Officina di dicembre: “Tagliare”
Dunque dopo “uccidere”, un’azione simile, molto vicina. E ugualmente un po’ “negativa”.
Ma i sinonimi aprono possibilità insospettabili: sagomare è un’azione creativa; spezzare può avere un’anima generosa, di condivisione (“Prese il pane; lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli…”); attraversare fa sognare, andare lontano con il pensiero e con il corpo; separare e mescolare ci spediscono dritti in cucina ai fornelli, alle prese con una ricetta, mentre mietere, solcare e potare ci portano alla cura dei campi, di un giardino e delle piante da preparare per la nuova fioritura (la talea).
Come non ricordare il bellissimo dialogo dal film Being there (Oltre il giardino, 1979, Hal Ahsby) dove Peter Sellers interpreta la splendida figura di Chance, il giardiniere autistico che, con un linguaggio tanto reale quanto metaforico, finisce per diventare il consigliere del presidente degli Stati Uniti:
Presidente: Lei è d’accordo con Ben? Pensa che possiamo stimolare la crescita con incentivi temporanei?
Chance: Fintanto che le radici non sono recise, va tutto bene, e andrà tutto bene, nel giardino.
Presidente: Nel giardino.
Chance: Sì. In un giardino c’è una stagione per la crescita. Prima vengono la primavera e l’estate, e poi abbiamo l’autunno e l’inverno. Ma poi ritorna la primavera e l’estate.
Presidente: Primavera e estate.
Chance: Sì.
Presidente: E… autunno e inverno.
Chance: Sì.
Un taglio può costruire come diceva Lucio Fontana. Ed è altrettanto vero che un taglio è una ferita, un fendente, un’amputazione.
Tagliare è un verbo che si presta a numerose letture, un’azione che produce effetti molto diversi fra loro. Partiamo da queste suggestioni e costruiamo l’Officina di dicembre. Anzi, continuiamo a contribuire.
Inserisco io il primo stimolo inviato da Tiziana, che gestirà l’Officina di dicembre. Inviate anche voi commenti, proposte, links!
Scrive Tiziana:
Concetto spaziale ‘Attesa’ (Lucio Fontana, 1960) – Tate Modern Gallery – London
Si tratta di una tela che, come tutte quelle prodotte a partire dal 1959, si contraddistingue per un taglio preciso, perfetto. Fontana eseguiva rapidamente il taglio sulla tela ma dopo una lunga riflessione sulla direzione e sul posizionamento del taglio stesso. Che effetto produce questo quadro? Attira l’osservatore all’interno dello spazio delimitato dal taglio, nello squarcio. C’è anche qulacosa di violento che emerge dall’incisione sulla tela: i bordi sollevati, la profondità. Tutti questi elementi generano energia e quasi un senso di timore in chi osserva.
Eppure Fontana a questo proposito diceva: “Ho costruito, non distrutto”.
Tagliare allora non ha un’accezione del tutto negativa. Un taglio può costruire…
Dare un taglio al passato, ad esempio. Una nuova vita nasce da un taglio cesareo…
Qui un’immagine del quadro:
http://estellelebrun.wordpress.com/2008/10/29/un-second-choix/
Tagliare invece a me è un verbo che non piace, preferisco cucire o, meglio ancora, sciogliere. Sentite questa frase del sommo Stevenson che trovo, per me, per la mia vita, fondamentale:
“Esigiamo compiti più elevati perché non siamo capaci di riconoscere l’elevatezza di quelli che già ci sono assegnati. Cercare di essere gentili e onesti sembra un affare troppo semplice e privo di risonanza per uomini del nostro stampo eroico; piuttosto ci getteremmo in qualcosa di audace, arduo e decisivo: preferiremmo scoprire uno scisma o reprimere un’eresia, tagliarci una mano o mortificare un desiderio. Ma il compito davanti a noi, cioè quello di sopportare la nostra esistenza, richiede una finezza microscopica, e l’eroismo necessario e’ quello della pazienza. Il nodo gordiano della vita non può essere risolto con un taglio: ogni intrico va sciolto sorridendo”.
