Il diario del laboratorio di scrittura 2002/2003

14 maggio 2003: Editing, editing, editing…

Per il quarto incontro consecutivo ci dedichiamo a Porte, il racconto di Jodie. È la prima volta che spendiamo così tanto tempo e attenzione su un unico testo, ma quasi non ce ne accorgiamo. Jodie ha lavorato con costanza portandoci per quattro settimane una nuova versione del suo racconto e ci sembra naturale partecipare attivamente alla sua graduale presa di coscienza della storia da raccontare, delle personalità dei personaggi, degli esiti delle loro azioni e di tutti i particolari dell’ambiente che concorrono ad esprimere la realtà che abita i personaggi. Successivamente passiamo ad un testo di Francesco intitolato La decorazione che nasce da un esercizio di scrittura compiuto in uno dei precedenti incontri.

7 maggio 2003: Ancora un passo avanti

Siamo di nuovo al lavoro sul testo di Jodie e la lettura della nuova stesura del suo racconto ci rivela immediatamente un grande passo avanti: la storia ora ha un inizio, uno sviluppo drammatico e una conclusione. Finalmente l’arco narrativo è completo. Ci concentriamo, allora, sui personaggi e discutiamo delle motivazioni che sono alla base dei loro comportamenti, cercando di individuare i punti della narrazione che sembrano poco chiari, contraddittori o, al contrario, particolarmente efficaci. L’ultima parte dell’incontro lo dedichiamo alla lettura di alcune pagine tratte da “Nel territorio del diavolo” che raccoglie i testi di alcuni seminari sulla scrittura tenuti dalla scrittrice americana Flannery O’Connor.

30 aprile 2003: Una seconda revisione

Il racconto di Jodie è giunto ad una seconda stesura, ma questa volta la sessione di editing la dedichiamo più a verificare la tenuta della struttura narrativa e la coerenza dei personaggi che al controllo dell’efficacia espressiva delle singole parole. Una rilettura attenta del racconto ci porta ad una conclusione molto importante: scopriamo che il testo di Jody contiene solo le premesse di una vicenda ancora da raccontare e che il fatto posto a conclusione della vicenda nella stesura attuale è, a ben vedere, l’evento destinato ad attivare un’azione drammatica ancora tutta da sviluppare. Questa presa di coscienza ci porta inevitabilmente a porci delle domande sulla personalità del protagonista del racconto e, quindi, sui comportamenti che potrebbe mettere in atto nelle azioni che sostanziano lo sviluppo del racconto successivo. Il lavoro di revisione sfocia, quindi, nel discutere i possibili sviluppi che potrebbe avere la storia e le risposte alla domanda fondamentale che è dietro a quanto deve ancora accadere: chi è il nostro protagonista? Cosa vuole? Qual è il suo desiderio profondo prevalente? Ne discutiamo e il personaggio sembra a poco a poco diventare di carne e sangue. Ora attendiamo la terza stesura.

23 aprile 2003: Un racconto di Jody

Porte è il titolo del racconto di Jody al quale dedichiamo le due ore dell’incontro. E’ un testo ricco di immagini, di rumori e di sensazioni tattili. Ha un ritmo avvolgente, circolare, equilibrato che è senza dubbio conseguenza del suo talento musicale. Questa prima stesura del racconto ci convince e siamo tutti fortemente invogliati a lavorare sul testo per scoprire i punti di forza e di debolezza. E’ una sessione di editing intensa, tutta concentrata sulle prime dieci righe del testo, anche perché il lavoro di revisione ci offre l’occasione per approfondire alcune questioni importanti. In particolare, ci chiediamo fino a che punto l’editor di un testo possa imporre all’autore le sue modifiche. Inoltre ci chiediamo se la libertà dello scrittore consista piú nell’essere libero di scrivere nel modo che lo appaga maggiormente senza rendere conto a nessuno (neppure al lettore) o piuttosto se consista nel creare le migliori condizioni per l’incontro tra lettore e personaggio ovvero nel fare spazio, nel concreta scelta delle parole, a due persone distinte dall’autore. Sono questioni che è difficile dirimere in astratto e, allora, decidiamo di continuare l’analisi del racconto di Jody e di rinviare la discussione ai messaggi del forum.

16 aprile 2003: La mela di Costanza

La lettera di Katherine Mansfield letta in un incontro passato ha acceso l’immaginazione di Costanza che ha scritto e inviato nel forum un testo molto apprezzato da tutti. Lo leggiamo e cerchiamo di capire quali immagini, quali parole, quali particolari della narrazione ci coinvolgono e quali invece fanno cadere la nostra attenzione. Il testo di Costanza è molto delicato, proprio come lei, e facciamo le nostre osservazioni con prudenza e rispetto, ma individuiamo alcune frasi e alcune parole che andrebbero modificate o eliminate. E’ il lavoro di revisione del testo e Costanza è un po’ spaventata perché ha il timore di rovinare la sua creazione, scaturita in modo così istintivo e semplice, con questo lavoro di microchirurgia espressiva. Ci rendiamo conto che la disciplina della scrittura richiede anche il coraggio della rilettura e della revisione. E anche la fiducia che la riscrittura non solo serve a migliorare l’efficacia espressiva del testo, ma anche a rivelare imprevedibili e meravigliosi sviluppi della storia che si intende narrare.

9 aprile 2003: Una questione di ritmo

Cosa hanno in comune le prime sequenze del film Trainspotting e l’incipit del romanzo Il partigiano Johnny di B.Fenoglio? Oppure le prime pagine di Tenera è la notte di F.S. Fitzgerald e la prima scena del film Shakespeare in love? Queste immagini e questi testi ci offrono lo spunto per prendere maggiore coscienza dell’importanza del ritmo nella narrazione e di come questo sia importante, soprattutto nelle prime battute di un’opera, per definire il registro dell’opera e l’atmosfera di fondo del mondo in cui si invitano lettori e spettatori. Analizziamo testi e immagini e poi ci esercitiamo nel trasformare un testo con un ritmo molto rapido in una narrazione più lenta e placida.

26 marzo 2003: L’incidente

L’incidente è il titolo del racconto di Daniele che sottoponiamo a due ore di rigorosa revisione come ad una faticosa e complessa operazione chirurgica. E’ la seconda stesura di un testo che avevamo già lavorato in uno dei precedenti incontri, ma la storia è completamente cambiata. I fatti raccontati sono molto semplici, ordinari: il personaggio narrante guida la macchina sull’autostrada e assiste all’ennesimo litigio tra la sorella, seduta accanto a lui e incinta, e la madre burbera e silenziosa seduta sul sedile posteriore. La scena è chiara anche se la storia ci sfugge. Daniele ci rivela le sue intenzioni narrative, ma scopriamo che non corrispondono alla realtà descritta e che i dettagli scelti non centrano l’obiettivo prefissato sia per quanto riguarda lo sviluppo invisibile dei sentimenti dei protagonisti sia per quanto riguarda la loro caratterizzazione. Cerchiamo di mettere a fuoco la storia che Daniele avrebbe voluto raccontare e, in questo modo, finiamo per discutere della struttura narrativa del racconto. Poi l’analisi del testo si sposta sulle singole parole, soprattutto su quelle che soffrono di “debolezza di specificazione” perché stentano a rappresentare la realtà mirata dall’autore. Sono i due livelli del lavoro di editing, quello finalizzato a verificare l’effettiva presenza di una storia e quello attraverso su cui ci si interroga sulla scelta delle parole utilizzate per raccontare il fatto che costituisce il cuore della narrazione.

