Su “New Italian Epic”, saggio di Wu Ming 1
Provo a fare un breve discorso a partire da “New Italian Epic” (di seguito NIE), bel saggio di Wu Ming 1 scaricabile qui. La chiarezza con cui Wu Ming comprende molti libri usciti in Italia negli ultimi 10-15 anni individuando, nella eterogeneità, alcune caratteristiche atte a definire un “filone” con un denominatore comune, mi consente di lanciare un allarme su un vicolo cieco in cui, sostengo, certa letteratura italiana (proprio la “letteratura” di cui Wu Ming parla) si sta infilando. Il saggio si svolge seguendo argomentazioni precise a cui corrispondono conclusioni che condivido appieno. Senza provare a sintetizzare il senso del suo ragionamento, che invito a leggere per intero, con questo breve post vorrei fare quello che non si dovrebbe mai: esprimere un giudizio di valore. L’universo della NIE è un universo in catene. Quello della NIE è un mondo noioso.
Perché la NIE a me pare una letteratura fondata sullo svuotamento di qualsiasi valore riconoscibile. Noi viviamo su un granello di polvere che si essiccherà e verrà inghiottito dal sole; come specie non abbiamo nulla di sostanziale che ci distingue dalle zanzare ed andiamo incontro ad una estinzione precoce: è dal riconoscimento di questi presupposti che nasce lo “straniamento” su cui la NIE si fonda.“È doloroso pensare che tutto quanto abbiamo costruito nelle nostre vite e – ancor più importante – in secoli di civiltà alla fine ammonterà a niente perché tutto diviene polvere, tutto si dissipa, presto o tardi. E’ accaduto ad altre civiltà, accadrà anche alla nostra. Altre specie umane si sono estinte prima di noi, verrà anche il nostro momento. Funziona così, è parte del tutto, la danza del mondo.” (NIE, pag. 14)
Io mi chiedo: perché dovrebbe appassionarmi questa danza funerea, dove tutto è incatenato alle leggi dell’evoluzione e dei cicli solari? Perché dovrei appassionarmi a questo mondo? Quale sarebbe il senso della vita di noi esseri umani? L’unica risposta di senso a cui Wu Ming aggrappa la letteratura di cui si sente parte è questa: “Lottare per estinguerci con dignità e il più tardi possibile” (NIE, pag. 14). Proprio così: lottare per estinguerci con dignità e il più tardi possibile. Tutto qua.
Wu Ming si è talmente impegnato a svuotare la sua voce di quella che lui chiama “tracotanza”, si è talmente ben armato contro “l’antropocentrismo”, da espellere la dimensione “misteriosa” del sacro dal petto degli uomini e dal volo degli uccelli, e così si ritrova a mani vuote. Si ritrova ad usare una parola “dignità” che suona come una zucca vuota. Perché io non riesco a capire cosa significa la parola “dignità” nel mondo della NIE, e non capisco neppure la parola “libertà”. Io non vedo uomini liberi in questo mondo affogato di materialismo. E quando non si hanno valori con cui riempire la vita, l’unico senso può arrivare dalla dimensione del conflitto: “A conti fatti, l’impulso che sta alla base di tutti i libri di cui ho parlato può leggersi in questa frase: Gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi del fronte”(NIE, pag. 14). Ma quale guerra e quale pace può esserci se non si ha la capacità di percepire e trasmettere il valore del bene per cui si lotta o che si rischia di perdere. Quella che Wu Ming chiama “guerra” è un territorio di assoluta indifferenza, dove noi esseri umani dovremmo appassionarci per l’estinzione della specie ritardato di uno o due secondi cosmici. Io propongo una frase di significato equivalente: gli stolti chiamavano guerra il semplice avvicinarsi del fronte.
Una letteratura che si preoccupa delle ere geologiche senza indagare l’immensità dell’attimo, che si preoccupa dei miliardi di uomini senza indagare l’immensità di una persona, è destinata a produrre solo rumore di ferraglia, perchè ha incatenato gli uomini ed il mondo alle ferree leggi della materia.
Temo che lei abbia fatto un po’ di confusione, Cotrona: l’ultimo paragrafo del mio memorandum è un tentativo personale di estrapolare – a partire da una delle caratteristiche del NIE elencate in precedenza, cioè la sperimentazione con sguardi “non-umani” – una direzione in cui ritengo interessante muoversi in futuro. La mia è – esplicitamente – una forzatura in avanti, un atto immaginativo a partire da alcune tendenze che mi pare di aver colto nelle poetiche del passato prossimo e del presente. Per motivi che ho cercato di esporre, mi interessa e considero “terapeutico” immaginare il mondo dopo di noi o senza di noi.
Poiché il mio memorandum è ben lungi dall’essere un “manifesto”, non vedo in che modo quelle mie note finali debbano o possano impegnare gli autori di cui ho esaminato la produzione e le poetiche.
Tra di essi vi sono atei e credenti, cristiani e buddhisti, e forse qualcuno crede nel Vudù o nel Grande Cocomero. Zaccuri, del quale cito “Il Signor Figlio”, è cattolico osservante, come è cattolico osservante Valter Binaghi, scrittore che si è posto su una linea di dialogo e confronto con le indicazioni di lettura del mio testo.
Una cosa è la lettura comparata delle opere che ho definito NIE, altra cosa sono le mie considerazioni su quali siano le forzature immaginative e poetiche potenzialmente più fruttuose e prefiguranti. Su quest’ultimo punto, ciascun autore ha e mantiene le proprie opinioni.
Insomma, mi riesce molto difficile constatare nella realtà l’esistenza di questo “mondo NIE in catene”, nichilista e privo di valori, senza futuro e con un’idea vacua della dignità, che lei ravvisa.
Ma, e questo è IL punto: come mai lei lo ravvisa?
Cotrona, lei si offende se le faccio notare che in tutto il mondo atei, agnostici e “immanentisti” vivono vite e convivenze piene – fondate su valori, sentimenti, speranze e progetti per il futuro – senza sentire alcun bisogno di credere in un aldilà, nell’immortalità dell’anima, nel giudizio universale, nella reincarnazione, nel walhalla o altre cose? Anzi, il fatto stesso di rigettare l’idea di un aldilà mi spinge a valorizzare al massimo *questa* vita, quella che sto vivendo, istante per istante; mi spinge a trovare in essa – e non in altre di cui non ho prova – i miei valori e la mia pratica della dignità, perché questa è la mia unica chance, dubito fortemente che risorgerò carne e sangue al termine della Storia. Voglio vivere al pieno delle mie potenzialità, e voglio farlo per questo mondo, non per altri né per avere ricompense o evitare castighi una volta morto.
Glielo dico, Cotrona, perché agli occhi di voi credenti noi atei (e dintorni) siamo ancora bestie un po’ strane. Sa, siamo in giro soltanto da pochi secoli :-) Il mio consiglio è di “curarvi lo sguardo”, per poterci vedere come esseri umani con pari caratura morale e senso di responsabilità. Vedrà che se comincia a pensare a noi in tal guisa, dopo capirà meglio anche le posizioni che prendiamo, e potremo dialogare in modo proficuo e creativo.
Grazie dell’attenzione,
WM1
A me non sembra che il discorso di Maurizio Cotrona fosse un discorso “cattolico”.
(Replico immediatamente perché mi vengono in mente 1000 cose e se ci penso non rispondo più.)
Apprezzo la generosità della risposta è prendo per buona l’ipotesi del mia confusione.
Interloquisco sulla parte finale, che è quella che mi interessa di più. Anche io mi sento frainteso quando lei parla di aldilà, nell’immortalità dell’anima, nel giudizio universale, nella reincarnazione, nel walhalla o altre cose. Io voglio parlare e mi interessa parlare di vita durante la vita.
Il punto è che mi è parso che l’ultima parte del suo saggio (la direzione in cui ritiene interessante muoversi in futuro) sia incompatibile con una autentica libertà dell’uomo (qui, in questa vita). Lungi da me negare pari caratura morale e senso di responsabilità di chicchessia. Anzi, voglio difendere la piena dignità di ogni uomo.
Quello che mi importa è non essere legato a nessun tipo di catena evoluzionistica o causale di qualsiasi tipo. Mi importa avere un nucleo di puro “mistero” nel cuore (o nella testa o nel polpaccio) da cui attingere la possibilità di essere nuovo ogni istante, perché solo così posso essere autenticamente libero. Un nucleo di puro mistero; non una cosa estremamente complessa e inconoscibile, ma intrinsecamente misteriosa. Se questa pienezza di libertà è compatibile con gli esiti estremi dell’immanentismo, allora sono felice di aver trovato un terreno di valore comune.
non per difendere nessuno, ma per dire. Il ragionamento di Wu Ming a pag 14. è simile per dire a Leopardi La sera del dì di festa, il Cantico del Gallo Silvestre, il Dialogo di Tristano e un amico. La famosa danza funerea è quella che intonano in maniera indisciplinata i due becchini in Amleto o il portinaio in Macbeth.
c’è uno svuotamento di valore nel dire che finiremo nel nulla? non credo proprio.
poi come sempre dobbiamo vedere i risultati. Non tutti scrivono la scena dei due becchini o il cantico del gallo silvestre.
ma qui entriamo in un’altra dimensione.
“Una letteratura che si preoccupa delle ere geologiche senza indagare l’immensità dell’attimo, che si preoccupa dei miliardi di uomini senza indagare l’immensità di una persona, è destinata a produrre solo rumore di ferraglia, perchè ha incatenato gli uomini ed il mondo alle ferree leggi della materia.” Dice Maurizio.