(e qui trovate un’immagine del famoso taglio del nodo di Gordio da parte di Alessandro Magno:
http://files.splinder.com/5d2679ca99e74c5c7aa6ceb229c469bf_medium.jpg ).
Andrea
Tagliare mi fa pensare inevitabilmente al montaggio cinematografico:
Nel 1920, il regista russo Lev Koulechov compì un importante esperimento: alternò col montaggio il primo piano di un attore prima con un piatto di minestra, poi con il cadavere di una bambina in una bara e poi con una donna sdraiata su un divano. Sebbene l’espressione del viso dell’attore non cambiasse, il pubblico percepiva i suoi differenti stati d’animo (fame, paura, desiderio).
Da questi esperimenti partì proprio Sergej M. Ejzenštejn per rivoluzionare il linguaggio cinematografico, applicandoli ai suoi lavori e inventando il cosiddetto “montaggio intellettuale”, ripreso poi dal cinema espressionista tedesco o dagli stessi surrealisti. Tale pratica poteva essere utilizzata efficacemente per manipolare le emozioni e le convinzioni ideologiche degli spettatori.
Qui il link dell’esperimento di Koulechov:
http://www.youtube.com/watch?v=EmNzE_J-rpY
E qui un link dove A. Hitchcock spiega questo effetto del montaggio:
http://www.youtube.com/watch?v=hCAE0t6KwJY
Riprendo lo stimolo cinematografico di Damiano e parto proprio dalla fine, da Hitchcock e dalla sua celebre battuta sul cinema: “il cinema è la vita senza le parti noiose”. Ecco qua, secondo me, di nuovo, la “diabolicità” del “tagliare”: la vita infatti non la puoi tagliare come si fa con la pellicola (mentre il montaggio, cioè il tagliare, Hitchcock docet, è l’anima del cinema).
andrea
Perchè ci tagliamo i capelli?
http://www.youtube.com/watch?v=BoMdkyeZOqE
Pavement – Cut your hair (1994)
Darlin’ don’t you go and cut your hair
Do you think it’s gonna make him change?
“i’m just a boy with a new haircut”
And that’s a pretty nice haircut
Charge it like a puzzle, hit me wearin’ muzzles
Hesitate to die, look around, around, the second drummer’s drowned
His telephone is found
Music scene is crazy, bands start up each and every day
I saw another one just the other day
A special new band
I remember lying
I don’t remember a line
I don’t remember a word
But I don’t care, I care, I really don’t care
Did you see the drummer’s hair?
Advertising looks and chops a must
No big hair!!
Songs mean a lot
When songs are bought
And so are you-
Bitch, rant down to the practice room
Attention and fame so
Career, career, career….
Se fate mente locale al convegno di Reggio Calabria dello scorso aprile, Giada Diano parlava della bizzarra tecnica di scrittura di un famoso poeta beat, William Burroughs. Costui raccoglieva idee, schizzi, appunti su pezzi di carta che in un secondo momento ritagliava. Infine ricuciva i singoli pezzetti, che davano un volto nuovo all’insieme delle parole. Un racconto nato dall’aver mescolato casualmente tante immagini diverse. Come Lucio Fontana infrangendo la tela con buchi e tagli tentò di rappresentare lo spazio con regole nuove, cosi Burroughs tentò a suo modo di spezzare lo spazio narrativo.
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Nell’estate del 1959 Brion Gysin, scrittore e pittore, ritagliò strisce di articoli di giornale, ricomponendole casualmente. “Minutes to go” è il risultato di questo primo esperimento con il cut-up. “Minutes to go” è composto di cut-up non riveduti né corretti, che risultano come una prosa del tutto coerente e significante. La metodica cut-up dona allo scrittore il collage, praticato dai pittori da almeno 50 anni, usato dalle cineprese, fisse o in movimento. Ogni ripresa per strada è, nei fatti, cut-up, per gli imprevedibili fattori del traffico e delle entrate in campo. e i fotografi vi confermeranno come le loro migliori immagini siano spesso fortuite…e altrettanto gli scrittori…Non potete volere la spontaneità, potete però introdurre l’imprevedibile – spontaneo con un paio di forbici.