19 marzo 2003: Incontro con lo scrittore esordiente Paolo Papotti

Anche se nessun laureato in lettere è mai diventato uno scrittore famoso (Antonio Spadaro dixit) ed esistono esempi illustri del contrario, uno per tutti quello dell’ingegner Gadda, pure lo stereotipo del laureato tecnico sembra lontano dall’uso creativo della parola scritta. Paolo Papotti, che ha occupato il nostro incontro di mercoledì scorso con la presentazione del libro Dove comincia la strada, di cui è coautore, è un fresco ingegnere ma è anche scrittore fresco e gradevole (leggere per credere). Come ha risolto la potenziale contraddizione tra le sue due anime? Ha “semplicemente” indirizzato la prima al servizio della seconda, organizzando e gestendo il suo spazio esterno (tempi e luoghi) per liberare quello interno (attenzione ed ascolto) e permettersi di scrivere molto e regolarmente. Ci può essere di aiuto?
Molti i discorsi autorevoli intorno al suo giovane lavoro. Michela Carpi, che ha proposto la lettura di alcuni brani per la voce di Rachele Laurienzo, ha sottolineato come molti siano i passaggi dove prevale l’attenzione ai dettagli che capitano sotto gli occhi del protagonista, spesso dettagli dinamici resi con stile fulminante. La storia invece non è fatta di avvenimenti eclatanti: il viaggio di cui si parla è prevalentemente un viaggio nei sentimenti e negli stati d’animo, esperienza di crescita del protagonista. (Francesco Sgamma)

12 marzo 2003: L’immedesimazione e la meraviglia per Katherine Mansfield

E’ il giorno in cui ci confrontiamo con due modi radicalmente opposti di vivere la scrittura. Il primo e’ descritto in un testo di Ennio Flaiano tratto da La solitudine del satiro che descrive un romanziere al lavoro che affronta il suo testo con fredda razionalità. Il desiderio di questo scrittore e’ il controllo totale della narrazione attraverso una fredda e calcolata determinazione di ciò che accade ai protagonisti della storia. L’impressione che ne ricaviamo e’ di angoscia e di aridità. Il secondo testo e’ tratto dalle Lettere di Katerine Mansfield e la scrittrice sottolinea l’importanza dell’immedesimazione come momento preliminare fondamentale ad ogni tentativo di narrazione. Per lei immedesimazione è incontro e accoglienza della realtà, un processo in cui il narratore riceve/coglie con stupore e meraviglia la realtà prima di ricrearla attraverso la parola scritta. Mentre il primo romanziere cerca di dominare la narrazione e la vita dei suoi personaggi con la volontà e la ragione, senza lasciare che siano essi a rivelargli ciò che non conosce (ovvero la storia da narrare), la Mansfield afferma di avere “l’intenso desiderio di servire il mio soggetto” e che “non vede come l’arte possa fare quel divino balzo nei limitati contorni delle cose se non e’ passata attraverso il processo di divenire queste cose prima di ricrearle”.

5 marzo 2003: Un cieco ci svela la sfida dell’aspirante scrittore

Iniziamo con un esercizio di immedesimazione che consiste nello scrivere un testo in prima persona la cui voce narrante è quella di un uomo cieco dalla nascita. Bisogna prima descrivere l’ambiente in cui il personaggio vive e poi il dialogo con un venditore ambulante che tenta di vendergli un oggetto che l’uomo naturalmente non può vedere. Ci rendiamo conto immediatamente che la realtà raccontata da una persona non vedente può essere solo quella colta attraverso il senso dell’udito, del tatto, dell’odorato e del gusto. L’esercizio lascia tutti interdetti. Si percepisce dagli sguardi e dal silenzio ombrato dei partecipanti al laboratorio un senso di disagio, la difficoltà di entrare nei panni di una persona che non coglie la realtà attraverso la vista, la paura di non riuscire nell’esercizio e quasi un moto di ribellione verso un l’obbligo di trasformarsi, anche solo per poco tempo, in qualcuno dall’esperienza molto diversa dalla nostra. Dopo un quarto d’ora di scrittura, ci fermiamo a riflettere su questo sentimento iniziale e sulla sfida che l’aspirante scrittore deve lanciare a due atteggiamenti esistenziali fortemente radicati in ciascuno: il soggettivismo ovvero la tendenza a parlare/scrivere solo di se stessi e “lo sguardo funzionale” ovvero la tendenza a cogliere la realtà che non tocca i nostri interessi in modo concettuale, funzionale, intellettuale, non incarnato. Questi due atteggiamenti interiori ci impediscono di immedesimarci nella vita di altri personaggi e di conoscere pienamente la realtà, senza fare riferimento ad astrazioni. La scrittura non se ne fa nulla delle astrazioni. Essa esige il fatto di incarnarsi in una realtà estranea dalla nostra e, quindi, uno sforzo di uscita da noi stessi e di immedesimazione profonda nei personaggi che si voglio descrivere. Dopo esserci confrontati sui nostri testi, leggiamo l’incipit di Almost Blue di Carlo Lucarelli in cui il personaggio narrante è un cieco.

27 febbraio 2003: Cechov, Chandler e il registro del racconto

Il registro della narrazione è una caratteristica precisa e importante di un testo, ma è difficile spiegare in astratto in cosa consiste. Allora abbiamo messo a confronto il tono del testo di Raymond Chandler che avevamo letto nel precedente incontro e quello di un racconto di Cechov intitolato Il grasso e il magro. La voce narrante del testo dell’autore americano è quella del protagonista e risponde alla sua personalità. E’ una voce amara, disillusa, sarcastica, spesso tagliente, anche se a tratti venata di un sottile romanticismo. La realtà viene narrata sempre con un filo di ironia mentre nel racconto di Cechov, fin dalle prime righe, ci viene da sorridere. L’autore russo ci rappresenta la realtà servendosi di un registro umoristico che diverte il lettore anche se la verità che emerge dal racconto è amara. Il lavoro di laboratorio è consistito nell’individuare le parole utilizzate dai due scrittori per dare ai rispettivi testi questo diverso gusto, tono, registro. Prima di questo abbiamo letto, analizzato e riveduto un testo di Francesco di cui speriamo di vedere presto una seconda stesura.

19 febbraio 2003: Quando un testo sembra non avere vita

La revisione di un testo riserva sempre molte sorprese. Anche quando il testo è il risultato di un rapido esercizio di scioglimento e lo si considera poco meritevole di attenzione. Ieri abbiamo lavorato su un testo di Ugo, due pagine che, nelle intenzioni dell’autore, rispondevano solo all’obiettivo dell’esercizio assegnato in uno dei precedenti incontri e, prima ancora di cominciare la revisione del testo, percepiamo dalle parole e dallo sguardo di Ugo che stiamo per applicarci su due pagine morte, su un fuoco spento. Perché questa mancanza di entusiasmo? Leggiamo il testo e, come ci aveva anticipato Ugo, ci accorgiamo che il testo contiene solo le premesse per una eventuale storia e i caratteri dei personaggi sono appena abbozzati. Si tratta appunto di un bozzetto (e sfido chiunque ad appassionarsi ad un bozzetto se in esso non coglie una strada verso un vero e proprio dipinto). Per trovare l’acqua in questo deserto non ci resta che scavare e, dunque, ci applichiamo nella messa a fuoco dei personaggi e non in astratto, ma partendo da quegli elementi concreti (l’ambiente in cui si svolge la scena, l’abbigliamento dei personaggi, le parole pronunciate nei dialoghi, ecc.) che offrono lo spunto per far emergere le tracce della storia passata, dei desideri e dei rapporti dei personaggi. E’ stato come andare alla ricerca della vita dei personaggi e alla fine Ugo ha deciso di riprendere il testo e di tentare di ricavarne una storia. Per concludere abbiamo letto le prime tre pagine de Il lungo addio di Raymond Chandler per fare un esercizio di scrittura sul tono della narrazione.

12 febbraio 2003: Nina’s day

E’ arrivato il giorno di Nina. E’ la prima volta che leggiamo un suo racconto. Le sono voluti cinque mesi e sedici incontri di laboratorio per arrivare a proporre un proprio testo, ma la soddisfazione è tanta perché finalmente si è messa in gioco (e noi insieme a lei). La narrazione si basa su un fatto realmente accaduto. Nina ha attinto personaggi e situazioni della sua storia dal ricordo di un fatto molto preciso e circostanziato. C’è un eccesso di autobiografismo che finisce per soffocare il sorgere di una vera e propria storia. Questa è ancora dentro di lei che, oltre che nella realtà, è il vero protagonista della narrazione. Tutto il lavoro sul suo testo è volto a far emergere un personaggio autonomo e indipendente da Nina. Il suo racconto deve crescere, trasformarsi e maturare fino a giungere ad una storia diversa da quella realmente vissuta dall’autore. In questo senso, il laboratorio serve a tracciare una strada utile alla scrittura della seconda stesura del racconto.

5 febbraio 2003: Daniele e Carver

Sono quasi tre anni che Daniele frequenta il laboratorio di scrittura e le sue narrazioni ricordano i racconti di Raymond Carver. E’ lo scrittore di Cattedrale il suo modello principale. Ieri abbiamo letto e analizzato un racconto intitolato Non era mai successo e per comprendere meglio le scelte formali che Daniele ha fatto per portare a compimento le sue intenzioni narrative abbiamo letto le prime pagine del racconto Nessuno diceva niente dello scrittore americano. Entrambe le storie sono ambientate in un quadro di vita quotidiana assolutamente ordinario, non ci sono colpi di scena particolari o straordinarie peripezie. Tutto si gioca negli spazi di silenzio lasciati dalle parole, nel ritmo sincopato delle frasi e nel valore simbolico di alcuni particolari. Eppure la storia che si cela dietro ai dialoghi e alle azioni del tutto ordinarie dei personaggi del testo di Daniele, al contrario del testo di Carver, non emerge chiaramente. Il testo soffre ancora di una certa mancanza di chiarezza e il dibattito si accende. Facciamo in tempo ad intervenire solo sulla prima pagina del suo testo. Ci vuole tempo per la revisione e questa volta le due ore non ci sono bastate.

