Best off… what?
Da due anni, l’editrice Minimum fax provvede a dar conto di ciò che nel fervido universo delle riviste letterarie viene prodotto pubblicando, ad ogni inizio anno, un’antologia ragionata, Best off.
Ogni annata è affidata ad un curatore diverso, che nelle scelte applica criteri personali, in parte dichiarati nelle introduzioni, in parte adombrati dalla natura dei brani riportati: per il Best off 2005 le selezioni sono state opera di Antonio de Pascale, per il Best off 2006 la funzione di “maestro concertatore” è toccata a Giulio Mozzi.
Le intenzioni che muovono questa iniziativa sono enunciate nella nota redazionale del primo Best off: “Le riviste letterarie sono off quasi per definizione: underground, indipendenti, si muovono spesso fuori dagli abituali circuiti del mercato editoriale e sono pertanto difficili da reperire. Eppure le riviste letterarie sono piene di testi, interviste, racconti, recensioni, interventi di ottimo valore (letterario, critico, politico, ecc.) che altrove raramente troverebbero spazio. Quasi sempre sono, poi, una palestra dove si esercitano e si scaldano i muscoli dei promettenti scrittori in erba. Insomma, vale proprio la pena di leggerle. È su queste premesse che è nato il progetto di raccogliere annualmente il meglio di questi territori off… Nella speranza di aggiungere anche altro: allungare la vita o aumentare almeno un poco la visibilità di quei testi sotterranei, portarli alla luce in un libro antologico…”.
Il brano riportato condensa efficacemente le ragioni delle “necessità”, che si vanno sempre più avvertendo, di esplorare il mare magnum delle riviste per ricuperarne più di un brandello di verità sulla letteratura e più in generale sulla cultura umanistica del nostro tempo. L’attività, a volte febbrile, di produzione letteraria transitante sulle riviste, siano esse cartacee o elettroniche, diventa di anno in anno sempre più intensa.
Al tempo stesso, cresce la difficoltà nel seguirla tutta, e ancor maggiore è la difficoltà di distinguere all’interno di una produzione molto ampia e spesso caotica gli interventi di pregio da quelli del tutto insignificanti.
La fioritura in una misura così impetuosa di questo forma di produzione letteraria è del resto un fenomeno abbastanza recente, ma già in via di consolidamento nei suoi profili essenziali. “PVT, padre di ogni cosa?”: questa è la domanda retorica che Piersandro Pallavicini si pone nel suo saggio sull’argomento Riviste anni ’90. L’altro spazio per la nuova narrativa. A Tondelli si deve, infatti, non già una peculiare attività sulle riviste letterarie, ma una capacità di suscitare utenti (lettori e scrittori) di quel genere di letteratura che avrebbe, a partire dai primi anni ’90, trovato sfogo nelle riviste.
E’ probabilmente anche (non solo, ovviamente) alla sua attività di ricercatore di nuovi fondali per la narrativa, e al tempo stesso di nuovi autori che scrivessero delle pulsioni giovanili, della malinconia e delle attese della sconfinata provincia italiana, della contemporaneità insomma più cruda e più tenera al tempo stesso, che si deve lo sviluppo delle nuove riviste degli anni ’90. Nascono quasi a colmare un bisogno, una pulsione a scampare l’afasia, vista la scarsa praticabilità delle riviste tradizionali. Pallavicini scrive che le riviste più prestigiose e più ricche di tradizione “rappresentavano senz’altro uno spazio di peso per le cose nuove, per ciò che era nell’aria, ma l’accesso ad esse poteva esser ancor più chiuso, vietato, che quello ad una casa editrice”.
Ed ancora oltre va Antonio Spadaro, nel suo Laboratorio under 25. Tondelli e i nuovi narratori italiani: “Se fino all’inizio degli anni ’80 resisteva il mito della letteratura “alta” e della penna d’autore, pian piano si è scoperto un bisogno estremo di comunicazione letteraria, un bisogno di creare e raccontare storie. Le riviste storiche e “colte” sembravano irraggiungibili a chi provava il desiderio di scrivere, raccontare e raccontarsi”. Il movimento innescato da Tondelli con le sue antologie quindi trova quindi sbocco nelle riviste “senza tradizioni” che fioriscono nell’ultimo decennio del secolo scorso, e che si costituiscono come vere e proprie palestre per autori che vengono così facilitati nel rendere pubblica la loro ricerca espressiva. I risultati sono stati naturalmente alterni e il materiale pubblicato non sempre di primissima qualità, tuttavia il fenomeno è stato ampio e portatore di un maggiore tasso di “democraticizzazione” nel mondo delle lettere, sempre un po’ (o un po’ troppo) aristocraticamente chiuso in se stesso e nelle conventicole di amici e conoscenti.