Immensità dell’attimo, immensità della persona… posso dire che potrebbe essere bellissimo, ma attenzione che dietro l’angolo abbiamo Coelho…
perché come dice il salmo: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?”
è vero lo sappiamo che il salmo continua “eppure l’hai fatto bla bla”…
ma io credo che come scrittori ci dovremmo più interessare alla prima parte e lasciare a dio la seconda.
d.
anonimo sarei io.. che mi si è mangiata l’ultima parte del commento
che finiva
è vero lo sappiamo che il salmo continua “eppure l’hai fatto bla bla”…
ma io credo che come scrittori ci dovremmo più interessare alla prima parte e lasciare a dio la seconda.
o al nulla, che è uguale.
d.
La domanda, Wu Ming 1, è invece: come mai lei ravvisa in quanto scritto da Cotrona l’appartenenza a questa detestabile setta di credenti? Cosa c’è in quanto scritto che lo riconduce inevitabilmente a quella?
Mi sembra che sia la sua considerazione a permettere solo due posizioni: una fede aprioristica e cieca o un irriducibile e disperante nichilismo (che non so come conciliare, visti i presupposti, con l’esistenza piena e bla bla bla).
Caro Demterio sei troppo sensibile e intelligente per credere di cavartela con questa tirata a effetto apodittica in exitu…:-)) il problema vero sollevato da Maurizio riguarda l'”intensità umana” del fare letteratura o scrittura, Dio (che continuo a scrivere con la maiuscola…)o meno. le parole che come diceva Carver sono la cosa più preziosa che abbiamo lottano da che mondo è mondo con la pretesa inaudita di questo grumo di carne che guarda e non si accontenta ama e non si accontenta odia e non si accontenta e cerca e cerca e così facendo si conferma quello “splendido intruso sulla terra” di cui parlava Novalis. Operazioni come la NIE a me sembra eludano proprio questo punto e trattino la letteratura come una sorta di ampollla per reagenti chimici…mettiamo questo e poi questo e vediamo che succede tanto è tutto un inutile esperiemento. Banalizzo, lo so, ma credo che la letteratura italiana salvo il caso di romanzi come Rio di Colombati o Caos Calmo di Veronesi (su tutto la scena dell’amicizia col bimbo down o i momenti dell’addormentaamento della figlia) non fa mai trepidare di condivisione umana, di discesa nella pretesa intima dell’essere, di resa dei conti con la nostra incoercibile anche dai più biechi ateuismi volontà di durare oltre questo battito di ciglia che è la vita qui e ora; sia essa verità o illusione. Basta leggere una pagina di Tunstrom o di Lindgren per capire meglio quello che io dico in modo approssimativo: lì c’è un cuore di uomo che mi parla e mi interessa…in questi racconti ci sono belle comparse e bello studio di caratteri ma questa scherzosamente è quella che io chiamo “letteratura dei cacchi altrui” e la lascio volentieri ai tifosi del sempre troppo osannato Philip Roth. L’uomo (sia metafisico che transeuntissimo, ma essere umano) è altrove…
Un caro abbraccio
Saverio
vado nei fatti e parto da un vezzo che ho.
Io scrivo nei miei racconti sempre Dio con la “d” minuscola. Perché, intanto chi sono io per parlare di dio?, io non so nulla e sono uno stolto veramente tale. Per me quello che io nomino *dio* è un personaggio. Ovvero io faccio assumere a dio pensieri, parole, gesti, entità, modi d’essere che io non so se sono di dio o meno, io non conosco dio, ma che il personaggio dio dei mei racconti, romanzi, etc etc rinosce come suoi propri.
al lettore quindi io cosa chiedo? quando vieni nella mia pagina, beh lettore caro, non mi interessa che tu sia cattolico, ortodosso, valdese, oppure ateo, oppure buddhista, io lettore ti chiedo che tu per le 100 pagine del mio racconto creda che *dio* sia quella roba che ti descrivo.
e credo che il discorso finale di Wu Ming sul “nulla che prima o poi ci nullificherà” sia il punto di partenza. Io non ho ancora le idee chiarissime su NIE, io ci metto anni a farmi idee chiare, ma ho l’impressione che il nodo sia nella violenza.
l’ho detto in uno stralcio di saggio su Vibrisse e conto prima o poi di tornarci.
La dimensione umana, quella che tu Saverio sostieni mancare e che Maurizio chiede, sta nella violenza. Siamo capaci noi di fare un discroso reale sulla violenza?
E’ l’atto di violenza che apre all’umano, che lo mostra.
Attenzione il mio concetto di violenza è un po’ più complicato.
per me è violenza anche la salvezza o la redenzione dei corpi.
cioé, dal punto di vista della mia riflessione, una resurrezione e un omicidio sono fatti della stessa materia.
mi sembra comunque importante il discorso che ha aperto questo memorandum sul rilfettere che cosa stiano diventando o siano diventate le nostre lettere patrie.
d.
Giusto due cose (nella speranza di riuscire ad approfondire poi), per rispondere a d.:
1) dato che si continua a tirare in ballo la religione cattolica, o quantomeno la tradizione giudaico-cristiana, io direi che ciascun uomo ha tutto il diritto di parlare di Dio con la D maiuscola, perché è chiamato a farlo. Lo è nell’Antico Testamento, lo è ancor più nel Nuovo. Ciascuno di noi è stato creato per Amore, quindi ha un legame diretto, di figliolanza, con Dio. Parlare di Dio con la d minuscola significa, dal mio punto di vista, separare vita e letteratura. Con ciò, ripeto che il discorso di Maurizio e l’idea di BC prescindono da QUALSIASI tipo di credenza religiosa o politica, e che si sta portando il discorso su un terreno che NON gli è proprio;
2) ma una resurrezione e un omicidio non sono fatti della stessa materia. Proprio quest’indifferenza all’una o all’altra cosa, il credere che dal punto di vista dello scrittore o della letteratura siano la stessa cosa, è terribilmente pericoloso. Quello che si voleva scrivere nell’articolo, quello che l’idea di letteratura di BC dice con forza, è che la vita e la letteratura non sono due cose separate, benché distinte, e che tra una resurrezione e un omicidio ce ne passa.
maura. ci hai ragione sul primo punto. Provo a spigarmi meglio: io scrivo dio con la *d* minuscola per scelta e per chiarire al lettore che quello che io dico di dio è detto in quanto dio personaggio. Il mio personale desiderio sarebbe quello di scrivere un saggio su “dio come personaggio della bibbia”, utilizzando soltanto strumenti semiotici e di critica letteraria, lasciando perdere filosofia e teologia…
sul punto due: la mia impostazione maura è ben diversa da quella che tu tratteggi qui, ma credo che sia anche diversa da quella che descrive Wu Ming 1 nel suo memorandum. mi verebbe da dire che la mia è una di-sperazione ontologica. ma qui andiamo lontano.
d.
Continuo a pensare che questa impostazione sia estremamente pericolosa, oltre che fine a se stessa. In questo modo, mi sembra che alle parole sia data un’importanza eccessiva, che si pensi solo alla loro analisi, al loro suono… E, paradossalmente, la parola vista in questo modo finisce con l’aver un significato puramente convenzionale, è un soffio di voce, perde qualsiasi tipo di valore “magico”, di efficacia.
Quello che ho detto presuppone due domande:
– come fai a tener fuori filosofia e teologia se parli di Dio?
– perché dovresti farlo?*
Già che ci sono, ho altre due domande:
– in che consiste questa di-sperazione ontologica?
– ma com’è che alla fine si arriva a parlare sempre di te? :-)
* continuo a dire che con questo post si voleva dire ALTRO.
A me sembra proprio riduttivo l’ultimo periodo, l’immensità dell’attimo e della persona CONTRO ere geologiche e miliardi di uomini. Come fossero contrapposte e non complementari.
La vita è una lotta, ognuno di noi lotta, e tutti lo facciamo insieme. Chi scrive, come diceva la O’Connor, lotta.
C’è chi disegna paesaggi e chi ritratti. E ci sono paesaggi che non dicono niente, e ritratti che non dicono niente.
Spielberg da Duel è arrivato alle scene iniziali di Salvate il soldato Ryan, e sono lotte. Battaglie.
Le cose hanno valore nel momento in cui innescano dei pensieri “altri”. Si parte da qualcosa, e si arriva ad altro.
Parlare della letteratura in termini di “immensità dell’attimo” e “immensità della persona”, secondo me, la svuota né più né meno rispetto a ciò cui si contrappone.
Il mistero presente nel singolo non scompare nella moltitudine, secondo me. Si deve solo guardare in modo diverso. Uno sguardo che si concentra solo su una cosa, non vede nient’altro.
Si dice che non si vede uomini liberi, neppure quando ci si guarda allo specchio. Non siamo liberi dai nostri pre-giudizi, pre-giudizi che si basano sui nostri corpi, sulle nostre idee che ci derivano dalle nostre esperienze, dalle nostre letture, dal nostro toccarci quotidiano, in modo diverso.
Ma la lotta con l’angelo? La lotta con l’angelo, mi sembra.
Perché in chi non la pensa come noi cerchiamo sempre ciò che non ci può dare, e non invece ciò che può darci?