29 gennaio 2003: Onofri e alcuni particolari evocativi

Un articolo del giornalista e scrittore Sandro Onofri, tratto da Cose che succedono, ci offre lo spunto per discutere ed esercitarci sul processo di invenzione di una storia. Dopo una lettura ad alta voce ci soffermiamo, ognuno nel proprio silenzio, a sottolineare le frasi o le parole che ci colpiscono e che potrebbero costituire lo spunto per un nuovo racconto. Marisa sottolinea un’affermazione di carattere generale del giornalista, ma riconosce immediatamente il rischio di prendere un’opinione dell’autore come punto di partenza per l’invenzione di una storia. Sa infatti che molti principianti sono attratti dalle idee e, invece di descrivere la realtà in modo da consentire al lettore di vivere un’esperienza, cedono alla tentazione di esprimere la propria visione del mondo, le proprie opinioni, la propria filosofia di vita. Ma al lettore interessa solo la vita dei personaggi nella sua concretezza e non il pensiero dell’autore. Ritorniamo, quindi, sui particolari concreti (un cancello preso a calci, una scarpa slacciata, una bandiera italiana abbandonata in un angolo della stanza del preside, ecc.) e continuiamo l’esercizio cercando di mettere a fuoco le immagini – spesso dimenticate nel pozzo della memoria – evocate dal particolare del testo da cui siamo rimasti colpiti.

22 gennaio 2003: Il coraggio dell’editing

La prima parte dell’incontro è dedicata alla lettura e all’analisi di un testo di Marco. L’impressione immediata è quella di scivolare sulle parole, di non avere elementi concreti sufficienti per accendere la nostra immaginazione e farci coinvolgere dalla narrazione. E’ l’occasione per parlare dell’importanza dei sensi, più che delle idee, nella scrittura di testi di narrativa. E’ la prima volta che Marco sottopone un suo testo ad una sessione di editing e, senza patire per le osservazioni critiche scaturite dalla lettura condivisa, riconosce l’importanza di questa esperienza e la sua necessità confrontarsi con dei lettori attenti e autenticamente critici. Successivamente leggiamo le prime pagine di Occhi felici, un racconto di Ingeborg Bachmann, e dopo una prima lettura ad alta voce, analizziamo il testo per mettere a fuoco il modo in cui la scrittrice austriaca introduce e caratterizza il personaggio principale del racconto. Gli ultimi venti minuti sono dedicati ad un esercizio di scrittura basato sull’osservazione di una fotografia.

15 gennaio 2003: Il racconto di Francesco

L’incontro è dedicato interamente all’editing della prima stesura di un racconto di Francesco. Siamo di fronte ad una breve narrazione ispirata da un recente fatto di cronaca, il ritrovamento, dietro il muro di una cantina, del cadavere di un suicida morto quarant’anni prima e da tutti creduto partito e disperso in America. Di questa storia realmente accaduta, Francesco ha deciso di descrivere i minuti che precedono il suicido e precisamente l’attimo in cui il protagonista sistema l’ultimo mattone e termina il lavoro di muratura che nasconderà la verità sulla sua sorte insieme al suo cadavere. Dopo una lettura ad alta voce e prima di analizzare il testo parola per parola, ci chiediamo quale sia la storia narrata perché, per quanto la situazione in cui si trova il personaggio sia chiara e suggestivi i pensieri che l’accompagnano, fatichiamo a coinvolgerci. Ci chiediamo (e chiediamo a Francesco di spiegarci la sua intenzione ) quale sia l’elemento di conflitto in grado di sviluppare l’azione drammatica. Il alcuni punti del testo emerge timidamente un dubbio dell’aspirante suicida sulla decisione stessa di rinunciare alla vita, ma c’è chi ipotizza altri fattori di contrasto e, quindi, diverse storie che possono scaturire da una simile situazione (anche se la decisione finale spetta a Francesco).

8 gennaio 2003: Leif Enger e la testimonianza di una laureata in “creative writing”

Il laboratorio inizia il nuovo anno con un ospite d’eccezione. E’ con noi Marisa Escolar, una giovane scrittrice americana di racconti laureata in creative writing e letteratura comparata alla Columbia University di New York. Marisa parla molto bene l’italiano e partecipa all’incontro intervenendo nell’analisi del primo capitolo di La pace come un fiume di Leif Enger. Fin dalla prima lettura ad alta voce, il testo è molto coinvolgente, ma solo una rilettura attenta ad ogni parola utilizzata e alla sequenza di situazioni e dettagli scelti dall’autore per descrivere la realtà narrata diventiamo consapevoli delle maglie della rete con cui il lettore viene avvinto fin dalle prime righe del romanzo. Leggiamo anche i ringraziamenti che Enger pospone alla narrazione, soffermandoci sul passo in cui fa esplicito riferimento agli anni trascorsi nelle “trincee dell’apprendistato della scrittura” e al ruolo fondamentale svolto dagli editors, dagli insegnanti nonché da una moglie attenta a cogliere in anticipo “tutto ciò che nel testo non funzionava”. Anche il nostro laboratorio è una piccola trincea e Marisa, parlandoci della sua esperienza di studentessa di corsi scolastici e universitari di creative writing, ci raccomanda l’umiltà necessaria a fare tesoro delle critiche che vengono fatte ai nostri testi, soprattutto durante le sessioni di editing.

18 dicembre 2002: Per chi scriviamo? E se manca la storia?

Lo sviluppo della capacità di narrare passa anche attraverso la riflessione sul senso dell’esperienza della scrittura. Ieri, in particolare, ci siamo posti la questione: per chi scriviamo? Lo facciamo ancora per noi stessi e per una cerchia ristretta di persone a noi molto intime (come quando da adolescenti scrivevamo un diario) o sentiamo l’esigenza comunicare con un pubblico indistinto di persone che non conosciamo? Per entrare nel problema leggiamo le prime pagine di Parole private dette in pubblico dello scrittore e insegnante di scrittura creativa Giulio Mozzi. Dopo una breve discussione (la prima di una riflessione che ci accompagnerà tutto l’anno) leggiamo un testo di Jody intitolato L’uomo. Il testo è ricco di immagini, soprattutto per quanto riguarda la descrizione dell’ambiente in cui si svolge l’azione, ma il protagonista è ancora una figura sfocata, priva di quella unicità che il personaggio principale di un racconto deve avere. Anche il fatto narrato non è chiaro e discutiamo delle scelte che Jody potrebbe fare per dare forma ad una storia irripetibile quanto il suo personaggio. Successivamente leggiamo Lui e lei, un testo di Alex e, anche in questo caso, emerge la necessità di avere una storia dai contorni più definiti e, quindi, una maggiore coscienza, da parte dell’autore, delle motivazioni dei protagonisti e del piano sul quale si gioca la loro relazione. Appuntamento alla prossima stesura di entrambi i testi e auguri di Buon Natale a tutti quanti! :)

11 dicembre 2002: Un lucido scirocco

Ci sono canzoni che sono racconti in forma di poesia. E’ il caso di Scirocco, una composizione di Francesco Guccini di cui leggiamo e analizziamo il testo. Le parole a disposizione sono poche e l’autore deve sceglierle così accuratamente da riuscire a: rappresentare una scena che il lettore possa vedere e abitare con la propria immaginazione; far emergere attraverso particolari concreti il dramma vissuto dai personaggi senza “spiegare” al lettore i termini del conflitto; universalizzare la realtà rappresentata attraverso dettagli dal forte valore simbolico, tali da collocare un piccolo episodio in una prospettiva in cui traspare tutta la vita dei personaggi e in cui possa riflettersi quella del lettore. Per esempio, quando “le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè e le mani disegnavano sogni e certezze” l’autore non ci comunica solo che la protagonista piange e gesticola… Dopo la lettura, proviamo a riscrivere la scena usando parole diverse da quelle utilizzate da Guccini e scegliendo liberamente il punto di vista. I testi evocati dalla lettura e dall’ascolto di Scirocco sono molto interessanti, anche quelli di Jody e Beatrice, una violoncellista e una pittrice che hanno deciso di partecipare al laboratorio. Ci lasciamo dandoci appuntamento per l’ultima lezione dell’anno, la prima nella nuova sede del laboratorio in Via Tomacelli 146.