Negli ultimi anni del secolo scorso il fenomeno si arricchisce di almeno altre due variabili, tra loro indipendenti, ma entrambe capaci di aumentare il senso dello scrivere su rivista. La prima è la diffusione via internet, che può consistere sia in un’edizione elettronica (o in un estratto) della rivista cartacea, o, ed è questo lo sviluppo di questi anni, nella sola pubblicazione informatica, che, a fronte di una minore conservabilità del prodotto letterario che trasmette, ha gli indubbi pregi di abbattere i costi e di raggiungere potenzialmente una platea più ampia di lettori in tempi minori.
Attualmente, alcuni segnali lasciano intendere che le riviste e i siti letterari in internet stiano ricuperando la distanza che ancora li separava rispetto a quelle su carta rispetto all’autorevolezza dei contenuti, anche per via di una certa selezione naturale, per cui le forze migliori tendono ad aggregarsi. Anzi, come scrive Mozzi nella prefazione già “oggi può succedere che un critico letterario pubblichi un articolo assai polemico su un settimanale a grande tiratura, e un’altra versione (più lunga e approfondita) dello stesso articolo su una rivista in rete”. Con ciò, si può immaginare per il futuro, neanche tanto remoto, un panorama in cui la separazione tra i due mondi sia sempre più inavvertibile.
Il secondo elemento di novità rispetto alle riviste degli anni ’90 è costituito da un maggior sforzo di elaborazione concettuale sullo scrivere. Dieci anni fa, l’interesse maggiore era concentrato sul “pubblicare” (nel senso più proprio del termine, di rendere pubblico, diffondere) un testo narrativo o poetico, cioè sulla possibilità di condivisione di un’esperienza letteraria risentita come urgenza interiore: scrive ancora Spadaro che “la realtà delle nuove riviste ha aperto una vera e propria palestra, dove la pubblicazione non è fine a se stessa, ma funzionale a una comunicazione reale tra autore e lettori”.
Nell’ultimo periodo, le riviste offrono anche spazi a riflessioni sul testo di notevole vigore, ricuperando forse un po’ dei contenuti delle riviste culturali di tradizione “alta” del Novecento, verso le quali pure si sono poste ai loro albori in posizione eversiva.
Il punto di arrivo di tutto ciò è rappresentato anche nei Best off di questi anni, che antologizzano senza discriminare testi tratti da riviste tradizionali e da riviste diffuse solo via web, e che tendono a privilegiare la riflessione sulla scrittura rispetto alla scrittura stessa, attuando un curioso rovesciamento rispetto alle origini delle riviste anni ’90, su cui occorrerà prima o poi riflettere in maniera un po’ più approfondita di quanto si possa fare in questa sede. Stiamo attraversando un momento di eccesso di intellettualismo, quasi come reazione ad un (supposto) sbilanciamento in senso spontaneistico che ha prodotto tanta narrativa, anche di non eccelsa qualità, negli anni passati? O si assiste più semplicemente ad un momentaneo e naturale esaurimento della forza propulsiva che spinge a scrivere narrativa? O ancora esistono ragioni sociologiche o psicologiche che possono giustificare un ripiegamento su posizioni di minor esposizione emotiva per l’autore (posto che scrivere saggistica lo sia)?
Comunque sia, per offrire il “meglio delle riviste letterarie italiane” del 2006, Giulio Mozzi ha scelto come tema dell’anno la “letteratura e l’industria culturale”, sviluppato con cura particolare nelle prime due sezioni, Genocidio culturale,letteratura popolare e La Restaurazione. In esse si riportano due dei più interessanti dibattiti che abbiano attraversato il mondo delle lettere nel 2005: entrambi hanno avuto luogo su giornali di tiratura nazionale, ma hanno trovato ospitalità su nazione indiana, una tra le più autorevoli riviste on line, che proprio nell’anno scorso ha vissuto un momento di particolare travaglio, con polemiche interne, defezioni e successiva fondazione da parte dei transfughi di una nuova rivista Il primo amore.