Il metodo è banale. Vi insegno un modo per agire. Prendete una pagina. Ora tagliatela a metà, e ancora a metà. Avete quattro ritagli: 1 2 3 4. Ora ricomponete i ritagli accostando il 4 con l’1 e il 2 con il 3. Avete una nuova pagina. Talvolta dice le stesse cose, qualche volta dice cose del tutto diverse – il cut-up dei discorsi politici è un interessante esercizio – e comunque scoprirete che esprime qualcosa, e qualcosa di ben preciso. Un poeta o romanziere a vostra scelta, i brani che avete letto e straletto. Attraverso anni di ripetizione le parole hanno perso vita e significato…Tristan Tzara diceva “La poesia è di tutti”. breton lo espulse dal movimento, bollandolo come sbirro. Ripetiamolo: “La poesia è di tutti”…il cut-up è per tutti, ognuno può cimentarsi…Tagliate le parole vedete come cadono. Shakespeare, Rimbaud vivono nelle loro parole. Tagliate le righe, sentirete la loro voce. I cut-up spesso si rivelano come messaggi in codice con un senso speciale per chi scompone… In fin dei conti tutta la scrittura è un cut-up. Un collage di parole lette sentite sorprese. Cos’altro?… (estratto da “Il demone della letteratura” William S. Burroughs, Brion Gysin )
quoto @Federico. Correva il 1981 e sul concetto di Taglio e riutilizzo degli scarti, fu costruita una famosissima e riuscitissima trasmissione “Tagli, ritagli e frattaglie”. Assemblando tutto ciò che viene “ritenuto inutile”, è possibile dare vita a differenti prospettive. …. Tagliare = rigenerare
http://www.youtube.com/watch?v=R7as0Kod2us
Sul risultato del tagliare, più che sull’azione in sè, grazie alla suggestione di Federico mi è venuta in mente la canzone di De Gregori “Vai in Africa Celestino”. Confesso che non ho mai capito a fondo il testo, ma tutti questi frammenti, reali o immaginari che siano, mi restituiscono come prima impressione l’immagine di un’unità perduta che va ricostituita per trovare la spiegazione del tutto, per ricominciare. Ma allora, si torna ad un “intero” per comprendere il valore di ogni singola parte? Per capirne il funzionamento? O si può anche decidere di non ricomporre nessun puzzle?
E che fine fannotutti questi pezzi? Muoiono o continuano ad esistere in qualche modo?
Mah! Tiziana
http://www.youtube.com/watch?v=qKnL9z5eI9Y
Pezzi di stella, pezzi di costellazione
Pezzi d’amore eterno, pezzi di stagione
Pezzi di ceramica, pezzi di vetro
Pezzi di occhi che si guardano indietro
Pezzi di carne, pezzi di carbone
Pezzi di sorriso, pezzi di canzone
Pezzi di parola, pezzi di Parlamento
Pezzi di pioggia, pezzi di fuoco spento
Ognuno è fabbro della sua sconfitta
E ognuno merita il suo destino
Chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino!
Pezzi di strada, pezzi di bella città
Pezzi di marciapiedi, pezzi di pubblicità
Pezzi di cuori, pezzi di fedi
Pezzi di chilometri e pezzi di metri
Pezzi di come, pezzi di così
Pezzi di plastica, pezzi di mtv
Pezzi di scambio, pezzi sotto scacco
Pezzi di gente che si tiene il pacco
Ognuno è figlio del suo tempo
Ognuno è complice del suo destino
Chiudi la porta e vai in Africa, Celestino!
Pezzi di storia, pezzi di divisione
Pezzi di Resistenza, pezzi di Nazione
Pezzi di Casa Savoia, pezzi di Borbone
Pezzi di corda, pezzi di sapone
Pezzi di bastone, pezzi di carota
Pezzi di motore contro pezzi di ruota
Pezzi di fame, pezzi di immigrazione
Pezzi di lacrime e pezzi di persone
Ognuno è figlio della sua sconfitta
Ognuno è libero col suo destino
Butta la chiave e vai in Africa, Celestino!