4 dicembre 2002: Il suicida ritrovato e “La casa di Chef”

La scrittura di testi di narrativa richiede un nuovo modo di guardare alla realtà. Siamo troppo abituati a guardare al mondo in modo funzionale ai nostri desideri. Di solito ci mettiamo al centro di tutto e selezioniamo ciò che cogliamo con i sensi scartando tutto ciò che non ci serve. E’ ora, invece, di “ascoltare” la realtà lasciandoci sorprendere dal potere evocativo di ogni elemento del reale. Leggiamo alcuni ritagli di giornale e proviamo ad immaginare le storie che si celano dietro a piccoli fatti di cronaca. Ci colpisce la notizia del corpo del suicida ritrovato dopo quarantaquattro anni dietro ad un muro di casa mentre tutti lo credevano disperso in America. Ma non servono necessariamente fatti straordinari per avere lo spunto per una storia. La nostra vita di tutti giorni è ricca di microeventi che celano conflitti, lacerazioni e abissi da rappresentare attraverso la parola scritta. E’ il caso del racconto La casa di Chef di Raymond Carver. Lo leggiamo una volta e poi una seconda, soffermandoci sulle parole e sulle frasi che fanno viaggiare l’alta tensione del dramma dei due personaggi. Discutiamo del conflitto tra morte e speranza che anima il dialogo e le azioni, a partire da quel sapore agrodolce che la lettura del racconto ci ha lasciato.

27 novembre 2002: Un cortometraggio di Alessandro

L’editing di un racconto è un esercizio di messa a fuoco dell’intenzione dello scrittore alla luce delle parole utilizzate per raccontare la storia nel mirino della sua scrittura (e viceversa). Abbiamo ripreso il racconto di Daniele e dopo una nuova lettura ad alta voce del testo siamo scesi ancora più in profondità nell’analisi del racconto. Qualcuno si chiede se l’autore non perde di spontaneità nel chiedersi il perché di ogni parola, ogni frase e virgola del suo testo? La revisione del testo è necessaria, è un lavoro di lima in cui tutti concorrono ad aprire gli occhi all’autore, ad aiutarlo a “vedere” meglio. La seconda parte dell’incontro è stata dedicata alla visione di un cortometraggio prodotto da Alessandro Carbone intitolato Diario mosso. Ale premette che nel corto non c’è una storia eppure le immagini e il monologo della voce recitante sono suggestive. Non c’è una narrazione, ma le immagini sono molto evocative e percepiamo che dietro ad ogni particolare si cela una storia da raccontare. Anche Ale sente la mancanza di una storia e ci promette che il suo prossimo corto sarà una fiction. Nel frattempo, ci proponiamo di rivedere il suo “diario” e di soffermarci su alcuni dettagli.

20 novembre 2002: L’editing del racconto di Daniele

Ieri abbiamo lavorato su un racconto di Daniele intitolato Ogni corda ha il suo carattere. La precedente stesura di questo testo era stata analizzata in un incontro nel mese di giugno. Lo abbiamo letto ad alta voce e, da un primo giro di commenti, è emerso che le motivazioni e la personalità dei personaggi non erano perfettamente chiare. Inoltre, da un’osservazione puntuale di singole frasi o parole, ci siamo accorti che le domande senza risposta che gravavano sul lettore erano molte. Ogni azione dei personaggi, ogni descrizione provoca nel lettore un “perché” che chiede una risposta. Una risposta che, prima o poi, lungo la storia deve arrivare, altrimenti la testa del lettore si riempie di “perché” insoddisfatti che rendono faticoso il suo cammino lungo il sentiero tracciato dall’autore. Continueremo la prossima settimana e per Daniele sarà come cavarsi un dente perché mettere in discussione il proprio testo creativo significa esporsi ad una demolizione traumatica. Ma chi come lui frequenta il laboratorio già da tempo sa bene che la revisione e la riscrittura sono indispensabili per giungere ad un testo compiuto.

13 novembre 2002: La stupidità dello scrittore

Nella vita di tutti i giorni siamo abituati a considerare gli oggetti in funzione dell’utilità che possiamo trarne. Se non abbiamo uno scopo non ci fermiamo certo ad osservarli. Saremmo degli stupidi. Eppure, come afferma Flannery O’Connor, lo scrittore ha bisogno di comportarsi come uno stupido e di fermarsi a contemplare la realtà lasciando che questa gli suggerisca storie, scene e visioni della condizione umana da rappresentare con la parola scritta. Noi ci siamo fermati ad osservare una fotografia, una pompa da bicicletta, un pacchetto di sigari e un pesce di pietra, poi ci siamo dati venti minuti per descrivere le immagini che questi oggetti evocavano in noi. E’ un esercizio per prendere confidenza con noi stessi, con la realtà e con le parole. Abbiamo chiuso l’incontro con la lettura del racconto Cicci di Sherwood Anderson e con una riflessione sulle motivazioni dei personaggi.

6 novembre 2002: L’infanzia di Tomasi di Lampedusa e la nostra memoria

Oggi si lavora sulla memoria. Prendiamo spunto da un testo tratto da I luoghi della mia infanzia di Tomasi di Lampedusa in cui l’autore siciliano descrive il ricordo di quando, a tre anni e mezzo, il padre irrompe nella stanza della madre per comunicare la notizia dell’assassinio di re Umberto. Egli dice di “vedere” nitidamente l’immagine dei suoi genitori, di “udire” distintamente la voce eccitata del padre e il rumore della spazzola lasciata cadere in terra dalla madre, di “risentire” il senso di sgomento che ha invaso tutti nella stanza. La memoria è uno scrigno pieno di immagini, suoni e sensazioni preziose che possono suggerire l’idea per un racconto o diventare la scena o il dettaglio di una narrazione. Facciamo alcuni esercizi di scrittura con l’obiettivo di pescare dalla nostra memoria immagini di persone, cose e situazioni che possano diventare elementi utili per una storia. Scriviamo senza preoccuparci della forma, lasciando che i ricordi scorrano sulla carta, e ognuno prende nota degli elementi più interessanti ed evocativi portati da questo fiume della memoria.

30 ottobre 2002: Stevenson, i ricordi e l’invenzione di una storia

La lettura di una pagina delle Memorie di R.L. Stevenson ci porta a discutere del processo di invenzione di una storia. Come nasce un racconto? Nasce dall’esperienza, soprattutto quella impressa nei ricordi dell’autore che “adattando e riadattando piccole memorie colorite di uomini e di scene, magari trasformando in pirata qualche vecchio amico”, dà vita a “infinite incarnazioni” di grandi e piccoli accadimenti che “non appartengono più allo scrittore, ma ai suoi fantocci”. Poi leggiamo l’intervista di Sergio Zavoli al terrorista Vinciguerra (tratta da La notte della Repubblica) che rilascia dichiarazioni forti, quasi agghiaccianti. Facciamo silenzio e ognuno si mette in ascolto delle parole dell’ergastolano e delle immagini che queste evocano con l’obiettivo di buttare giù in pochi minuti un’idea o anche solo una traccia minima di storia ispirata dal personaggio e dalle parole del Vinciguerra.

23 ottobre 2002:  Le due voci di Tondelli

Un laboratorio di scrittura è innanzitutto un luogo dove imparare a “gustare” un testo di narrativa. Dobbiamo saper assaporare in profondità la buona letteratura quanto la vita per dare spessore ai nostri testi. Leggiamo due brani di Pier Vittorio Tondelli tratti da due romanzi stilisticamente molto diversi: l’incipit dell’esplosivo Pao Pao e l’incipit del terzo movimento del più riflessivo Camere Separate. Alcuni preferiscono la lingua “parlata” del primo e altri lo stile più classico del secondo. Leggiamo ad alta voce e rileggiamo in silenzio sottolineando le parole o le scene che ci emozionano maggiormente. Ne parliamo e cerchiamo di mettere a fuoco parole, ritmo, descrizione dei personaggi a partire da ciò che proviamo nella lettura. Infine facciamo un esercizio di scrittura a partire da alcune scene del film Cristo si è fermato a Eboli di Rosi

16 ottobre 2002: Si parte con Sherwood Anderson e un serial killer

E’ il primo incontro e ci sono molte persone nuove venute a curiosare e a guardarci negli occhi. Partiamo con la lettura di La madre, un racconto di Sherwood Anderson, e ci esercitiamo nell’individuazione delle scene e delle parole che l’autore utilizza per caratterizzare i personaggi. Poi partiamo con la libera ricostruzione dell’identikit di Starkweather, il serial killer che ha ispirato la canzone Nebraska di Bruce Springsteen. Prima leggiamo il testo della canzone in italiano, poi ascoltiamo la canzone chiudendo gli occhi o leggendo il testo in inglese e infine ci prendiamo cinque minuti per descrivere il volto di Starkweather. Luisa ci presenta un uomo con “due rughe vicino alla bocca che gli falciano il viso”.