C’è nella contrapposizione costante insicurezza, ci aggrappiamo alle differenze per definirci, non parliamo non ascoltiamo troviamo le nostre posizioni e ce le teniamo salde. vabbé, al solito divago, scusate.
ciao.
x NDR:unire i dui livelli è il top, ci mancherebbe altro (io invitavo a non dimenticarne uno).
maura saresti così gentile da dirmi di cosa parla di questo post?
continuo perché mi sono venute in mente altre cose, così. non so quanto entrino realmente nel discorso, ma visto che son partito da qui…
Maurizio, dici che giudizi di valore non si dovrebbero mai dare, però lo fai. Oltre a questo, dici anche “perché dovrebbe interessarmi…?” Quando nessuno, mi sembra, ha detto cosa e a chi debba interessare qualcosa.
Potrei porre la stessa domanda rivolta però a ciò che scrivi tu. Perché dovrebbe interessarmi…etc etc?
Tra l’altro, potrei proporre un’altra frase:
Gli stolti non vedono il fronte. Quindi chiamano guerra una cosa a caso, considerano il fronte ciò che gli fa comodo considerare fronte etc etc.
A me, il saggio di WM1 è sembrato interessante. Ed anche a te. Io non ci ho trovato obbligazioni, in quello che scriveva. Non l’ho sentito come esprimesse precetti da seguire obbligatoriamente da chi scrive, o precetti per il lettore.
Tu dici che la lotta per estinguerci con dignità e il più tardi possibile non ha, secondo te, un senso, credo, abbastanza grande. Eppure, la nostra vita è una lotta che cerchiamo di combattere con dignità, e anche si tenta di rimandare la morte, per quanto si sappia inevitabile.
Tu non trovi che abbia un senso la parola “dignità” nel mondo della NIE. Io trovo che la parola, in generale, nel mondo in cui viviamo, si sia svuotata di significato.
Samuel Johnson, nel 1761, diceva che “gli annunci pubblicitari sono ora così numerosi che sono a malapena sbirciati ed è quindi necessario se si vuole attirare l’attenzione, la magniloquenza delle PROMESSE: promesse, GRANDI promesse, questa è l’anima della pubblicità”. Le promesse pubblicitarie hanno contribuito a svuotare il senso delle parole, le persone credono alle PROMESSE, a dispetto che queste vengano mantenute oppure no. Noi troppo spesso pensiamo che le cose nascano oggi, mentre si sviluppano nei secoli. A me questa frase di Johnson sembra terribilmente attuale. Ma lui qui parla dei giornali inglesi, mentre ora si potrebbe dire dei media in generale, a livello globale.
Non so.
In questo tuo post c’è qualcosa di bello, si sente, un atto di ribellione. O sorta di. Secondo me, però, va verso un bersaglio che è, in realtà, amico. Più punti di vista ci sono nei confronti delle cose, e meglio queste vengono sviscerate. Avrò fatto confusione come al solito.
vabbé. smetto davvero.
Tutto molto interessante, pulci nelle orecchie, stimoli, spunti da rimuginare e di cui tenere conto per la prosecuzione del dibattito.
Chiedo scusa, la mia “latitanza” è dovuta non a mancanza di interesse, ma alle oggettive difficoltà che ho a seguire tutto.
Ribadisco solo alcuni punti che a mio avviso, anche nella discussione qui, continuano a essere fraintesi:
– quello che chiamo “New Italian Epic” è un campo di forze prodotto da un insieme di opere che invito a leggere in cerca dei loro tratti comuni. Nell’ultimo numero di “Nandropausa” mi sono sforzato di approfondire questa idea, con una serie di recensioni concatenate che estendono la lettura comparata del mio memorandum. Dubito si possa parlare di “coincidenze”, io credo proprio che queste opere stiano dialogando tra loro a un livello che non è quello di superficie.
– Considero un errore e un fraintendimento vedere nel mio memorandum l’annunciazione di un “movimento” di autori, o addirittura di un’ideologia che sarebbe condivisa da quegli autori.
In tutto il testo rigetto l’idea di una “allegoria a chiave” ideologica (faccio l’esempio negativo di “300”), a favore di un livello allegorico più profondo, quello di cui parlò anche Benjamin nella sua opera sul dramma barocco tedesco.
Quindi fatico a comprendere come si possa partire da mie estrapolazioni personali (a partire da uno dei tratti che ho visto nelle opere in oggetto) per gettare su tutto il NIE il manto di un’accusa ideologica. E’ un problema di metodo, prima ancora che di merito.
– Ho fatto l’esempio di autori cattolici menzionati nel memorandum o nel dibattito successivo semplicemente per mostrare che non esiste alcuno schieramento di autori, perché il focus è sulle opere, per giunta opere diversissime tra loro. A fronte di questo chiarimento, leggo nei commenti nuove accuse: avrei attaccato i cattolici. “Trasecoliamo”, direbbe Marina Massironi nei panni della presentatrice degli acrobati bulgari. Non so se vedere queste letture sbrigative come manifestazioni di preconcetto ideologico. Ho l’impressione che nella mia risposta a Cotrona qualcuno abbia letto quel che ci si aspettava di trovarci anziché quel che c’era davvero.
– Tornando al mio testo: considero un errore di pari portata e un fraintendimento vedere nel mio invito (e anche qualcosa di più) alla lettura comparata una “precettistica” o un “manifesto”.
– Tornando al *merito*: nel testo di Cotrona c’è un’idea espressa in modo esplicito.
Io nel mio testo fatico a trovare le basi di tale accusa.
Ho scritto che noi ci estingueremo, e mi pare innegabile.
Ho scritto che qualcuno, stoltamente, si sta impegnando per accelerare il processo, farci estinguere prima del tempo e in modo stupido e indegno, e la cosa mi pare sotto gli occhi di tutti.
Ho scritto che non c’è idea di futuro, perché il capitalismo ci schiaccia su un eterno presente, e quindi prendiamo sottogamba i pericoli che abbiamo di fronte. Anche questo mi sembra facilmente dimostrabile.
– Ho scritto che dobbiamo tornare a immaginare il futuro, scongiurare la nostra fine prematura, riconquistare un’idea di dignità. Ci estingueremo, certo, ma che questo avvenga quando deve avvenire, e se possibile cerchiamo di lasciare qualcosa di noi che sia utile a chi verrà dopo (ho parlato di “passaggio di testimone” a chi forse riuscirà a lasciare il pianeta prima della propria distruzione).
– Ho scritto che per curare il nostro sguardo troppo schiacciato sul presente, dovremmo immaginare il futuro remoto senza di noi. Pensarci sempre al centro della vita sul pianeta è un atto di arroganza etica e intellettuale.
Questo, e non altro, ho scritto.
Posso capire che l’uso forse troppo insistito di metafore (segno di una difficoltà a spiegarmi) possa creare fraintendimenti, ma non dell’ordine che ho riscontrato qui.
Ora, cosa sopravvive della mia posizione nel riassunto di Cotrona?
Ben poco. Con un montaggio di virgolettati fuori contesto, si presenta la mia posizione come nichilista nell’accezione peggiore, si dice che su queste basi non sono possibili valori, non è possibile il bene, non è possibile un’idea di dignità.
Non solo: si identificano queste mie estrapolazioni e proposte con il NIE tout court, un errore di metodo madornale.
Se potessimo tornare al punto di cos’è il NIE e della plausibilità o meno delle mie indicazioni di lettura comparata, la discussione certo ne gioverebbe.
x Maura Gancitano. Questo post si intitola:
“Su “New Italian Epic”, saggio di Wu Ming 1.”
Un dibattito sulla fede, sul cattolicesimo etc. mi trova del tutto disinteressato.
A me è bastato far notare l’improprietà di un’accusa-ombrello al NIE, e – dato che non fa mai male – – ricordare ai presenti che un senso della vita e un’idea di etica non sono prerogativa di chi crede.
“Etica”, lo dice già il nome, è qualcosa che riguarda costumi e comportamenti, quali siano giusti per la convivenza con gli altri esseri umani, e quali siano sbagliati.
“Etica” è un piano di immanenza, non c’è bisogno di trascendenze per avere questo genere di preoccupazioni.
Ecco, mi premeva solo che fosse chiaro a tutti. Preoccupazione superflua? Affermazioni pleonastiche. Non lo so. Queste cose non vengono mai chiarite abbastanza.
Grazie a tutti, torno a lavorare.
per Maura, commento 2.
“Cattolico” indica il credente “cattolico”. “Credente” è più generico. Si può credere in Cristo, in Dio, nella materia, per dire. Era per dire che non ho capito il tuo commento, ecco.
vabbé. niente.
Mi colpisce la disinvoltura con cui contemporaneamente si sostenga una posizione relativista (la pluralità dei punti di vista, la validità di qualsivoglia atteggiamento etico etc.) e la presunta ovvietà di ciò che è “sotto gli occhi di tutti” (ci estingueremo, l’uomo procede verso l’autodistruzione etc.). Non mi riferisco ad alcun commento in particolare, sto prendendo virgolettati a caso solo per esprimere una mia impressione complessiva (e non solo da questo discorso, ma da tanti discorsi simili che sento fare). Spero nessuno si senta frainteso o strumentalizzato, nel caso me ne scuso.
Molte cose apparentemente innegabili sono in realtà piuttosto opinabili, così cose innegabili nei secoli scorsi sono diventate oggi clamorosamente false. E se non lo sono nella loro fattuaità, lo sono spesso nel valore che si attribuisce loro (perché viene attribuito più o meno implicitamente un valore a questo genere di dichiarazioni).
