Jiro Taniguchi, In una città lontana
Se le ore si succedono freneticamente e la vita è una tempesta cosmica che stordisce, potremmo trovare un grande sollievo nelle tavole del
disegnatore giapponese Jiro Taniguchi ovvero in immagini capaci di rimodulare la frequenza del battito del nostro cuore su un ritmo più umano. L’occasione per questa riflessione è scaturita dalla lettura di
In una città lontana (
Harukana Machi-e), una sorprendente
graphic novel, scritta e disegnata da Taniguchi nel 1998 (e che non ha nulla a che fare, per lo stile e la qualità della narrazione, con i manga commerciali che tutti conosciamo). La potenza di questo fumetto sta nello
spazio interiore aperto innanzitutto attraverso la
rappresentazione estremamente realistica del mondo in cui si svolge la storia (notate, per esempio, nella figura, il nitore architettonico della scuola in cui si muovono Hiroshi e Tomoko). Una precisione e una concretezza espressiva che sarebbe fine a se stessa se non ci fosse
un dialogo continuo tra le vibrazioni di questo contesto urbano e naturale e i moti dell’animo dei personaggi. Un dialogo possibile perché
è costitutivo del modo di vivere dei protagonisti delle sue storie che sono portati – per carattere o dalle circostanze – a guardarsi intorno con curiosità, a cogliere con stupore e meraviglia quanto accade davanti ai loro occhi, a godere di momenti e rivelazioni inaspettati e, infine, a riflettere e a evocare, tenere a mente immagini, suoni e sapori.
Il protagonista di
In una lontana città è Hiroshi Nakahara che all’età di 48 anni si ritrova improvvisamente a rivivere la propria adolescenza nel suo corpo di ragazzo, ma con i ricordi, le conoscenze e la consapevolezza di un uomo di mezza età. La sua storia è raccontata con una cura straordinaria del disegno, a partire dall’anatomia espressiva di Hiroshi, dei compagni di scuola e dei suoi familiari (sempre nella figura, notate come lo sguardo e le braccia di Tomoko rivelano la sua attenzione per Hiroshi che, invece, nel suo passo e nei suoi occhi tradisce imbarazzo, tenerezza e compiacimento) . Il
massimalismo di Taniguchi infatti scende nel profondo e spalanca orizzonti quando le sue lievi linee nere, gli spazi bianchi, i toni di nero e di grigio disegnano volti, corpi, posture e gesti che rivelano le intenzioni e le visioni dei personaggi nel loro continuo
incontro-scontro con gli altri, la società, la natura. Anche in questo romanzo per immagini, così come nella raccolta
Un uomo che cammina, la messa a fuoco del dettaglio (che a prima vista può addirittura sembrare fredda) non esprime un realismo asettico scaturito da un virtuoso esercizio di stile, ma una fattualità viva perché la realtà è
ricevuta dai suoi personaggi. Non è un caso che essi escano continuamente di casa per
passeggiare, andare a trovare qualcuno, inoltrarsi e fermarsi nella natura di un parco o di un prato e che mentre camminano si accorgano del cielo in movimento, di foglie sparse dal vento, ecc. Questi personaggi sembrano respirare la vita a pieni polmoni e, allo stesso tempo, si ha l’impressione che essi siano
guardati dal mondo in cui vivono (il cielo, le montagne, gli alberi, un lampione, ecc.) e dal loro creatore ovvero il disegnatore, la cui presenza è nello sguardo, ineffabile e discreta. In questo senso, il discorso incorniciato dalle vignette di Taniguchi sia quando va in scena il monologo interiore del protagonista sia quando le immagini sono senza parole non è dell’uomo che si dimena nelle sabbie mobili propria psiche (e più si dimena più affonda) come avviene nell’opera angosciosa dell’intoccabile
Andrea Pazienza, ma dell’uomo che cerca se stesso seguendo le trame di
una tessitura più ampia di cui sente di essere parte. Anche Hiroshi Nakahara, l’adulto quattordicenne di
In una lontana città che cerca in tutti modi di scongiurare la separazione dei suoi genitori, riflette molto su se stesso, ma la sua riflessione è quella, appunto, di
un uomo che cammina ovvero di un uomo che ha bisogno dello spazio circostante, degli altri, della natura e dell’esperienza di ogni giorno per
percepirsi. Egli è
ricettivo perché
in movimento dentro una dimensione spazio-temporale di cui è pronto a captare i segnali, come una stazione radio ricevente.
Non è un caso infatti che i protagonisti delle graphic novel di Taniguchi abbiano degli
occhi molto grandi ed espressivi, spalancati come carte assorbenti. E questi occhi vengono offerti in prestito al lettore, magari rimasto al buio dopo una giornata troppo stressante (perché anche il lettore è una stazione ricevente e se la frequenza sulla quale riceve è disturbata, Hiroshi Nakahara gli mette a disposizione la propria, consentendogli di rompere l’assedio e di captare di nuovo il segnale che giunge da fuori).
Il tempo è un elemento strutturale del fumetto e ogni narrazione grafica si fonda su una propria idea del tempo: il ritmo, la dimensione, il numero e la disposizione delle vignette porta il lettore verso certe emozioni piuttosto che altre (basti pensare all’humor suscitato delle rapide strisce dei Peanuts). Nelle tavole di Jiro Taniguchi il ritmo si accorda con il tempo interiore della contemplazione: viene meno l’entropia del surriscaldamento emotivo dovuto alla frenesia e alla lotta quotidiana e ci scopriamo ad abitare in uno spazio in cui le nostre tensioni ed emozioni trovano un ordine, scende improvvisamente la febbre del cuore e della mente, le scorie vengono filtrate da un reticolo di immagini di un mondo in cui c’è spazio per l’incontro e, quindi, per la bellezza.
VERO! di JT io ho letto “l’uomo che cammina” ma solo ora mi accorgo di quanto sia in sitonia con lo sguardo poetico di cui spesso parla Antinio…
E’ la prima volta che su Bombacarta vedo parlare di fumetti… sono contento. Grazie.
leo, mi offendi!
Perché? E’ vero, non ricordo di aver visto parlare di fumetti… non è tantissimo che frequento il sito di Bombacarta…
Se c’è altro, mi segnali dove?
Ciao Leonardo, in effetti sul blog non c’è moltissimo, perché Maurizio si prodiga live, alle Officine di BC… ergo devi venire! :-)
Volevo aggiungere che l’unicità della produzione di Taniguchi è dovuta anche al fatto che l’autore è fortemente nutrito e irrobustito dalla letteratura. Non a caso la sua opera principale (per ora) è la saga in dieci volumi «Ai tempi di Bocchan», uno spaccato del Giappone moderno raccontato attraverso lo sguardo di alcuni scrittori. Il romanzo alla base è «Il signorino» di Natsume Soseki (tradotto da Neri Pozza lo scorso anno): un autore tutt’altro che dallo “sguardo ingenuo”!
Coconino Press sta editando pressoché tutto Taniguchi, lettore avvisato…
Conosco poco Taniguchi, sono più “lanciato” su Inio Asano, Oda Hideji e poco altro, vista la scarsa reperibilità di autori seri giapponesi. Ma Bomba carta non potrebbe dar vita add una sottoscrizione per chiedere alle case editrici di pubblicare anche altri autori? In Francia, e soffro nel dirlo, sono molto più avanti!
Paolo, quasi quasi vengo… ma sabato non sono a Roma, purtroppo!