14 maggio 2003: Editing, editing, editing…

Per il quarto incontro consecutivo ci dedichiamo a Porte, il racconto di Jodie. E’ la prima volta che spendiamo così tanto tempo e attenzione su un unico testo, ma quasi non ce ne accorgiamo. Jodie ha lavorato con costanza portandoci per quattro settimane una nuova versione del suo racconto e ci sembra naturale partecipare attivamente alla sua graduale presa di coscienza della storia da raccontare, delle personalitá dei personaggi, degli esiti delle loro azioni e di tutti i particolari dell’ambiente che concorrono ad esprimere la realtà che abita i personaggi. Successivamente passiamo ad un testo di Francesco intitolato La decorazione che nasce da un esercizio di scrittura compiuto in uno dei precedenti incontri.

7 maggio 2003: Ancora un passo avanti

Siamo di nuovo al lavoro sul testo di Jodie e la lettura della nuova stesura del suo racconto ci rivela immediatamente un grande passo avanti: la storia ora ha un inizio, uno sviluppo drammatico e una conclusione. Finalmente l’arco narrativo è completo. Ci concentriamo, allora, sui personaggi e discutiamo delle motivazioni che sono alla base dei loro comportamenti, cercando di individuare i punti della narrazione che sembrano poco chiari, contraddittori o, al contrario, particolarmente efficaci. L’ultima parte dell’incontro lo dedichiamo alla lettura di alcune pagine tratte da “Nel territorio del diavolo” che raccoglie i testi di alcuni seminari sulla scrittura tenuti dalla scrittrice americana Flannery O’Connor.

30 aprile 2003: Una seconda revisione

Il racconto di Jodie è giunto ad una seconda stesura, ma questa volta la sessione di editing la dedichiamo più a verificare la tenuta della struttura narrativa e la coerenza dei personaggi che al controllo dell’efficacia espressiva delle singole parole. Una rilettura attenta del racconto ci porta ad una conclusione molto importante: scopriamo che il testo di Jody contiene solo le premesse di una vicenda ancora da raccontare e che il fatto posto a conclusione della vicenda nella stesura attuale è, a ben vedere, l’evento destinato ad attivare un’azione drammatica ancora tutta da sviluppare. Questa presa di coscienza ci porta inevitabilmente a porci delle domande sulla personalità del protagonista del racconto e, quindi, sui comportamenti che potrebbe mettere in atto nelle azioni che sostanziano lo sviluppo del racconto successivo. Il lavoro di revisione sfocia, quindi, nel discutere i possibili sviluppi che potrebbe avere la storia e le risposte alla domanda fondamentale che è dietro a quanto deve ancora accadere: chi è il nostro protagonista? Cosa vuole? Qual è il suo desiderio profondo prevalente? Ne discutiamo e il personaggio sembra a poco a poco diventare di carne e sangue. Ora attendiamo la terza stesura.

23 aprile 2003: Un racconto di Jody

Porte è il titolo del racconto di Jody al quale dedichiamo le due ore dell’incontro. E’ un testo ricco di immagini, di rumori e di sensazioni tattili. Ha un ritmo avvolgente, circolare, equilibrato che è senza dubbio conseguenza del suo talento musicale. Questa prima stesura del racconto ci convince e siamo tutti fortemente invogliati a lavorare sul testo per scoprire i punti di forza e di debolezza. E’ una sessione di editing intensa, tutta concentrata sulle prime dieci righe del testo, anche perché il lavoro di revisione ci offre l’occasione per approfondire alcune questioni importanti. In particolare, ci chiediamo fino a che punto l’editor di un testo possa imporre all’autore le sue modifiche. Inoltre ci chiediamo se la libertà dello scrittore consista piú nell’essere libero di scrivere nel modo che lo appaga maggiormente senza rendere conto a nessuno (neppure al lettore) o piuttosto se consista nel creare le migliori condizioni per l’incontro tra lettore e personaggio ovvero nel fare spazio, nel concreta scelta delle parole, a due persone distinte dall’autore. Sono questioni che è difficile dirimere in astratto e, allora, decidiamo di continuare l’analisi del racconto di Jody e di rinviare la discussione ai messaggi del forum.

16 aprile 2003: La mela di Costanza

La lettera di Katherine Mansfield letta in un incontro passato ha acceso l’immaginazione di Costanza che ha scritto e inviato nel forum un testo molto apprezzato da tutti. Lo leggiamo e cerchiamo di capire quali immagini, quali parole, quali particolari della narrazione ci coinvolgono e quali invece fanno cadere la nostra attenzione. Il testo di Costanza è molto delicato, proprio come lei, e facciamo le nostre osservazioni con prudenza e rispetto, ma individuiamo alcune frasi e alcune parole che andrebbero modificate o eliminate. E’ il lavoro di revisione del testo e Costanza è un po’ spaventata perché ha il timore di rovinare la sua creazione, scaturita in modo così istintivo e semplice, con questo lavoro di microchirurgia espressiva. Ci rendiamo conto che la disciplina della scrittura richiede anche il coraggio della rilettura e della revisione. E anche la fiducia che la riscrittura non solo serve a migliorare l’efficacia espressiva del testo, ma anche a rivelare imprevedibili e meravigliosi sviluppi della storia che si intende narrare.

9 aprile 2003: Una questione di ritmo

Cosa hanno in comune le prime sequenze del film Trainspotting e l’incipit del romanzo Il partigiano Johnny di B.Fenoglio? Oppure le prime pagine di Tenera è la notte di F.S. Fitzgerald e la prima scena del film Shakespeare in love? Queste immagini e questi testi ci offrono lo spunto per prendere maggiore coscienza dell’importanza del ritmo nella narrazione e di come questo sia importante, soprattutto nelle prime battute di un’opera, per definire il registro dell’opera e l’atmosfera di fondo del mondo in cui si invitano lettori e spettatori. Analizziamo testi e immagini e poi ci esercitiamo nel trasformare un testo con un ritmo molto rapido in una narrazione più lenta e placida.

26 marzo 2003: L’incidente

L’incidente è il titolo del racconto di Daniele che sottoponiamo a due ore di rigorosa revisione come ad una faticosa e complessa operazione chirurgica. E’ la seconda stesura di un testo che avevamo già lavorato in uno dei precedenti incontri, ma la storia è completamente cambiata. I fatti raccontati sono molto semplici, ordinari: il personaggio narrante guida la macchina sull’autostrada e assiste all’ennesimo litigio tra la sorella, seduta accanto a lui e incinta, e la madre burbera e silenziosa seduta sul sedile posteriore. La scena è chiara anche se la storia ci sfugge. Daniele ci rivela le sue intenzioni narrative, ma scopriamo che non corrispondono alla realtà descritta e che i dettagli scelti non centrano l’obiettivo prefissato sia per quanto riguarda lo sviluppo invisibile dei sentimenti dei protagonisti sia per quanto riguarda la loro caratterizzazione. Cerchiamo di mettere a fuoco la storia che Daniele avrebbe voluto raccontare e, in questo modo, finiamo per discutere della struttura narrativa del racconto. Poi l’analisi del testo si sposta sulle singole parole, soprattutto su quelle che soffrono di “debolezza di specificazione” perché stentano a rappresentare la realtà mirata dall’autore. Sono i due livelli del lavoro di editing, quello finalizzato a verificare l’effettiva presenza di una storia e quello attraverso su cui ci si interroga sulla scelta delle parole utilizzate per raccontare il fatto che costituisce il cuore della narrazione.