Pezzi di pericolo, pezzi di coraggio
Pezzi di vita che diventano viaggio
Pezzi di Pasqua, pezzi di Natale
Pezzi di bene dentro a pezzi di male
Pezzi di mascalzone, pezzi che non sei altro
Pezzi di velocità lungo pezzi d’asfalto
Pezzi di briciole, pezzi di vetrina
Pezzi di colla da annusare pezzi di diossina
Ognuno porta la sua croce
Ognuno inciampa sul suo cammino
Apri gli occhi e vai in Africa, Celestino!
Pezzi di emozione che non si interrompe
Pezzi di Musica sotto le bombe
Pezzi di maggioranza, pezzi di opposizione
Pezzi di speranza e pezzi di informazione
Pezzi di ferro, pezzi di cemento
Pezzi di deserto, pezzi di frumento
Pezzi di incenso, pezzi di petrolio
Pezzi di kerosene, pezzi di gasolio
Ognuno brucia come vuole
Ognuno è vittima ed assassino
Gira i tacchi e vai in Africa, Celestino!
La canzone “Pezzi” di De Gregori si rifà e rifà il verso (sia nelle parole che nella musica) ad una canzone di Dylan (De Gregori è quasi un clone del vecchio Bob) che si intitola Everything is broken,di cui trovate qui testo e traduzione: http://www.maggiesfarm.it/ttt254.htm
e potete ascoltare in una versione “alternativa” leggermente diversa dall’orginale qui:
http://www.youtube.com/watch?v=5lHd1iMPtDk&feature=related
Forse anche questo c’entra con “tagliare”, un mondo frantumato, a pezzi, spezzoni, schegge, più o meno impazzite..
e il famoso «de-cidere»? letteralmente significa “tagliar via”… o può indicare anche un nuovo ricollocamento di “pezzi” di un’esperienza? come va letto, ad esempio, un passo come Marco 6,43-45: «Se la tua mano ti scandalizza, tagliala»? «decidere» e «recidere» non sono la stessa cosa, eppure c’è sempre un taglio di mezzo
mi piace molto la lettura sui “tagli costruttivi” di Tiziana… mi fa venire in mente la margotta, la talea, le varie pratiche d’innesto, e naturalmente – con i primi freddi – la potatura (con immediato rimando a Giovanni 15,2)… tutti “tagli” finalizzati ad aumentare, o concentrare e canalizzare, la vita
Mi piace molto, moltissimo, questa modalità web 2.0 per un’Officina User Generated Content.
Non sapevo che cosa questi strani nomi volessero indicare, l’ho appreso in pratica dagli interventi, tutti molto interessanti, che mi hanno fatto capire quanto questa modalità sia preziosa.
Un’Officina costruita con il contributo di tutti, che interpella tutti, vicini e lontani, per un contributo, piccolo o grande che sia.
Qui devo -tagliare- per non essere parolaia come al solito.
“canalizzare la vita”
tagliare per concentrare e canalizzare!!
Come le sponde di un fiume che sorreggono il suo corso, probabilmente dirompente e devastante altrimenti!! Chissà!
grazie!
Ragazzi, come suggestione vi invio questo link per proporvi una maniera creativa per “tagliare” la produzione di entropia http://www.drwho.it/2009/11/25/140-meeting-words/
buona visione e lettura :)
@tita: grande! hai centrato perfettamente il concetto e l’approccio del web 2.0 che fonda le sue radici nella condivisione delle informazioni perchè immettendole in un circolo virtuoso, le stesse si arricchiscono fino ad assumere una ben definita personalità.
Altri tagli: i tagli alla spesa pubblica, tagliare la strada, prendere scorciatoie, i tagli delle spese superflue, dei rami secchi, tagliare come potare, un taglio che rinforza, dà la vita.
Quando si tagliano i capelli ricrescono più forti. Il taglio spesso è necessario. Il taglio del cordone ombelicale, da fare prima possibile.