Dire che è innegabile che ci estingueremo e non, ad esempio, che l’uomo “ama”, è una presa di posizione che sottintende un ordine di priorità. Per dire, personalmente che l’uomo si estingua me ne impippo (anzi, immaginerei infernale l’opzione contraria), mentre mi sembra molto interessante che l’uomo sia capace di amare. E considero quest’ultimo un dato obiettivo tanto quanto l’altro, anche se c’è chi contesterebbe questa mia convinzione con argomentazioni altrettanto logiche delle mie.
Quanto al discorso “cattolico”, io non ho visto accenti cattolici nell’articolo di Cotrona, quindi semplicemente mi chiedo dove li veda Wu Ming 1 e come mai questo discorso automaticamente divida il mondo in due: chi crede ci sia dell’altro (riduzionisticamente definito cattolico), chi non crede ci sia dell’altro.
Mi correggo: discorsi da “credente”.
Sempre, ovviamemte, che per credente non si intenda qualunque posizione non nichilista o solipsista – ma in quel caso direi che stiamo stiracchiando un po’ troppo il termine.
Cristiano, ma WM1 nel suo primo intervento ha parlato di “credenti”, “voi credenti”, mentre “cattolico” era riferito a Zaccuri, come esempio di scrittore di opere prese in esame in NIE, e non mi sembra come esempio denigrante. Il discorso “cattolico”, a quel che mi sembra, è venuto fuori dal commento di Maura, che diceva che non le sembrava il discorso di Cotrona un discorso “cattolico”. Solo che non mi sembrava fosse, e sia, l’accezione di quel “voi credenti” di cui ha scritto WM1. Non mi sembra insomma che quel riduzionismo sia di WM1.
Ma, se vogliamo, essendo in Italia, dove c’è una maggioranza della popolazione che si dice “cattolica”, quando si discute, il fraintendimento su “credente” o “non credente” che diviene “cattolico” e “non cattolico” è dovuto appunto a questo (al fatto che c’è una larga maggioranza cattolica, ed è, semplicemente, più facile prenderla in considerazione in una opposizione). Come accade che, ultimamente, la parola “laico” sembra aver assunto il significato di “non credente”.
Magari sbaglio, ma è una cosa che non ho capito.
Si torna, dunque, ai movimenti di significato delle parole. E fino a quando non cercheremo di trovare un significato condivisibile di una stessa parola, ci prenderemo a schiaffoni, mi sa.
;-)
p.s. Ciao Cristiano!!!!! Era un casino che non si discuteva!! ahahah!! ciao!!
@ Demetrio:
mi sembra si parlasse della NIE, e del fatto che dai testi analizzati da Wu Ming 1 emergesse l’idea di un “universo in catene”. Da lì si è iniziato a parlare di Dio, e tutti abbiamo continuato a dire che non c’entrava, e dicendo che non c’entrava abbiamo continuato a parlarne.
@ ndr
Non ho capito cosa intendevi dire. Ti riferisci al mio primo commento?
Se parli di quello, Wu Ming aveva scritto “Glielo dico, Cotrona, perché agli occhi di voi credenti noi atei (e dintorni) siamo ancora bestie un po’ strane.”
Parlava di Maurizio come di un credente, certo, ma prima aveva citato solo scrittori cattolici, per dire che la nuova epica italiana non è solo degli atei. Ma dal post non mi sembra che si possa dedurre la fede (in qualsiasi cosa) di Maurizio, ma solo un certo “set valoriale”, un certo “orizzonte”, un modo di vedere le cose assolutamente trasversale, quindi mi sembrava un commento improprio. Certo è possibile che Wu Ming 1 conosca Maurizio e sappia che Maurizio è credente, ma sarebbe comunque improprio tirare in ballo la sua fede.
@ Wu Ming 1:
io non ho cercato di creare un dibattito sul cattolicesimo, ho cercato proprio di dire che qualsiasi discorso religioso doveva essere tenuto fuori dalla discussione. Quando Demetrio ha continuato a parlare dicendo delle cose che ritenevo improprie, ho solo espresso la mia opinione, continuando a dire, peraltro, che non era di questo che si stava parlando.
“Un senso della vita e un’idea di etica non sono prerogativa di chi crede.” Certo! E chi ha detto il contrario???
Sì sì infatti mi sono corretto. Cionondimento il riduzionismo lo colgo lo stesso…
Ciao ndr, benritrovato, non ti avevo riconosciuto… ;-)
@ Wu Ming 1:
penso anch’io che la riflessione di Maurizio, così com’è, rischi di apparire ingenerosa nei tuoi confronti e imprecisa (critico il metodo, ma nella sostanza la condivido), e che quindi non favorisca il dialogo (e i continui fraintendimenti l’hanno dimostrato), per cui, come dici, si potrebbe tornare al punto e procedere in modo diverso.
appunto, Maura. Credente, non cattolico. Non sono due parole equivalenti. Che poi WM1 abbia citato degli scrittori cattolici, credo che sia stata un’operazione esemplificativa. Se per ogni esempio dovessimo prendere tutte le possibilità, sarebbe una cosa lunga, credo. Comunque. WM1 ha desunto che Maurizio sia un credente dal suo scritto, come Maurizio ha desunto da NIE che la letteratura lì descritta (ovvero, i romanzi letti da WM1? o la sua, diciamo, proposta futuribile?) sia fondata sullo “svuotamento di qualsiasi valore riconoscibile”.
Ora, a me sembra che in NIE si tenti un ragionamento sulla base di letture, se ne proponga una visione di lettura. Sia un discorso a consuntivo di un’esperienza, e anche appunti per il futuro.
si sente parlare, oggi, di crisi di valori. se la letteratura volesse dare una visione del mondo di oggi, potrebbe esimersi dal raffigurare, anche solo per contrastare, questa “crisi di valori” di cui si sente tanto parlare?
Non ho idea.
Io non ho letto i libri citati nel saggio, di narrativa italiana degli ultimi anni ho letto poco, se mai sono andato più indietro nel tempo. E leggo stranieri, anche.
Quando ho letto il saggio, l’ho trovato interessante. Ma non mi sembrava davvero che proponesse obblighi di sorta, vie necessarie. In questo scritto di Maurizio, invece, secondo la mia lettura, si parte dal presupposto che ci sia qualcuno, WM1, che ci dice cosa si dovrà scrivere etc. E magari mi sbaglio.
Maurizio, ho visto dopo aver postato il mio secondo commento, mi ha detto una cosa importante “(io invitavo a non dimenticarne uno)”. Ecco, questo invito per me non era chiaro alla lettura del pezzo. Non ce lo vedevo proprio.
Ci ho letto qualcosaltro. Una contrapposizione forte, meno un tentativo di dialogo, quanto un’affermazione di sé.
Come al solito avrò fatto casino.
vabbé.
ndr
X wu min 1
Provo a difendermi dall’accusa di “madornali errori di metodo”.
Ribadisco che per partecipare a questa discussione bisogna aver letto il saggio, perchè io mi sono espressamente rifiutato di riassumerlo (l’avrei considerato un errore di metodo ; )). Solo chi lo ha letto può stabilire se il mio giudizio sia stato frutto di un errore madornale o meno.
Con questo saggio wu ming dichiara espressamente di volere “individuare diverse caratteristiche condivise” in una produzione molto eterogenea.
Non credo di essere stato troppo sbrigativo o fantasioso quando ho trovato enunciate nell’ultimo paragrafo del saggio (“presto o tardi”, pag 14/15 ) le caratteristiche di fondo considerate da Wu Ming 1 comuni a tutti i libri citati. Lo dice espressamente:
“Al fondo, tutti i libri che ho citato dicono che qualunque “ritorno all’ordine” è illusorio.”
oppure
“Al fondo, tutti i libri che ho menzionato tentano di dire che noi – noialtri, noi Occidente – non possiamo continuare a vivere com’eravamo abituati, spingendo il pattume (materiale e spirituale) sotto il tappeto finché il tappeto non si innalza a perdita d’occhio.”
oppure
“A conti fatti, l’impulso che sta alla base di tutti i libri di cui ho parlato può leggersi in questa frase: “Gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi del fronte”.
Insomma: so leggere. L’ultimo paragrafo del memorandum non è solo “un tentativo personale di estrapolare una direzione in cui ritengo interessante muoversi in futuro” come scrive l’autore in risposta al mio post, ma anche l’espressione di una opinane su quello che viene considerato un fondamento (una radice? un impulso?) comune ai libri citati.
Io ho espresso questo giudizio: se questo è il fondo comune, a me i libri che hanno questo comune fondamento sembrano diretti verso un vicolo cieco.
Ora, si può discutere il mio giudizio ma non dire che il mio post è forviante e la discussione dovrebbe essere un’altra.
Il punto è che la letteratura (così come il cinema italiano) troppo spesso si limitano a rappresentare la crisi di valori, raramente proponendo delle interpretazioni nuove o delle visioni alternative. O no? (domando).
Non ci vedo nemmeno tanto una manovra ideologica dietro, per me è più probabilmente pigrizia (magari, in senso più lato, ignava ratio).
Mi colpisce anche (e pure stavolta non rispondo a nessuno ma medito fra me e me) che la religione più accusata di rifugiarsi in un infinito metafisico ed impalpabile è quella di tradizione giudaico-cristiana, laddove l’ebraismo si fonda sull’Eterno Israele (in terra) e il Cristianesimo – in tutte le sue varianti confessionali – sull’incarnazione e sulla presenza del Dio vivente proprio nell’esperienza terrena e sensibile.