19 marzo 2003: Incontro con lo scrittore esordiente Paolo Papotti

Anche se nessun laureato in lettere è mai diventato uno scrittore famoso (Antonio Spadaro dixit) ed esistono esempi illustri del contrario, uno per tutti quello dell’ingegner Gadda, pure lo stereotipo del laureato tecnico sembra lontano dall’uso creativo della parola scritta. Paolo Papotti, che ha occupato il nostro incontro di mercoledì scorso con la presentazione del libro Dove comincia la strada, di cui è coautore, è un fresco ingegnere ma è anche scrittore fresco e gradevole (leggere per credere). Come ha risolto la potenziale contraddizione tra le sue due anime? Ha “semplicemente” indirizzato la prima al servizio della seconda, organizzando e gestendo il suo spazio esterno (tempi e luoghi) per liberare quello interno (attenzione ed ascolto) e permettersi di scrivere molto e regolarmente. Ci può essere di aiuto?
Molti i discorsi autorevoli intorno al suo giovane lavoro. Michela Carpi, che ha proposto la lettura di alcuni brani per la voce di Rachele Laurienzo, ha sottolineato come molti siano i passaggi dove prevale l’attenzione ai dettagli che capitano sotto gli occhi del protagonista, spesso dettagli dinamici resi con stile fulminante. La storia invece non è fatta di avvenimenti eclatanti: il viaggio di cui si parla è prevalentemente un viaggio nei sentimenti e negli stati d’animo, esperienza di crescita del protagonista. (Francesco Sgamma)

12 marzo 2003: L’immedesimazione e la meraviglia per Katherine Mansfield

E’ il giorno in cui ci confrontiamo con due modi radicalmente opposti di vivere la scrittura. Il primo e’ descritto in un testo di Ennio Flaiano tratto da La solitudine del satiro che descrive un romanziere al lavoro che affronta il suo testo con fredda razionalità. Il desiderio di questo scrittore e’ il controllo totale della narrazione attraverso una fredda e calcolata determinazione di ciò che accade ai protagonisti della storia. L’impressione che ne ricaviamo e’ di angoscia e di aridità. Il secondo testo e’ tratto dalle Lettere di Katerine Mansfield e la scrittrice sottolinea l’importanza dell’immedesimazione come momento preliminare fondamentale ad ogni tentativo di narrazione. Per lei immedesimazione è incontro e accoglienza della realtà, un processo in cui il narratore riceve/coglie con stupore e meraviglia la realtà prima di ricrearla attraverso la parola scritta. Mentre il primo romanziere cerca di dominare la narrazione e la vita dei suoi personaggi con la volontà e la ragione, senza lasciare che siano essi a rivelargli ciò che non conosce (ovvero la storia da narrare), la Mansfield afferma di avere “l’intenso desiderio di servire il mio soggetto” e che “non vede come l’arte possa fare quel divino balzo nei limitati contorni delle cose se non e’ passata attraverso il processo di divenire queste cose prima di ricrearle”.

5 marzo 2003: Un cieco ci svela la sfida dell’aspirante scrittore

Iniziamo con un esercizio di immedesimazione che consiste nello scrivere un testo in prima persona la cui voce narrante è quella di un uomo cieco dalla nascita. Bisogna prima descrivere l’ambiente in cui il personaggio vive e poi il dialogo con un venditore ambulante che tenta di vendergli un oggetto che l’uomo naturalmente non può vedere. Ci rendiamo conto immediatamente che la realtà raccontata da una persona non vedente può essere solo quella colta attraverso il senso dell’udito, del tatto, dell’odorato e del gusto. L’esercizio lascia tutti interdetti. Si percepisce dagli sguardi e dal silenzio ombrato dei partecipanti al laboratorio un senso di disagio, la difficoltà di entrare nei panni di una persona che non coglie la realtà attraverso la vista, la paura di non riuscire nell’esercizio e quasi un moto di ribellione verso un l’obbligo di trasformarsi, anche solo per poco tempo, in qualcuno dall’esperienza molto diversa dalla nostra. Dopo un quarto d’ora di scrittura, ci fermiamo a riflettere su questo sentimento iniziale e sulla sfida che l’aspirante scrittore deve lanciare a due atteggiamenti esistenziali fortemente radicati in ciascuno: il soggettivismo ovvero la tendenza a parlare/scrivere solo di se stessi e “lo sguardo funzionale” ovvero la tendenza a cogliere la realtà che non tocca i nostri interessi in modo concettuale, funzionale, intellettuale, non incarnato. Questi due atteggiamenti interiori ci impediscono di immedesimarci nella vita di altri personaggi e di conoscere pienamente la realtà, senza fare riferimento ad astrazioni. La scrittura non se ne fa nulla delle astrazioni. Essa esige il fatto di incarnarsi in una realtà estranea dalla nostra e, quindi, uno sforzo di uscita da noi stessi e di immedesimazione profonda nei personaggi che si voglio descrivere. Dopo esserci confrontati sui nostri testi, leggiamo l’incipit di Almost Blue di Carlo Lucarelli in cui il personaggio narrante è un cieco.

27 febbraio 2003: Cechov, Chandler e il registro del racconto

Il registro della narrazione è una caratteristica precisa e importante di un testo, ma è difficile spiegare in astratto in cosa consiste. Allora abbiamo messo a confronto il tono del testo di Raymond Chandler che avevamo letto nel precedente incontro e quello di un racconto di Cechov intitolato Il grasso e il magro. La voce narrante del testo dell’autore americano è quella del protagonista e risponde alla sua personalità. E’ una voce amara, disillusa, sarcastica, spesso tagliente, anche se a tratti venata di un sottile romanticismo. La realtà viene narrata sempre con un filo di ironia mentre nel racconto di Cechov, fin dalle prime righe, ci viene da sorridere. L’autore russo ci rappresenta la realtà servendosi di un registro umoristico che diverte il lettore anche se la verità che emerge dal racconto è amara. Il lavoro di laboratorio è consistito nell’individuare le parole utilizzate dai due scrittori per dare ai rispettivi testi questo diverso gusto, tono, registro. Prima di questo abbiamo letto, analizzato e riveduto un testo di Francesco di cui speriamo di vedere presto una seconda stesura.

19 febbraio 2003: Quando un testo sembra non avere vita

La revisione di un testo riserva sempre molte sorprese. Anche quando il testo è il risultato di un rapido esercizio di scioglimento e lo si considera poco meritevole di attenzione. Ieri abbiamo lavorato su un testo di Ugo, due pagine che, nelle intenzioni dell’autore, rispondevano solo all’obiettivo dell’esercizio assegnato in uno dei precedenti incontri e, prima ancora di cominciare la revisione del testo, percepiamo dalle parole e dallo sguardo di Ugo che stiamo per applicarci su due pagine morte, su un fuoco spento. Perché questa mancanza di entusiasmo? Leggiamo il testo e, come ci aveva anticipato Ugo, ci accorgiamo che il testo contiene solo le premesse per una eventuale storia e i caratteri dei personaggi sono appena abbozzati. Si tratta appunto di un bozzetto (e sfido chiunque ad appassionarsi ad un bozzetto se in esso non coglie una strada verso un vero e proprio dipinto). Per trovare l’acqua in questo deserto non ci resta che scavare e, dunque, ci applichiamo nella messa a fuoco dei personaggi e non in astratto, ma partendo da quegli elementi concreti (l’ambiente in cui si svolge la scena, l’abbigliamento dei personaggi, le parole pronunciate nei dialoghi, ecc.) che offrono lo spunto per far emergere le tracce della storia passata, dei desideri e dei rapporti dei personaggi. E’ stato come andare alla ricerca della vita dei personaggi e alla fine Ugo ha deciso di riprendere il testo e di tentare di ricavarne una storia. Per concludere abbiamo letto le prime tre pagine de Il lungo addio di Raymond Chandler per fare un esercizio di scrittura sul tono della narrazione.

12 febbraio 2003: Nina’s day

E’ arrivato il giorno di Nina. E’ la prima volta che leggiamo un suo racconto. Le sono voluti cinque mesi e sedici incontri di laboratorio per arrivare a proporre un proprio testo, ma la soddisfazione è tanta perché finalmente si è messa in gioco (e noi insieme a lei). La narrazione si basa su un fatto realmente accaduto. Nina ha attinto personaggi e situazioni della sua storia dal ricordo di un fatto molto preciso e circostanziato. C’è un eccesso di autobiografismo che finisce per soffocare il sorgere di una vera e propria storia. Questa è ancora dentro di lei che, oltre che nella realtà, è il vero protagonista della narrazione. Tutto il lavoro sul suo testo è volto a far emergere un personaggio autonomo e indipendente da Nina. Il suo racconto deve crescere, trasformarsi e maturare fino a giungere ad una storia diversa da quella realmente vissuta dall’autore. In questo senso, il laboratorio serve a tracciare una strada utile alla scrittura della seconda stesura del racconto.

5 febbraio 2003: Daniele e Carver

Sono quasi tre anni che Daniele frequenta il laboratorio di scrittura e le sue narrazioni ricordano i racconti di Raymond Carver. E’ lo scrittore di Cattedrale il suo modello principale. Ieri abbiamo letto e analizzato un racconto intitolato Non era mai successo e per comprendere meglio le scelte formali che Daniele ha fatto per portare a compimento le sue intenzioni narrative abbiamo letto le prime pagine del racconto Nessuno diceva niente dello scrittore americano. Entrambe le storie sono ambientate in un quadro di vita quotidiana assolutamente ordinario, non ci sono colpi di scena particolari o straordinarie peripezie. Tutto si gioca negli spazi di silenzio lasciati dalle parole, nel ritmo sincopato delle frasi e nel valore simbolico di alcuni particolari. Eppure la storia che si cela dietro ai dialoghi e alle azioni del tutto ordinarie dei personaggi del testo di Daniele, al contrario del testo di Carver, non emerge chiaramente. Il testo soffre ancora di una certa mancanza di chiarezza e il dibattito si accende. Facciamo in tempo ad intervenire solo sulla prima pagina del suo testo. Ci vuole tempo per la revisione e questa volta le due ore non ci sono bastate.