Di genocidio culturale ragionano nei loro interventi Carla Benedetti, Antonio Moresco, Loredana Lipperini e Franz Krauspenhaar, che traendo spunto dalla favorevole accoglienza di certa critica ai libri di Faletti, discutono sui rischi di arretramento culturale a cui si andrebbe incontro vellicando i gusti meno nobili del pubblico lettore ( “lettori inerti, tenuti a digiuno di verità, e abituati a chiedere a un libro un coinvolgimento solo esteriore e meccanico”, così la Benedetti) e propinandogli best sellers di plastica, fino a proporre l’abolizione dell’alternativa “letteratura di genere” e “genere letteratura”, come fa Moresco, che sottolinea: “non bisogna stare in queste gabbie. Né in quella del “genere”, né in quella del “genere letteratura”. Occorre un movimento che attraversi da parte a parte sia la “letteratura di genere”, che il “genere letteratura”. La Restaurazione, invece, prende le mosse da un intervento di Moresco su Nazione indiana che osserva come tutti noi “siamo alle prese con un’intossicazione che attraversa le strutture della vita, dell’organizzazione sociale e professionale, delle forme economico – politiche e democratiche, delle finalità scientifiche e tecnologiche, della religione, dei media, del pensiero, della cultura, dell’arte…”. A questo sconsolato quadro esistenziale, prima ancora che strettamente politico, rispondono con varietà di accenti Filippo La Porta, Tiziano Scarpa, lo stesso Mozzi e Carla Benedetti.
Più direttamente centrata su argomenti di critica letteraria, la sezione È più importante riferire che inventare? accoglie interventi di Aldo Nove e Giuseppe Genna sul romanzo (chissà in quale categoria lo collocherebbero gli autori della prima sezione, scritta prima dell’uscita del libro?) Con le migliori intenzioni di Alessandro Piperno: il primo teso a stroncare il libro di Piperno, appunto, l’altro teso a stroncare Aldo Nove.
Di maggiore interesse, dopo tutto, sembra il terzo saggio della sezione, Surfinzione. Quattro proposte nella forma di un’introduzione, scritto da Raymond Federman nel 1975 e pubblicato in Italia solo l’anno scorso su Re: Oltre lo Zero: le quattro proposte riguardano il futuro della narrativa (per quanto scritte trent’anni fa, sono ancora interamente fruibili), e precisamente la finzione narrativa esaminata sotto le specie (fondanti, perché il loro insieme “è” la storia che si racconta) della lettura, della forma, del materiale, e del significato.
Di straordinaria suggestione è ricca la sezione Gli stati della poesia, composta di tre saggi rispettivamente di Andrea Raos, Sandro Montalto, Luca Nannipieri e di un’intervista a Pier Luigi Cappello di Azzurra D’Agostino. Mentre il primo, uscito anch’esso su Nazione indiana tratta del “pubblicare poesia”, riannodando così la sezione al tema portante di Best off 2006, Montalto parla del difficile percorso del critico di poesia. Ma è soprattutto il testo di Nannipieri, Appunti su amore e letteratura come strumenti di potere ad evocare la malia che promana da una lettura della poesia di pura aderenza al testo, deprivata di sovrastrutture ideologiche e libera il più possibile da condizionamenti culturali, una lettura che colga l’urgenza che ha spinto il poeta a scrivere, e lo condivida, fino alla domanda “imprescindibile”: “la vita, la vita impetuosa, dentro la sua poesia, ce la sentite?” Esiguo, infine, si presenta il segmento dell’antologia dedicato alla narrativa, che pure contiene testi tutti di sicuro valore. In particolare, Giorgio Vasta con Berluspinning. Il premier come trainer si segnala per una raffinata abilità nell’uso prolungato del registro ironico, con esiti di sorprendente misura espressiva.
Giulio Mozzi adombra, in un dialoghetto contenuto nella prefazione, l’idea di aver scelto per confezionare questo Best off non già il meglio ma l’interessante tra quel che circola all’interno del “sistema sanguigno della repubblica delle lettere”, e cioè dell’universo caotico e in movimento costante formato dalle riviste, cartacee ed informatiche. Ciò spiega certe presenze e certe assenze. Ma la scelta dell’interessante è soprattutto necessaria per rendere conto di come in quell’universo si stiano sviluppando riflessioni sulle modalità del proprio proporsi e sul proprio statuto culturale, nuovo, rispetto al “vecchio” (anni ’80) mondo delle riviste, ma non tanto nuovo da non ambire già una compiuta consapevolezza.
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