Ciò detto, riusciamo a ricucire un discorso che parta per tutti dagli stessi presupposti? Se questa è una discussione che è servita a chiarire la base di partenza, sarebbe interessante proseguirla nel merito.
@ ndr
Per cortesia, Wu Ming 1 ha tirato in ballo la fede, quando non c’entrava. E ha citato esclusivamente scrittori cattolici. Non era pertinente, mi sembra ovvio, e ho voluto precisarlo.
Avrei fatto lo stesso discorso se anziché parlare di religione e cattolicesimo Wu Ming 1 avesse parlato di politica e di sinistra.
Al di là di tutto, comunque, mi sembra che tutti siamo d’accordo nel dire che le posizioni religiose di ciascuno devono essere tenute fuori, quindi non mi sembra il caso di continuare a discutere di questo.
“WM1 ha desunto che Maurizio sia un credente dal suo scritto, come Maurizio ha desunto da NIE che la letteratura lì descritta (ovvero, i romanzi letti da WM1? o la sua, diciamo, proposta futuribile?) sia fondata sullo “svuotamento di qualsiasi valore riconoscibile”.
Ti sembra la stessa cosa??? La prima è una deduzione totalmente infondata, che non so a chi possa interessare e che comunque non c’entra con la discussione, la seconda è un giudizio di valore che riguarda parte della nostra letteratura. Mi sembra che siano due cose molto diverse.
@ Maurizio
Il problema non è tanto che la discussione dovrebbe essere un’altra, ma che è necessario mettersi d’accordo sul punto dal quale partire, sulle premesse, sul linguaggio da usare, sulla procedura da seguire. Se non siamo d’accordo su questo non andiamo da nessuna parte.
Per quanto mi riguarda, sono perfettamente d’accordo con te quando dici che “se questo è il fondo comune, a me i libri che hanno questo comune fondamento sembrano diretti verso un vicolo cieco”, ma se non ci mettiamo d’accordo fin dall’inizio si rischia che ciascuno di noi dica quello che pensa in una lingua diversa e nel modo che gli pare migliore.
Devo essere sincero, Maurizio, non avevo capito quello che avevi scritto. In quest’ultimo commento, invece, credo di aver capito.
Ora, partendo dal fatto che l’opinione di WM1 si è basata sui libri citati nel saggio, e dal fatto che tu dici che, se quello individuato da WM1 è il fondo comune, i libri citati sembrano diretti verso il vicolo cieco, come si può dire “L’universo della NIE è un universo in catene”? Intendo, semplicemente, l’uso del verbo essere.
Non sarebbe più corretto dire che quello della NIE “sembra” un universo in catene?
A me sembra questo, che tu sia partito dal saggio per dare un giudizio di valore sui libri citati nel saggio. O meglio, che tu abbia condiviso la valutazione di Wu Ming 1, e tu abbia espresso un giudizio sulla letteratura di cui si occupa. Perché nel post tu non individui alcun errore di valutazione nel saggio di WM1, dici che quello che lui delinea è un mondo noioso etc. A me sembra un mondo, tutto qua. Un punto di vista. Non è che si deve essere d’accordo per forza su come vedere le cose. Lui, da quella posizione, ha visto ciò che ha scritto. è interessante perché cerca punti in comune tra narratori, e narrazioni, che sembrano distanti. cerca una lettura unitaria, per così dire. ecco.
Non so. Ripeto, secondo me questo tuo ultimo intervento è molto più chiaro del post da cui siamo partiti. Magari ho inteso male anche stavolta, non so. Non mi fido mai della mia comprensione delle cose.
Forse si potrebbe ripartire da un punto. Tra le opere citate, c’è secondo Wu Ming la cifra dell’epica. Ok: Sguardo obliquo, spostamento del punto di vista, storie alternative, ucronie potenziali, allegoria, ecc..per Wu Ming epica è “ciò che riguarda imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose…libri che fanno i conti con la turbolenta storia di Italia…” e allora mi chiedo: cosa c’è di nuovo?: Verga o Bassani non si sono sporcati le mani con queste cose? e Fenoglio? O forse ho capito: la colpa è dei soliti esecrabili postmoderni cheavevano messo nel cassetto questo patrimonio di approcci coi loro giochi, allusioni e repertori ci citazioni…ma Wu Ming stesso ammette che questi elementi ci sono anche nella NIE, come p. es. le narrazioni transmediali…
A me sembra allora che la domanda sia un’altra? Di cosa abbiamo bisogno quando leggiamo? E la scrittura e la sua decifrazione non dovrebbero aprire continuamente mondi che sappiano d’altro che rinviino ad altro che testimonino l’irriducibilità di chi li ha scritti pensati immaginati con tutti gli scarti possibili e stilistici che la letteratura ci consente?…non è su QUESTO che dovrebbe esserne misurata la riuscita? L’Eneide che è stata scritta per celebrare una casata imperiale riesce non nel suo interpretare la storia ma nell’illumionare il cuore dell’uomo colto certo in atteggiamenti NON SOLO STORICI ma UNIVERSALI. Il Libro su Didone è ben più grande dei combattiemnti navali e Pallante ci commuove come tributo estremo dell’amicizia e della condivisione non come fallimento di una sagace alleanza politico-guerresca.
E’ sul modo din raccontare questa creatura strana che tutto si gioca, altro che ideologie, posizioni o nebulose di senso.
@ ndr
“A me sembra un mondo, tutto qua. Un punto di vista. Non è che si deve essere d’accordo per forza su come vedere le cose.”
Io non sopporto proprio questa indifferenza, mi fa venire uno strano tipo di macchie su braccia e gambe.
Ndr (ti posso chiamare col tuo nome?), un conto è pensare (e sai benissimo che lo penso) che ogni ethos e ogni posizione che ne consegue abbiano una qualche legittimità, un conto è dire che quella è la posizione di x, e io che sono y la penso in un altro modo, io rispetto quello che dice lui, lui rispetta quello che dico io, e stop, non parliamone più.
Questo genere di “tolleranza” a me dà molto fastidio, perché ha a che fare con l’indifferenza (dal punto di vista etico-politico si direbbe che, pur vivendo nella stessa società, siamo “stranieri morali”). Non è un’esagerazione.
Se io leggo quello che dice WM1 e mi limito a pensare che la mia idea è diversa, non andiamo da nessuna parte. La sua fatica nello scrivere quel saggio, la mia nel leggerlo e nel criticarlo hanno un senso se da questo nasce un dialogo.
Perché se WM1 scrive e riflette su quello che scrive e su quello che scrivono gli altri, e io (io come membro di BC, cioè come persona che vive l’esperienza della letteratura) leggo e rifletto su quello che nel mio paese viene scritto è perché a entrambi “interessa” quello che si fa.
E io (io sempre come membro di BC) non sono d’accordo con quello che dice, perché mi sembra che debba esserci un’alternativa, e che l’universo che esce fuori dalle opere prese in esame sia effettivamente un universo in catene.
certo che mi puoi chiamare con il mio nome. anche cognome.
andrea brancolini ;-)
io lo so che non scrivo in modo chiaro. non dico che si debba guardare alle posizioni degli altri con indifferenza, non contestarle, etc.
è difficile, per me, spiegarmi. Ci riprovo (e mi dispiace che mi trovi una persona che guarda con indifferenza).
Ci sono queste due posizioni, quella di WM1, che parte dai libri che lui ha letto.
Quella di Maurizio, che parte dal saggio di WM1.
A mio avviso, partono da due cose diverse. Una sono dei libri, ed una è un saggio che parla di quei libri.
Il saggio non è quei libri, ma ne rappresenta solo la particolare visione di WM1.
Credo che ognuno di noi legga in modo diverso gli stessi libri, è una delle ricchezze di questo mondo, secondo me.
Quando dico, per me è un mondo, tutto qui, intendo dire che ci possono essere altri mondi, altre letture. Non è un voler dire, ah vabbé, te hai un’opinione diversa, è inutile parlarne. Non si deve essere d’accordo per forza su come vedere le cose, ripeto. Ma, almeno, cerchiamo di guardare le stesse cose. Almeno in parte. Qui, per me, il problema è che non si guarda le stesse cose. Uno guarda ai libri che ha letto, l’altro guarda alle conclusioni che quello ha fatto sui libri che ha letto.
Io non credo che WM1 e Maurizio Cotrona abbiano lo stesso modo di leggere le stesse cose.
Come me e te.
Oltre, così, ad esserci due modi di vedere diversi, ci sono anche due punti di partenza diversi. Secondo me, per me.
Quando si comunica, si va verso l’altro. Se non sono disposto ad andare verso l’altro, non comunico nemmeno. Dico, parlo per me. A volte nelle discussioni trovo che le persone parlino per sé. Non mi sembrava troppo questo il caso.
La mia affermazione voleva porre in rilievo che “quel mondo” è uno, uno dei possibili. Come la terra è un possibile pianeta. Che non si debba essere d’accordo su come vedere le cose non vuol dire, siamo indifferenti gli uni con gli altri. I pianeti non sono indifferenti, nonostante le distanze si influenzano vicendevolmente, dialogano. Per vedere la non-indifferenza dei pianeti dobbiamo però andare oltre il nostro punto di vista, cercarne altri. Trovare quello giusto, che non è facile. Avrei dovuto essere più chiaro, ma la mia scrittura difetta spesso.
