una porta? Un accesso, un ingresso, un varco, un passaggio, un’apertura. Ma anche uno scudo, un rifugio, un riparo. Un sostegno, un appoggio. O un impedimento, uno sbarramento.
Trovare poesia, arte dietro una porta diventa così un espediente che permette all’autore di sfruttare una sorta di protezione per le sue creazioni e concedere al lettore uno spazio privilegiato, aperto, sgombro. Per fare esperienza.
Un velo che non è trasparente, un baluardo che da un lato imprigiona e dall’altro dona sicurezza, conforto. Un punto di passaggio.
Nella mitologia Giano (Ianus) è il dio degli inizi, raffigurato come bifronte, con due volti capaci di guardare l’uno il passato e l’altro il futuro. Si è discusso molto sull’etimologia del suo nome e pare che l’origine sia indoeuropea, da una radice che indica il concetto di passaggio, guado e il termine latino ianua ovvero porta si ricollega perfettamente. In epoca classica il nome Giano veniva fatto risalire al verbo ire (andare) mettendo il dio in relazione con il movimento materiale e immateriale di passato e futuro.
All’interno della snella raccolta dedicata alla Dickinson si trova questa poesia:
Andiamo
e non sappiamo
quando andiamo.
Scherziamo
ma la porta richiudiamo;
poi dietro il fato sbarra con le spranghe
e l’accesso ci è tolto.
Qui la porta diventa, più che una scelta, parte di un’azione abituale: chiudiamo la porta rientrando dal nostro andare e lasciamo fuori quel che è stato, con tutte le sue incertezze. E lo facciamo quasi con leggerezza, senza pensarci. Dietro, però, è come in agguato il fato, il destino, ciò che ci determina: con tempi diversi dai nostri ci ammonisce e ci ricorda che il nostro andare, il nostro varcare una soglia non necessariamente ci consente di rientrarvi.
In un’altra lirica, non presente in questa raccolta, la Dickinson torna ad incantarci sul tema dell’invisibile e ci avverte, invece, su cosa celano i ricordi, su cosa c’è dietro un ricordo, che è un frammento di passato che continua a viaggiare verso il futuro:
Il ricordo ha un retro e una facciata
È un po’ come una casa
Ha anche una soffitta
Per roba vecchia e topi.E inoltre una cantina – la più profonda
Che muratore abbia mai costruito
Attenzione a quei suoi abissiChe non diventino il nostro incubo.
Per parlare della memoria la poetessa usa qui la metafora della casa: dentro di noi stratifichiamo moltissimi ricordi, belli e degni di stare sulla facciata e meno belli, destinati al retro. E poi ci sono quei ricordi da cui fuggiamo, quelli “dietro dietro”, quelli sepolti e nascosti in una cantina e dai quali ci guardiamo, ci difendiamo per paura che, disseppelliti, possano tramutarsi in angoscia e oppressione.
Il rovescio, anche in queste accezioni, è l’opportunità di ampliare il nostro sguardo: l’incertezza di cosa sta dietro una porta è, al tempo stesso, la possibilità di fare un passo oltre, verso e compiere una scelta, annullando di fatto le differenze fra dritto e rovescio, fra davanti e dietro, fra passato e fututo, a beneficio del presente, del qui e ora.
Che è, a ben guardare, la sfida dell’arte. E della scrittura.