Ma nonostante tutto questo continuo a soffrire questo verbo.. penso sempre a “dare un taglio”, cioè: “chiudere”, “troncare”, e non mi piace essere tranchant…
Andrea, questo significa che ti sto portando alla decisione di fare un intervento, anche piccolo ;), all’Officina del 12? Non un intervento chirurgico dove il tagliare c’entra molto… un intervento come quelli che fai tu! Io un po’ me lo aspetto. e sono sicura che qualche idea già ce l’hai…
Taglia la testa al toro e buttati!!!
tagliare mi fa venire in mente l’autolesionismo,
il taglio sulla propria pelle…
ecco qui
http://i29.tinypic.com/hth15u.jpg
http://gold.libero.it/Stella112/commenti.php?msgid=3925713&id=20017
Andrea, capisco il dubbio e la preferenza per l’«et et» all’«aut aut», quindi ti rigiro la mia domanda: dove si colloca l’azione del de-cidere, in queste due opzioni?
Scrive il poeta Bartolo Cattafi che la vita non è questione da affrontare con righello e calcoli, ma con la lama di un coltello:
Inutile farla lunga,
girarla, rigirarla
allo spiedo, al rovello
dell’attenta osservazione, l’analisi, la sintesi,
i discorsi sul metodo.
Si muore dalla noia.
C’è un modo d’aggredire la questione:
col coltello
(Metodologia)
io opto, decisamente e recisamente, per l’et-et. La mia scelta è forte, frutto di un aut-aut, ma a favore dell’et-et, ovviamente è una contraddizione
ma forse solo le contraddizioni rendono ragione di questa strana cosa che viviamo e che chiamiamo vita. Sull’intervento…mi sa che ripasso all’aut-aut! no! (per ora) o, se vuoi, citando Fantozzi:
“Non ci arrenderemo mai! …forse…”.
andrea
un taglio per appassionati del genere, intorno al minuto 5.24 (anche se io lo vedrei tutto…)
http://www.youtube.com/watch?v=0M241GwjRy4
è un taglio fisico, ma anche morale. che porta alla conoscenza, alla consapevolezza, alla crescita, al cambiamento.
quindi sì, tra i vari significati del verbo io opto per quello più positivo: taglio come cambiamento che ha in se’ la crescita.
D’altronde il primo taglio che mi viene in mente è quello del cordone ombelicale. La nascita.
Vi ricordo che se avete fotografie potete inserirle nel gruppo BombaFoto di flickr:
http://www.flickr.com/groups/bombafoto/pool/
Inoltre: tagliar la testa al toro, come de-cidere, Paolo, dai sacrifici rituali e allora anche Atropo dal mito, che recide il filo delle vite umane.
Mi piaceva fotografare una potatura, ma…non ne vedo. Taglio corto. ch
Ho riletto oggi tutti i commenti uno di seguito all’altro, è entusiasmante vedere a quanti sbocchi può portare un verbo come questo (all’inizio “tagliare” per me coincideva principalmente con l’idea di “tagliare per buttar via” e quindi con il “farla finita una volta per tutte”… certo, magari per iniziare poi qualcosa di nuovo, o per permettere a ciò che è stato tagliato via di avere vita propria… ma queste sono riflessioni da 4 soldi…)! Ce ne saranno comunque di cose da dire in officina.
Per ora vi lascio questo quadro, è la Giuditta che taglia la testa a Oloferne dipinta da Artemisia Gentileschi…
ecco come veniva commentato il quadro un secolo fa:
« Chi penserebbe infatti – scriveva il Longhi – che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d’un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma – vien voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?» ed aggiungeva «[…]che qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riuscita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del Seicento europeo, dopo Van Dyck. » (R. Longhi)
Segnalo la poesia di Montale suggerita a Cristiano da un’amica.
Il tema del ricordo e del tempo che trascorre inesorabile; il bisogno di far sì che nulla si modifichi…
Mi fa venire in mente il film The Final Cut di cui ieri sera a Bomba Cinema abbiamo visto un breve frammento: lo conoscete?
Montale, Eugenio – Non recidere forbice quel volto
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
Alla lunga lista dei sinonimi per il verbo tagliare, aggiungerei, citando Sciascia, il verbo cavare. In realtà si tratta di un sinonimo del verbo togliere (già presente nella lista proposta), tuttavia ha una gradazione di senso e di sentimento molto diversa dal semplice togliere o levare. Infatti Sciascia (se non ricordo male) cita questo verbo, direi che lo propone come immagine verbale, nella prefazione del “giorno della civetta”, in cui spiega come abbia dovuto “cavare” la scrittura, lavorandola come un pezzo di marmo a cui si debba cavare ciò che non serve, ciò che impedisce l’evocazione delle parole. Contemporaneamente non si tratta solo di togliere o di levare, ma di tirare fuori (tagliando, sottraendo, eliminando) ciò che il grezzo del marmo, ciò che la scrittura trattiene nella suo essere ancora informe, prima che l’esercizio paziente del cavatore, lo porti nel mondo.