Non voglio indifferenza. Non mi sembra di andare in giro dicendo siate indifferenti. Dico che ci sono più mondi, e che dobbiamo tentare di capirci. A me sembra meglio farlo cercando, senza spingersi, dei punti d’appoggio comune, e partire da quelli, per vedere cosa possiamo fare “insieme”. Non quanto distanti ci spingiamo. Io non mi ci trovo in certo tipo di discussioni, ma non per indifferenza, e mi dispiace se è questo che traspare. Mi sento veramente molto inadeguato nelle comunicazioni interpersonali. Lo so che la mia scrittura è inadeguata all’espressione di ciò che vorrei. Ma essere in catene non vuol dire rinunciare a tentare di spezzarle. Non lo so. Devo dire di essere abbastanza confuso.
Pensi che tratti le cose con indifferenza, davvero?
Uff. sono ancora inadeguato.
Mi scuso con tutti i partecipanti alla discussione se le mie parole hanno denotato indifferenza nei loro confronti e indifferenza rispetto alle loro posizioni. Mi scuso perché non era mia intenzione, ma le intenzioni vanno a volte per i fatti loro. Spero di non avervi offeso troppo.
Notte buona.
andrea brancolini
Andrea (ti ho chiesto se potevo chiamarti per nome solo perché mi fa strano chiamarti “ndr”), non intendevo dire che tu “guardi con indifferenza”, che sei stato indifferente nei confronti delle persone che qui stanno parlando e rispetto alle loro posizioni. Ho detto solo che quello che dicevi per me rischiava di essere pericoloso nel senso che ho cercato di spiegarti.
Non so, magari ti sembro esagerata, ma la mia idea generale sulle cose e sul mondo attuale è che spesso si finisca col portare acqua ad un mulino che neanche si conosce (perché? per pigrizia, come diceva Cristiano?). Certi atteggiamenti, certe cose che ci sembrano insignificanti, creano reazioni a catena che sono pericolosissime, e influenzano le persone più di quanto noi stessi possiamo pensare. Si tratta di un discorso molto grande, è ovvio, difficile da fare, che coinvolge pressoché ogni ambito della nostra vita.
La letteratura è uno di questi ambiti. Se non si dà un’alternativa, se si dà solo l’idea x delle cose, allora è possibile che le cose diventino effettivamente x.
Ciò non significa che la letteratura debba “educare”, significa solo che ha un grande peso sull’idea del mondo che le persone si formano, un peso maggiore di quanto crediamo, e per quanto possibile questo “potere” deve essere esercitato nel modo giusto, con gli occhi bene aperti, senza pensare tanto al suono della parola, quanto alla sua potenza, alla sua efficacia, al suo legame con l’atto.
Tornando a bomba, quindi, io credo che dai libri analizzati da WM1 non venga fuori questa alternativa (ciò non toglie che alcuni di questi siano pregevoli), che a me sembra, ora più che mai, necessaria. E mi sembra che, attraverso questa analisi, WM1 legittimi questo genere di narrativa, questa new italian epic.
Spero di essere stata più chiara, soprattutto rispetto all’indifferenza. Non intendevo offenderti o dire qualcosa sul tuo atteggiamento nei confronti degli attori di questa discussione o in generale nei confronti delle persone e delle cose, mi limitavo a dire che, secondo me, un pensiero del genere è rischioso.
Quando dici “dico che ci sono più mondi, e che dobbiamo tentare di capirci. A me sembra meglio farlo cercando, senza spingersi, dei punti d’appoggio comune, e partire da quelli, per vedere cosa possiamo fare “insieme”” dici esattamente qualcosa in cui credo anch’io, in cui credo ci siamo trovati tutti abbastanza d’accordo negli ultimi commenti, malgrado i fraintendimenti.
Ok Maura. Mi ero espresso male. chiuso qua.
Tornando al saggio di WM1, penso che anche una letteratura indirizzata verso un vicolo cieco non sia una letteratura chiusa. Riporto qua sotto parte di un commento di Wu Ming 1, e lo riporto semplicemente per comodità, è qui, invece di riprendere parti dal suo saggio.
“Ho scritto che noi ci estingueremo, e mi pare innegabile.
Ho scritto che qualcuno, stoltamente, si sta impegnando per accelerare il processo, farci estinguere prima del tempo e in modo stupido e indegno, e la cosa mi pare sotto gli occhi di tutti.
Ho scritto che non c’è idea di futuro, perché il capitalismo ci schiaccia su un eterno presente, e quindi prendiamo sottogamba i pericoli che abbiamo di fronte. Anche questo mi sembra facilmente dimostrabile.
– Ho scritto che dobbiamo tornare a immaginare il futuro, scongiurare la nostra fine prematura, riconquistare un’idea di dignità. Ci estingueremo, certo, ma che questo avvenga quando deve avvenire, e se possibile cerchiamo di lasciare qualcosa di noi che sia utile a chi verrà dopo (ho parlato di “passaggio di testimone” a chi forse riuscirà a lasciare il pianeta prima della propria distruzione).
– Ho scritto che per curare il nostro sguardo troppo schiacciato sul presente, dovremmo immaginare il futuro remoto senza di noi.”
Ora. Prendo quello che dice sull’idea di futuro. “Non c’è idea di futuro”. L’altro giorno ho visto un’intervista a Andrea De Carlo in cui parlava di questo, ma osservandolo dal punto di vista del tempo verbale. Faceva un’osservazione del genere: Oggi non usiamo più il tempo futuro quando parliamo, non so, di quel che faremo domani. Diciamo “Domani sono a Venezia”, o “Domani faccio questa cosa”.
Io ho ridotto di molto le parole di De Carlo, ma spero si capisca lo stesso il succo. Altro esempio.
Ieri, ad un tg, non ricordo di cosa stessero parlando, non ero attento, ma ad un certo punto il tipo del servizio dice qualcosa di questo tipo:
Chi colpisce l’immaginario delle persone, ne influenza i sogni.
Torno alla pubblicità. La pubblicità cerca di colpire il nostro immaginario, cerca il nostro desiderio, non le nostre capacità razionali, attraverso le Grandi Promesse di Johnson che citavo ieri. E se facciamo caso, la pubblicità ci parla di cose del presente. Puoi avere oggi ciò che pagherai domani. Ma il pagamento passa in secondo piano rispetto al fatto che tu potrai avere quella cosa, che sia tv, macchina, etc, già oggi. Le cose diventano sogni, desideri, dell’oggi, da realizzare all’istante.
Questa è una cosa, credo, con cui si debba fare i conti, in ogni caso, e non perché a noi piace o meno, ma perché ci siamo in mezzo.
La assenza, o la semi-assenza, se non vogliamo essere del tutto pessimisti, di un’idea di futuro (non dell’idea di futuro, ma di un’idea di futuro).
Immaginare un futuro estremo, spingere le cose al loro limite, può essere a mio avviso un modo per trovare una chiave che apra un’altra porta.
Su
“gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi del fronte”(NIE, pag. 14). Ma quale guerra e quale pace può esserci se non si ha la capacità di percepire e trasmettere il valore del bene per cui si lotta o che si rischia di perdere. Quella che Wu Ming chiama “guerra” è un territorio di assoluta indifferenza, dove noi esseri umani dovremmo appassionarci per l’estinzione della specie ritardato di uno o due secondi cosmici. Io propongo una frase di significato equivalente: gli stolti chiamavano guerra il semplice avvicinarsi del fronte.”
Credo che qui il problema non sia di pace o guerra, ma di “fronte”. In un commento precedente ho scritto “Gli stolti non vedono il fronte”.
Oggi, infatti, non c’è guerra, ci sono “conflitti” a “bassa” od “alta” “intensità”, per dire. c’è “guerriglia”. In questi casi, dov’è il fronte? Viviamo in un mondo che ha visto NY, Londra, Madrid. Viviamo in un paese dove le persone vanno ad incendiare campi Rom, dove l’esercito andrà per le nostre città. è guerra? dov’è il fronte? Siamo noi, il fronte? è fuori di noi, il fronte? ognuno di noi sceglie il proprio fronte?
Passo ad altro.
Quando Maurizio parla, nel brano sopra, di secondi cosmici, e nel post, alla fine, della “immensità dell’attimo”, sarebbe una cosa sbagliata porre il nostro sguardo sull’attimo di quel secondo cosmico? Occuparsi dell’immensità dell’attimo della nostra estinzione? E, non ci estinguiamo ogni volta che qualcuno muore? Quando uno muore, il suo mondo si estingue. Parlando di una morte, si parla dell’estinzione di un mondo? E se, nel momento, nell’attimo appena precedente alla morte, arriva, che so, un medico, e salva chi stava morendo? Avremo un mondo che stava per svanire, e che è rinato (un po’ Bastian de La storia infinita, ok, ma si semplifica, qui).
Ho messo tante cose, spero abbiano un senso.
ciao.
@ ndr: concordo totalmente con la tua conclusione, è quello il piano su cui bisognerebbe muoversi, secondo me. A volte l'”Umanità” serve solo a far sparire gli uomini…
@ Maura: mi sembra che il lab di ieri (in particolare il brano di De Luca) ruotasse intorno a questo. Collegamenti a scoppio ritardato? ;-)
Avrei un po’ di cose da scrivere (negli ultimi mesi non ho fatto che riflettere su questi argomenti, e ho appena finito di leggere un brano di Balthasar che reputo uno dei migliori che abbia MAI letto), ma non ho moltissimo tempo (e ho un mal di testa terribile).
Dunque, io credo che WM1, come ndr, ravvisino nella realtà che ci circonda dei pericoli che, in una certa misura, vedo anch’io (purtroppo è difficile parlarne, soprattutto in uno spazio breve come questo, ed è facile essere imprecisi, esagerare e fraintendersi).