29 gennaio 2003: Onofri e alcuni particolari evocativi

Un articolo del giornalista e scrittore Sandro Onofri, tratto da Cose che succedono, ci offre lo spunto per discutere ed esercitarci sul processo di invenzione di una storia. Dopo una lettura ad alta voce ci soffermiamo, ognuno nel proprio silenzio, a sottolineare le frasi o le parole che ci colpiscono e che potrebbero costituire lo spunto per un nuovo racconto. Marisa sottolinea un’affermazione di carattere generale del giornalista, ma riconosce immediatamente il rischio di prendere un’opinione dell’autore come punto di partenza per l’invenzione di una storia. Sa infatti che molti principianti sono attratti dalle idee e, invece di descrivere la realtà in modo da consentire al lettore di vivere un’esperienza, cedono alla tentazione di esprimere la propria visione del mondo, le proprie opinioni, la propria filosofia di vita. Ma al lettore interessa solo la vita dei personaggi nella sua concretezza e non il pensiero dell’autore. Ritorniamo, quindi, sui particolari concreti (un cancello preso a calci, una scarpa slacciata, una bandiera italiana abbandonata in un angolo della stanza del preside, ecc.) e continuiamo l’esercizio cercando di mettere a fuoco le immagini – spesso dimenticate nel pozzo della memoria – evocate dal particolare del testo da cui siamo rimasti colpiti.

22 gennaio 2003: Il coraggio dell’editing

La prima parte dell’incontro è dedicata alla lettura e all’analisi di un testo di Marco. L’impressione immediata è quella di scivolare sulle parole, di non avere elementi concreti sufficienti per accendere la nostra immaginazione e farci coinvolgere dalla narrazione. E’ l’occasione per parlare dell’importanza dei sensi, più che delle idee, nella scrittura di testi di narrativa. E’ la prima volta che Marco sottopone un suo testo ad una sessione di editing e, senza patire per le osservazioni critiche scaturite dalla lettura condivisa, riconosce l’importanza di questa esperienza e la sua necessità confrontarsi con dei lettori attenti e autenticamente critici. Successivamente leggiamo le prime pagine di Occhi felici, un racconto di Ingeborg Bachmann, e dopo una prima lettura ad alta voce, analizziamo il testo per mettere a fuoco il modo in cui la scrittrice austriaca introduce e caratterizza il personaggio principale del racconto. Gli ultimi venti minuti sono dedicati ad un esercizio di scrittura basato sull’osservazione di una fotografia.

15 gennaio 2003: Il racconto di Francesco

L’incontro è dedicato interamente all’editing della prima stesura di un racconto di Francesco. Siamo di fronte ad una breve narrazione ispirata da un recente fatto di cronaca, il ritrovamento, dietro il muro di una cantina, del cadavere di un suicida morto quarant’anni prima e da tutti creduto partito e disperso in America. Di questa storia realmente accaduta, Francesco ha deciso di descrivere i minuti che precedono il suicido e precisamente l’attimo in cui il protagonista sistema l’ultimo mattone e termina il lavoro di muratura che nasconderà la verità sulla sua sorte insieme al suo cadavere. Dopo una lettura ad alta voce e prima di analizzare il testo parola per parola, ci chiediamo quale sia la storia narrata perché, per quanto la situazione in cui si trova il personaggio sia chiara e suggestivi i pensieri che l’accompagnano, fatichiamo a coinvolgerci. Ci chiediamo (e chiediamo a Francesco di spiegarci la sua intenzione ) quale sia l’elemento di conflitto in grado di sviluppare l’azione drammatica. Il alcuni punti del testo emerge timidamente un dubbio dell’aspirante suicida sulla decisione stessa di rinunciare alla vita, ma c’è chi ipotizza altri fattori di contrasto e, quindi, diverse storie che possono scaturire da una simile situazione (anche se la decisione finale spetta a Francesco).

8 gennaio 2003: Leif Enger e la testimonianza di una laureata in “creative writing”

Il laboratorio inizia il nuovo anno con un ospite d’eccezione. E’ con noi Marisa Escolar, una giovane scrittrice americana di racconti laureata in creative writing e letteratura comparata alla Columbia University di New York. Marisa parla molto bene l’italiano e partecipa all’incontro intervenendo nell’analisi del primo capitolo di La pace come un fiume di Leif Enger. Fin dalla prima lettura ad alta voce, il testo è molto coinvolgente, ma solo una rilettura attenta ad ogni parola utilizzata e alla sequenza di situazioni e dettagli scelti dall’autore per descrivere la realtà narrata diventiamo consapevoli delle maglie della rete con cui il lettore viene avvinto fin dalle prime righe del romanzo. Leggiamo anche i ringraziamenti che Enger pospone alla narrazione, soffermandoci sul passo in cui fa esplicito riferimento agli anni trascorsi nelle “trincee dell’apprendistato della scrittura” e al ruolo fondamentale svolto dagli editors, dagli insegnanti nonché da una moglie attenta a cogliere in anticipo “tutto ciò che nel testo non funzionava”. Anche il nostro laboratorio è una piccola trincea e Marisa, parlandoci della sua esperienza di studentessa di corsi scolastici e universitari di creative writing, ci raccomanda l’umiltà necessaria a fare tesoro delle critiche che vengono fatte ai nostri testi, soprattutto durante le sessioni di editing.

18 dicembre 2002: Per chi scriviamo? E se manca la storia?

Lo sviluppo della capacità di narrare passa anche attraverso la riflessione sul senso dell’esperienza della scrittura. Ieri, in particolare, ci siamo posti la questione: per chi scriviamo? Lo facciamo ancora per noi stessi e per una cerchia ristretta di persone a noi molto intime (come quando da adolescenti scrivevamo un diario) o sentiamo l’esigenza comunicare con un pubblico indistinto di persone che non conosciamo? Per entrare nel problema leggiamo le prime pagine di Parole private dette in pubblico dello scrittore e insegnante di scrittura creativa Giulio Mozzi. Dopo una breve discussione (la prima di una riflessione che ci accompagnerà tutto l’anno) leggiamo un testo di Jody intitolato L’uomo. Il testo è ricco di immagini, soprattutto per quanto riguarda la descrizione dell’ambiente in cui si svolge l’azione, ma il protagonista è ancora una figura sfocata, priva di quella unicità che il personaggio principale di un racconto deve avere. Anche il fatto narrato non è chiaro e discutiamo delle scelte che Jody potrebbe fare per dare forma ad una storia irripetibile quanto il suo personaggio. Successivamente leggiamo Lui e lei, un testo di Alex e, anche in questo caso, emerge la necessità di avere una storia dai contorni più definiti e, quindi, una maggiore coscienza, da parte dell’autore, delle motivazioni dei protagonisti e del piano sul quale si gioca la loro relazione. Appuntamento alla prossima stesura di entrambi i testi e auguri di Buon Natale a tutti quanti! :)

11 dicembre 2002: Un lucido scirocco

Ci sono canzoni che sono racconti in forma di poesia. È il caso di Scirocco, una composizione di Francesco Guccini di cui leggiamo e analizziamo il testo. Le parole a disposizione sono poche e l’autore deve sceglierle così accuratamente da riuscire a: rappresentare una scena che il lettore possa vedere e abitare con la propria immaginazione; far emergere attraverso particolari concreti il dramma vissuto dai personaggi senza “spiegare” al lettore i termini del conflitto; universalizzare la realtà rappresentata attraverso dettagli dal forte valore simbolico, tali da collocare un piccolo episodio in una prospettiva in cui traspare tutta la vita dei personaggi e in cui possa riflettersi quella del lettore. Per esempio, quando “le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè e le mani disegnavano sogni e certezze” l’autore non ci comunica solo che la protagonista piange e gesticola… Dopo la lettura, proviamo a riscrivere la scena usando parole diverse da quelle utilizzate da Guccini e scegliendo liberamente il punto di vista. I testi evocati dalla lettura e dall’ascolto di Scirocco sono molto interessanti, anche quelli di Jody e Beatrice, una violoncellista e una pittrice che hanno deciso di partecipare al laboratorio. Ci lasciamo dandoci appuntamento per l’ultima lezione dell’anno, la prima nella nuova sede del laboratorio in Via Tomacelli 146.

