Poesie per ambienti: Simic, Blaga, Wright, Gluck, Arghezi, Dickinson
STONE (di Charles Simic)
Càlati in un sasso,
io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.
All’esterno è un enigma:
nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev’esserci all’interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso,
anche se un bambino lo getta dentro un fiume;
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo,
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.
Ho visto scintille schizzar via
quando due sassi sono strofinati
forse là dentro non fa così buio;
forse c’è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle –
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori
LUMINA (di Lucian Blaga)
Quella luce che sento
entrarmi in petto quando vedo te
non è forse una goccia della luce
creata il primo giorno,
dal profondo assetata d’esistenza?
Giaceva il nulla, in agonia,
nel buio errava, solo, quando diede
l’Inconoscibile un segnale:
“Luce!”
Un mare
un’insensata tempesta di luce
dilagò in un istante:
era come una sete di peccati, di desideri, di patemi e slanci
una sete di mondo e di sole.
Dov’è sparita l’accecante
luce d’allora – chi lo sa?
Quella luce che sento entrarmi in petto
quando ti vedo – angelo mio,
forse è l’ultima goccia
della luce creata il primo giorno
BUFFALO YOGA (di Charles Wright)
Tutto è più essenziale nella luce del nord, cavalli
distesi sul prato secco,
nuvole in fila come carri di pionieri
sul bordo sinistro dell’orizzonte,
forbici di rondini si tuffano ad angelo,
bip d’api e cantilena di mosche, Dio con l’orecchio buono
al suolo.
Tutto è più intenso, il vento
ristagna quasi visibile fra i larici,
linfa dorata sull’ombrello del pino,
un mosaico bizantino
dentro la cupola del giorno,
caratteri cuneiformi sfumati sul fondo della foresta.
Tutto sembra immediato,
come schegge del divino
d’improvviso screziate sulla punta delle nostre dita,
conoscenza proibita dell’oltre ciò che possiamo appena
decifrare,
fili d’eba inclini ad abbagliare e piegarsi,
acque mnemoniche, picchi, uccelli del crepuscolo
SNOWDROPS (di Louise Gluck)
Sapete cos’ero, come vivevo? Sapete
cos’è la disperazione; allora
l’inverno dovrebbe avere senso per voi.
Non mi aspettavo di sopravvivere,
con la terra che mi schiacciava. Non mi aspettavo
di svegliarmi, di sentire
nella terra umida il mio corpo
capace di rispondere di nuovo, ricordando
dopo tanto tempo come riaprirsi
nella luce fredda
della primavera agli albori:
impaurito, sì, ma di nuovo fra voi
gridando sì rischiare la gioia
nel vento aspro del nuovo mondo
CANTO DI ZUFOLO (di Tudor Arghezi)
Il mio cuore è la strada delle piogge,
è la strada polverosa di greggi,
è la strada arida tra gli alberi,
è la vigna contorta sui bronconi,
è il villaggio con i cani, è l’aia,
la cenere dei solchi e l’aratura.
È la mandria che pascola terra,
è lo stormo di cornacchie nel vento,
è il bufalo che si leva nel fango
e con la testa tarda
guarda nello spazio vuoto
[…]
I DWELL IN POSSIBILITY (Emily Dickinson)
Io vivo nella Possibilità –
Una Casa più bella della Prosa –
Più adorna di Finestre –
Superiore – per Porte –
Ha Camere come i Cedri
Impenetrabili agli Occhi –
E per Tetto Eterno
Gli spioventi del Cielo –
Riceve visite – dolcissime
L’occupazione – è Questa –
Allargare le mie strette Mani
per raccogliere il Paradiso
We dwell in possibility, but do well in reality. Un abbraccio dal ritardatario dell’ultimo giorno.
GRAZIE per averle postate, davvero.
Il prossimo passo è lasciare anche il riferimento bibliografico all’edizione italiana ;-)
ti stavo per mandare una mail per chiederti le poesie…
grazie
I am happy to read this translations and to see romanian poetries translated in italian.The sense of the poetries is the same in the two languages
Calandosi in un sasso…se ne può ascoltare la luce…tutto è più intenso, essenziale…non ci si aspetta di sopravvivere con la terra che schiaccia… (eppure) con un canto di zufolo… io vivo nella possibilità…
Grazie, Antonio.
Simic mi ha fatto pensare a “Conversazione con una pietra” di Szymborska, dove il poeta non riesce a penetrare la materia perché si presenta imponendo subito la soggettività autoriale: «Sono IO, fammi entrare». Simic invece attiva il senso della partecipazione, non cerca porte da spalancare ma si lascia calare, giù giù, fino al fondo del fiume, dove guizza una luce di luna.