Il problema riguarda essenzialmente la risposta della letteratura (del cinema, delle arti visive…) a questi pericoli. Se la letteratura si limita a dire che non c’è scampo, non c’è senso, moriremo tutti, finisce col creare un disagio (una tensione, addirittura un TERRORE), che ha l’effetto contrario rispetto a quello che si propone.
Piuttosto che rappresentare una data situazione in maniera iperbolica, non potrebbe invece rappresentare un’alternativa? Piuttosto che dire cosa l’uomo rischia di diventare, non potrebbe dire cos’è veramente, ricordargli quello che si è dimenticato?
Siamo incastrati nel presente, chiusi in noi stessi, blindati, non riusciamo a vedere altro. Sono d’accordissimo. La maggior parte dei romanzi degli ultimi anni sono scritti al presente e in prima persona. Moltissimi romanzi degli ultimi anni hanno per protagonista un personaggio che ha lo stesso nome dello scrittore. Si tratta di qualcosa di cui tener conto. Walter Siti, Mauro Covacich, non sono dei deficienti, se hanno fatto quella scelta ci sono stati dei motivi, e se tutto un gruppo di scrittori va in una stessa direzione ci sono dei motivi.
Ma la domanda è: è questa la risposta giusta?
Alla pubblicità che fa leva su corde che non sappiamo più di avere, che ci tiene legati alle cose, che non ci fa alzare lo sguardo, che ci dà diritto a tutto, che ci fa schivare il conflitto anziché farci passare attraverso di esso, come dobbiamo rispondere? Rappresentandola e basta? Dicendo che se le cose stanno così allora non ha senso?
Io non credo che la risposta sia questa, sono fermamente convinta della necessità dell’alternativa, della necessità di dire che le cose stanno così proprio perché c’è un senso, che bisogna cercare di sbloccare certi meccanismi e riappropriarsi dello sguardo meravigliato. Solo in questo modo si può invertire il processo.
@ CMG
Già, il brano di Erri De Luca ruotava intorno a questo. Non so se ieri mi sono spiegata bene rispetto a quella cosa. Mi sembrava che si parlasse del “piccolo” e del “grande” (e qui mi torna in mente quella frase di Jung). Ecco, il “grande”, se non passa attraverso il piccolo, rimane vuoto, ma non si può guardare solo il “piccolo”. Ovvero, nel “piccolo” bisogna riconoscere il manifestarsi del “grande”, e questa è proprio una cosa che rischiamo di non fare più! O no? Sono stata ancora più oscura?
Non lo so se è la risposta giusta. Ma credo che oggi, le persone, non siano poste di fronte alle possibilità che si aprono per il futuro. A volte, credo, ci sia bisogno di un muro contro cui sbattere perché, se no, non si capisce la possibile gravità di una situazione. Di Napoli se ne è cominciato a parlare costantemente quando già siamo al limite ed oltre. è una situazione che si è sviluppata negli ultimi 15 anni, e se ne parla solo adesso.
Se la letteratura immagina un possibile futuro apparentemente senza uscita, in catene, può essere il modo per dire “Attenzione!” per dire “Vogliamo finire così? Perché, vedete, è possibile. Per quanto non auspicabile, per quanto nessuno di noi lo voglia, è possibile”.
Ma non è facile, dirlo, perché non basta dirlo alle persone, ma si deve dire nel modo “giusto”, e non sappiamo qual è, il modo giusto. Perché si corre il rischio di gridare “Al lupo, al lupo”, ma questo lupo non viene ora, subito, le persone ti dicono, “ma è un lupo che arriverà fra chi sa quando”, e quando arriva, non credono più che sia un lupo.
La letteratura può mostrare il muro prima di arrivarci nella realtà. Io non lo trovo un modo del tutto sbagliato.
è una delle risposte, che può contribuire alla visione totale. Il grande e il piccolo, dici. eh. difficile.
Comunque, si devono cercare. Magari ci sono già. Magari stanno nascendo nuove risposte. Non mi sembrava, quella del saggio, una resa. Chiama la lotta.
Prendo delle parole di Mario Borsa, dal saggio Mario Borsa giornalista liberale – Il <> e la svolta dell’agosto 1946 di Walter Tobagi. 1976
“La libertà – per essere qualche cosa di reale – deve passare dalle istituzioni al costume politico: deve essere qualche cosa che non bisogna aspettarsi dagli altri ma che bisogna guadagnarsi, da noi stessi, giorno per giorno come la vita, e nella quale non basta credere. Bisogna soprattutto sentirla. Chi non sente la libertà come un dovere non può invocarla come un diritto”
Io non credo che l’incatenamento sia qualcosa di solo negativo. Credo che l’incatenamento possa essere quell’estremo che ci costringe alla reazione. Per trovare nuove risposte. Soprattutto se è la letteratura, ad incatenarci.
E sì, Maura, ma non basta dire che un senso c’è, ad una sola persona, si deve trovare il modo, non solo di dirlo, ma di dirlo a quante più persone possibile. Come dice Rocky Balboa, se io posso cambiare, se tu puoi cambiare, se noi possiamo cambiare etc…allora il mondo può cambiare.
Ma la soluzione è che qualcuno cambi. E, in letteratura, che qualcuno scriva. Come diceva Carver citando Teresa d’Avila, mi pare (o mi sbaglio??) le parole preparano l’animo all’azione. L’azione, parlando di letteratura, credo sia scrivere, farla. Che queste parole preparino gli animi all’azione (dei corpi, anche ;-).
D’altronde, Aristotele quando parlava, a proposito della tragedia, che il suo fine era provocare pietà e paura nello spettatore, perché incidesse nella sua vita, non era molto lontano da qui, credo.
Ma forse fo confusione. Vado sempre a caso.
ciaz.
@ Andrea
Scrivi:
“Se la letteratura immagina un possibile futuro apparentemente senza uscita, in catene, può essere il modo per dire “Attenzione!” per dire “Vogliamo finire così? Perché, vedete, è possibile. Per quanto non auspicabile, per quanto nessuno di noi lo voglia, è possibile”.”
Il fatto è che, secondo il mio modo di vedere, questo modo di urlare “Attenzione!” ha proprio l’effetto contrario. Bisognerebbe cercare di far vedere ciò che non si vede, e mi sembra che quello della NIE non sia l’atteggiamento giusto, ma che faccia proprio l’opposto. Anziché dire agli esseri umani che sono più di ciò che credono, li inchiodano alla materia, alle cose. Io ci vedo questo, sento come un’asfissia in questo universo new-italian-epico.
Scrivi:
“Ma non è facile, dirlo, perché non basta dirlo alle persone, ma si deve dire nel modo “giusto”, e non sappiamo qual è, il modo giusto.”
Certe cose hanno presa ed efficacia sulle persone proprio perché vengono portate avanti nel “modo giusto” (vogliamo parlare di nuovo della pubblicità, per esempio?).
Perché la letteratura non dovrebbe fare lo stesso? Uno scrittore mica deve scrivere e basta, deve conoscere gli strumenti che usa, deve avere delle basi che non siano solo “stilistiche”, se vuole che le sue parole abbiano un senso. Deve studiare, deve riflettere sulle cose, non può non domandarsi il perché di quello che succede. Deve conoscere certi meccanismi. Altrimenti è pigro, è qualunquista. E ce ne sono moltissimi di scrittori così.
Non parlo in questo caso degli scrittori di NIE; quelli riflettono, studiano, mi pare ovvio, altrimenti non potrebbero scrivere quei libri. Ma non lo fanno abbastanza, per come la vedo io, non si “aprono” abbastanza, non vanno nella giusta direzione. Quello che non mi convince, fondamentalmente, è il modo in cui scelgono di parlarne, e quindi l’universo in cui si scelgono di muoversi.
Non so da che libro tu abbia preso le parole di Borsa (il titolo è stato “mangiato” dai segni < >), ma non sono sicura che siano pertinenti, mi sembra che si riferiscano a un livello della realtà diverso da quello a cui mi riferisco io.
Citi benissimo Carver che cita Teresa d’Avila. Le parole preparano l’animo all’azione. Ma l’azione non è l’azione nella letteratura, ma nella vita. La parola ha un effetto sulle cose, e la letteratura ha un senso perché dalle parole, dalla carta porta all’azione concreta nella vita. Ed è questo che manca nella NIE.
Non credo che l’effetto della NIE sia catartico, non credo per niente che oggi ci sia bisogno di catarsi. Si continua a parlare di Male, a scrivere libri sul Male, a parlare di libri che fanno Male.
Si vede di tutto in televisione, su Internet, eppure il risultato è nullo, è un muro di gomma.
Perché appellarsi sempre alla catarsi? Perché al fatto che l’uomo non riesca più a reagire al male e sia trincerato dentro se stesso rispondiamo in questo modo? Perché non mostrare come l’uomo possa aprirsi? Perché non dire che l’uomo è molto di più di quello che crede di essere? Perché anziché continuare a parlare del male e degli abomini che l’uomo può compiere non gli facciamo vedere che c’è anche qualche altra cosa?
@ Maura.
Dunque, secondo te, quegli scrittori non vanno nella giusta direzione. Bene. Però, vanno. E non è detto che non possano modificarla, questa direzione. Non penso siano così chiusi nel loro panorama, e certo avranno dei limiti, come ognuno di noi.
Tu dici, non vanno nella giusta direzione.
Intendendo con direzione quella che ha ravvisato Wu Ming 1 nel suo saggio, giusto?