4 dicembre 2002: Il suicida ritrovato e “La casa di Chef”

La scrittura di testi di narrativa richiede un nuovo modo di guardare alla realtà. Siamo troppo abituati a guardare al mondo in modo funzionale ai nostri desideri. Di solito ci mettiamo al centro di tutto e selezioniamo ciò che cogliamo con i sensi scartando tutto ciò che non ci serve. E’ ora, invece, di “ascoltare” la realtà lasciandoci sorprendere dal potere evocativo di ogni elemento del reale. Leggiamo alcuni ritagli di giornale e proviamo ad immaginare le storie che si celano dietro a piccoli fatti di cronaca. Ci colpisce la notizia del corpo del suicida ritrovato dopo quarantaquattro anni dietro ad un muro di casa mentre tutti lo credevano disperso in America. Ma non servono necessariamente fatti straordinari per avere lo spunto per una storia. La nostra vita di tutti giorni è ricca di microeventi che celano conflitti, lacerazioni e abissi da rappresentare attraverso la parola scritta. E’ il caso del racconto La casa di Chef di Raymond Carver. Lo leggiamo una volta e poi una seconda, soffermandoci sulle parole e sulle frasi che fanno viaggiare l’alta tensione del dramma dei due personaggi. Discutiamo del conflitto tra morte e speranza che anima il dialogo e le azioni, a partire da quel sapore agrodolce che la lettura del racconto ci ha lasciato.

27 novembre 2002: Un cortometraggio di Alessandro

L’editing di un racconto è un esercizio di messa a fuoco dell’intenzione dello scrittore alla luce delle parole utilizzate per raccontare la storia nel mirino della sua scrittura (e viceversa). Abbiamo ripreso il racconto di Daniele e dopo una nuova lettura ad alta voce del testo siamo scesi ancora più in profondità nell’analisi del racconto. Qualcuno si chiede se l’autore non perde di spontaneità nel chiedersi il perché di ogni parola, ogni frase e virgola del suo testo? La revisione del testo è necessaria, è un lavoro di lima in cui tutti concorrono ad aprire gli occhi all’autore, ad aiutarlo a “vedere” meglio. La seconda parte dell’incontro è stata dedicata alla visione di un cortometraggio prodotto da Alessandro Carbone intitolato Diario mosso. Ale premette che nel corto non c’è una storia eppure le immagini e il monologo della voce recitante sono suggestive. Non c’è una narrazione, ma le immagini sono molto evocative e percepiamo che dietro ad ogni particolare si cela una storia da raccontare. Anche Ale sente la mancanza di una storia e ci promette che il suo prossimo corto sarà una fiction. Nel frattempo, ci proponiamo di rivedere il suo “diario” e di soffermarci su alcuni dettagli.

20 novembre 2002: L’editing del racconto di Daniele

Ieri abbiamo lavorato su un racconto di Daniele intitolato Ogni corda ha il suo carattere. La precedente stesura di questo testo era stata analizzata in un incontro nel mese di giugno. Lo abbiamo letto ad alta voce e, da un primo giro di commenti, è emerso che le motivazioni e la personalità dei personaggi non erano perfettamente chiare. Inoltre, da un’osservazione puntuale di singole frasi o parole, ci siamo accorti che le domande senza risposta che gravavano sul lettore erano molte. Ogni azione dei personaggi, ogni descrizione provoca nel lettore un “perché” che chiede una risposta. Una risposta che, prima o poi, lungo la storia deve arrivare, altrimenti la testa del lettore si riempie di “perché” insoddisfatti che rendono faticoso il suo cammino lungo il sentiero tracciato dall’autore. Continueremo la prossima settimana e per Daniele sarà come cavarsi un dente perché mettere in discussione il proprio testo creativo significa esporsi ad una demolizione traumatica. Ma chi come lui frequenta il laboratorio già da tempo sa bene che la revisione e la riscrittura sono indispensabili per giungere ad un testo compiuto.

13 novembre 2002: La stupidità dello scrittore

Nella vita di tutti i giorni siamo abituati a considerare gli oggetti in funzione dell’utilità che possiamo trarne. Se non abbiamo uno scopo non ci fermiamo certo ad osservarli. Saremmo degli stupidi. Eppure, come afferma Flannery O’Connor, lo scrittore ha bisogno di comportarsi come uno stupido e di fermarsi a contemplare la realtà lasciando che questa gli suggerisca storie, scene e visioni della condizione umana da rappresentare con la parola scritta. Noi ci siamo fermati ad osservare una fotografia, una pompa da bicicletta, un pacchetto di sigari e un pesce di pietra, poi ci siamo dati venti minuti per descrivere le immagini che questi oggetti evocavano in noi. E’ un esercizio per prendere confidenza con noi stessi, con la realtà e con le parole. Abbiamo chiuso l’incontro con la lettura del racconto Cicci di Sherwood Anderson e con una riflessione sulle motivazioni dei personaggi.

6 novembre 2002: L’infanzia di Tomasi di Lampedusa e la nostra memoria

Oggi si lavora sulla memoria. Prendiamo spunto da un testo tratto da I luoghi della mia infanzia di Tomasi di Lampedusa in cui l’autore siciliano descrive il ricordo di quando, a tre anni e mezzo, il padre irrompe nella stanza della madre per comunicare la notizia dell’assassinio di re Umberto. Egli dice di “vedere” nitidamente l’immagine dei suoi genitori, di “udire” distintamente la voce eccitata del padre e il rumore della spazzola lasciata cadere in terra dalla madre, di “risentire” il senso di sgomento che ha invaso tutti nella stanza. La memoria è uno scrigno pieno di immagini, suoni e sensazioni preziose che possono suggerire l’idea per un racconto o diventare la scena o il dettaglio di una narrazione. Facciamo alcuni esercizi di scrittura con l’obiettivo di pescare dalla nostra memoria immagini di persone, cose e situazioni che possano diventare elementi utili per una storia. Scriviamo senza preoccuparci della forma, lasciando che i ricordi scorrano sulla carta, e ognuno prende nota degli elementi più interessanti ed evocativi portati da questo fiume della memoria.

30 ottobre 2002: Stevenson, i ricordi e l’invenzione di una storia

La lettura di una pagina delle Memorie di R.L. Stevenson ci porta a discutere del processo di invenzione di una storia. Come nasce un racconto? Nasce dall’esperienza, soprattutto quella impressa nei ricordi dell’autore che “adattando e riadattando piccole memorie colorite di uomini e di scene, magari trasformando in pirata qualche vecchio amico”, dà vita a “infinite incarnazioni” di grandi e piccoli accadimenti che “non appartengono più allo scrittore, ma ai suoi fantocci”. Poi leggiamo l’intervista di Sergio Zavoli al terrorista Vinciguerra (tratta da La notte della Repubblica) che rilascia dichiarazioni forti, quasi agghiaccianti. Facciamo silenzio e ognuno si mette in ascolto delle parole dell’ergastolano e delle immagini che queste evocano con l’obiettivo di buttare giù in pochi minuti un’idea o anche solo una traccia minima di storia ispirata dal personaggio e dalle parole del Vinciguerra.

23 ottobre 2002:  Le due voci di Tondelli

Un laboratorio di scrittura è innanzitutto un luogo dove imparare a “gustare” un testo di narrativa. Dobbiamo saper assaporare in profondità la buona letteratura quanto la vita per dare spessore ai nostri testi. Leggiamo due brani di Pier Vittorio Tondelli tratti da due romanzi stilisticamente molto diversi: l’incipit dell’esplosivo Pao Pao e l’incipit del terzo movimento del più riflessivo Camere Separate. Alcuni preferiscono la lingua “parlata” del primo e altri lo stile più classico del secondo. Leggiamo ad alta voce e rileggiamo in silenzio sottolineando le parole o le scene che ci emozionano maggiormente. Ne parliamo e cerchiamo di mettere a fuoco parole, ritmo, descrizione dei personaggi a partire da ciò che proviamo nella lettura. Infine facciamo un esercizio di scrittura a partire da alcune scene del film Cristo si è fermato a Eboli di Rosi

16 ottobre 2002: Si parte con Sherwood Anderson e un serial killer

E’ il primo incontro e ci sono molte persone nuove venute a curiosare e a guardarci negli occhi. Partiamo con la lettura di La madre, un racconto di Sherwood Anderson, e ci esercitiamo nell’individuazione delle scene e delle parole che l’autore utilizza per caratterizzare i personaggi. Poi partiamo con la libera ricostruzione dell’identikit di Starkweather, il serial killer che ha ispirato la canzone Nebraska di Bruce Springsteen. Prima leggiamo il testo della canzone in italiano, poi ascoltiamo la canzone chiudendo gli occhi o leggendo il testo in inglese e infine ci prendiamo cinque minuti per descrivere il volto di Starkweather. Luisa ci presenta un uomo con “due rughe vicino alla bocca che gli falciano il viso”.