Mi sembra che si sia d’accordo nel considerare la lettura di WM1, di quei romanzi, una lettura che posa su delle basi solide.
Una direzione, però, si esplicita non solamente quando dico “io vado di là”, questo è il punto di partenza, importante certo, ma dopo c’è quello che si trova lungo la strada.
La direzione di quei romanzi è una direzione che si è fatta visibile nel tempo, non parla il saggio di romanzi usciti solo in un dato anno, ma in un periodo di tempo più ampio, considerato dall’autore abbastanza significativo perché vi si potesse rintracciare, appunto, una direzione. Non solo il punto di partenza, ma anche parte del viaggio, per così dire.
Ci sono altre direzioni? Credo di sì. Ci sono scrittori e scrittrici che con le loro opere stanno andando in altre direzioni? Credo di sì. Chi sa, forse è, ancora, una direzione sotterranea, ed io non la conosco. Perché dovrei pensare che la realtà letteraria è solo quella descritta da WM1?
Quello che non capisco è perché sembri dire che della direzione che sembra aver preso il NIE non c’è bisogno.
Innanzi tutto, se non fossero stati scritti quei libri, quel saggio, ora non ne staremmo a parlare, cosa che invece mi sembra importante. Poi, se non si prende una direzione, nessuno può dirci se sbagliamo, a suo parere, e perché. Se non ci fosse stato quel saggio, tu ora non saresti qui a discuterne, e mi sembrerebbe una perdita, ecco.
Quindi mi sembra importante prendere delle direzioni, perché aumenta la possibilità di potersi confrontare con gli altri.
Per rispondere alla tua domanda: Facciamoglielo vedere! ;-)
p.s. due cose su catarsi, che non so se ho capito ciò che intendevi, e Borsa.
Non so se hai detto della catarsi perché ho scritto di Aristotele, ma scrivevo “perché incidesse nella sua vita”. Credo infatti che quando scrive (a proposito della tragedia) “attraverso la pietà e la paura produce la purificazione di questi sentimenti” (pag.13 in Aristotele, Poetica, Trad e intro di G. Paduano, ed. Laterza) non intenda una purificazione senza conseguenze nella vita. Che mi sembra sia il senso del tuo appello alla catarsi, ma potrei benissimo sbagliarmi. La catarsi porta conseguenze nella vita.
per quanto riguarda Borsa, è un saggio contenuto in una rivista, Problemi dell’informazione, 1976, e le parole mangiate erano solamente Il Corriere della Sera. Le ho prese perché Maurizio parlava di Libertà, nel pezzo. Riconosco che magari non entravano troppo in ciò che stavo scrivendo.
Chissà perché, ma mi è venuta voglia di leggere questo saggio.
@ Andrea
Dici:
“Dunque, secondo te, quegli scrittori non vanno nella giusta direzione. Bene. Però, vanno. E non è detto che non possano modificarla, questa direzione. Non penso siano così chiusi nel loro panorama, e certo avranno dei limiti, come ognuno di noi.”
Non mi basta (sono una donna ad alto mantenimento). Non mi basta che vadano da qualche parte, purché vadano, perché la direzione è ESSENZIALE.
E poi, più che andare, mi sembra che siano fermi in un angolo, al buio, che da lì non abbiano intenzione di muoversi. Mi sembra davvero che da quei romanzi venga fuori un universo asfittico e in catene.
La direzione è quella ravvisata da WM1, sì, ma era abbastanza chiara anche prima del saggio. A me non sembra che WM1 prospetti un cambiamento di rotta, mi sembra che secondo lui la direzione sia quella, ed è la direzione che lui stesso, con gli altri WM, sta percorrendo.
Se io dicessi “Ok, la direzione per ora è questa, ma magari cambia, e comunque tutti noi abbiamo dei limiti” mi sembrerebbe di accontentarmi. Non mi basta, non è sufficiente.
Così come non mi basta la “catarsi”, non mi basta tutto questo parlare del MALE. Non è sufficiente, non mi sembra che porti conseguenze nella vita e spesso è anche pericolosa.
Andiamo al sodo, tu come vedi la letteratura italiana contemporanea? Sei d’accordo con quello che dice WM1? Quanto ai romanzi e ai racconti non NIE, credi ci siano altre direzioni che vengono percorse? Quali? Da chi?
@ Maura.
Dicevo che la direzione la si può vedere, comprendere, solo quando uno è partito, in tutte le sue sfaccettature. Se dico, vado in direzione di Parigi, il punto di arrivo può darsi che non sia Parigi, perché, durante il percorso avvengono cose. Tra l’altro, se lo dico io, o lo dici tu, vado in direzione di Parigi, procedendo per linee rette, facciamo due strade completamente diverse, e percorriamo distanze diverse.
Ma anche se sono a Firenze, e da Piazza della Signoria dico: Vado in direzione Stazione, oppure lo dico quando sono in Piazza Savonarola, che vado verso la Stazione, beh, faccio due percorsi completamente diversi. Ed ancora, se entrambi partiamo da Piazza della Signoria, andando entrambi verso la Stazione, in direzione Stazione, a seconda delle nostre conoscenze delle vie cittadine, il nostro percorso sarà diverso.
La nostra esperienza di una stessa Direzione può essere, e secondo me è, diversa. E sarebbe auspicabile, che si vada in direzioni diverse, o lunga la stessa, confrontarsi per cercare di ampliare gli orizzonti.
Uhm, magari non è chiaro.
A te non basta, e ok, questo l’avevo capito.
Tu dici, la direzione è quella ravvisata da WM1, ed era chiara anche prima. Io non lo sapevo.
Da quando è comparso NIE ho pensato che il mondo non finisse lì, che quella di WM1 fosse “una” lettura, non “la” lettura, l’unica possibile. Mi è sembrata interessante. Una lettura che, mi sembra, si fonda su delle basi solide.
Io non ho letto tutti quei libri, non ho da opporre a quella lettura, la mia lettura di quei libri. Forse interpreterei quei libri in modo diverso, troverei altre cose, chi sa. Non lo so, questo.
Da quando è nata questa discussione, NIE è stato preso per certo, sicuro, è stato preso come “la” lettura. Ho sempre detto che, per me, era “un” mondo, non “il” mondo. Uno dei mondi possibili.
Il “sodo”. Come ho detto in più commenti, non leggo molta narrativa italiana, ho detto: “Ci sono altre direzioni? Credo di sì. Ci sono scrittori e scrittrici che con le loro opere stanno andando in altre direzioni? Credo di sì. Chi sa, forse è, ancora, una direzione sotterranea, ed io non la conosco.”
Però la cerco. Appena la trovo, ve lo dico.
(non è un modo elegante per evitare la risposta? ;-)
No, davvero, Maura. Io, prima di NIE, non avevo pensato alla letteratura italiana in quei termini, tu sì, invece, mi sembra. Non ti so davvero dire quali direzioni, quali autori, altrimenti era la prima cosa che avevo fatto. Potrei autopropormi, ma può darsi che vada in direzione NIE, chi sa! scherzo, eh.
Tornando al serio, davvero per me NIE è cosa nuova, e devo abituarmi a confrontare ciò che leggo e che ho letto con questo modo di vedere. Non sono pronto a rispondere alle tue domande. Quando trovo una cosa nuova, prima cerco di capire se è solida (e mi pare solida), poi mi chiedo se può essere condivisibile (e la trovo condivisibile), quindi mi chiedo se è l’unica possibilità (per me non è l’unica possibilità) dalla cui risposta segue la ricerca e lo studio.
Magari sbaglio in questo procedimento, eh.
Ora, dicevo, essendo NIE cosa per me nuova, non essendo dentro le patrie lettere degli ultimi anni con una, secondo me, adeguata competenza, ho potuto farmi solo le domande.
Sono addirittura più indietro di te, perché tu avevi già visto, credo di aver capito così, la direzione della letteratura italiana prima del saggio, mentre io solo dopo.
Spero di aver risposto decentemente, anche se non offro soluzioni alla questione.
ciao Maura!
@ Andrea
Dici:
“La nostra esperienza di una stessa Direzione può essere, e secondo me è, diversa. E sarebbe auspicabile, che si vada in direzioni diverse, o lunga la stessa, confrontarsi per cercare di ampliare gli orizzonti.”
Come ti ho detto, questo non mi basta, pretendo (già, non è una richiesta, è una pretesa) di più. Non mi basta dire che è probabile che ci sia qualcuno che vada da qualche altra parte.
Il fatto è che è difficile trovare altre “direzioni” chiare come quella della NIE, e penso che, per tutta una serie di ragioni, questa possa progressivamente diventare la tendenza trascinante. Anche laddove non ci sono le caratteristiche riscontrate da WM1 nei libri NIE, è facile trovare lo stesso “universo in catene”, lo stesso immaginario rappresentato nella stessa maniera.
forse vi siete incartati…:-)))
me sa pure a me.
Vogliamo scartarci?
Io ho una Napoli a bastoni e un asso terzo liscio. Chi è di mano?
Non lo so, io avevo ordinato una Margherita e una birra piccola.
adesso ci vuole un nuovo post che scremi la discussione dagli incartamanti, metta un po’ d’ordine e rilanci
maura?
La vedo dura. Vediamo cosa riesco a fare nei prossimi giorni. Intanto oggi ho letto nuove cose sulla NIE, a partire da qui: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2008/06/24/incroci/
L’idea di Maurizio non è male
segnaliamo: http://www.scritturacollettiva.org/blog/new-italian-epic