Questa specie di Officina on-line mi piace molto, ricchissima di spunti, ma soprattutto animata da partecipazione che unisce, fa associazione.
Leggendo gli interventi mi è venuta in mente la poesia di Carver, Abbi cura, non posso dire la più bella per la consapevolezza della mia ignoranza, certo una delle più significative per me.
“Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose reggendole vicino al fiore per non
pungersi le dita. Con l’altra mano taglia, si ferma e
poi taglia ancora, più sola al mondo
di quanto mi sia mai reso conto. Non alzerà
lo sguardo, non subito. È sola
con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare, ma non
a dire. So bene come si chiamano quei cespugli
regalatici per le nostre recenti nozze: Ama, Onora e Abbi Cura…
è quest’ultima rosa che lei all’improvviso mi porge, dopo
essere entrata in casa tra uno sguardo e l’altro. Affondo
il naso in essa, ne aspiro la dolcezza, la lascio indugiare—profumo
di promessa, di tesoro. Le reggo il polso per avvicinarla ancora,
i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro
quel che avverrà: moglie, finché posso, finché il mio fiato, un petalo
affannato dietro l’altro, riesce ancora a raggiungerla”.
Non mi stanco di rileggermi questa poesia. La donna è tutta nel gesto che compie, il verbo che la rivela, taglia per donare, non lascia niente al caso, sceglie anche il cespuglio per il significato, affinché possa parlare per lei; il poeta con grande semplicità ed attenzione coglie la scena e la comunica al lettore in modo tale da permettergli di condividere la sua esperienza.
Tita, grazie per questa bellissima lettura. Domani ci mancherai moltissimo. Speriamo che gli spunti presenti qui e quelli che abbiamo pensato di proporre in sede di officina diano i loro frutti! Diciamo che questo modo di pensare l’officina è un po’ come la talea: un forte e sano innesto che rende più forte la pianta.
Volevo aggiungere, in riferimento al laboratorio di lettura O’Connor di ieri sera questo:
“Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità”
Eugenio Montale, “I limoni”
tagliatelle – in ritardo, pappardelle.
L’arte di dettagliare
o dello stile con cui operare il taglio di un’opera
Immaginiamo di ritagliare prima tutto intorno in giro ai fatti di cui si scriva o si parli o che si vivano. In tal modo da lasciar vedere più immediata l’evidenza. Non una regola, non una forma semplice: se sarà necessario si può scegliere una fronda, come sarebbe un antefatto, piuttosto che un cerchietto: se al nostro centro porti concisione.
Sembra, alla luce delle letture, che nel Medioevo i sentimenti fossero ben chiari ai più, senza sbavature, senza doverli indagare più di tanto, come riferimenti; pensiamo anche alla innovativa pittura di Giotto. E ci si potesse appellare ad essi in modo abbastanza univoco. Alludere alla maternità voleva dire richiamare una gioia e qualche dolore, parte di comuni esperienze; si toccava quel certo tasto.
Oggi un sentimento anche legato a semplice vissuto, a fatti di base, appare più indefinito nella lacerazione del comune sentire; esiste, ma navighiamo nell’imprecisione; forse sperimentiamo una tensione verso una maggior definizione, lo sapremo solo in seguito. Comunque sia, la coesione o il semplice accordo generale sul modo di recepire un accenno, non è scontato.
Individuata la cosa da dire, si tratta di scendere nel dettaglio per pulire la sensazione sollevata: anche se essa per sua natura rimarrà un misto anche di contraddizioni, la cosa dettagliata può far leva con più vigore su una purezza di sentimento, sulla sua immagine inequivocabile che ci portiamo dentro. Un’emozione di bellezza che corrisponde a un bisogno. La ricerca dell’essenza.
Un minimo dettaglio è già una cosa. Già ogni cosa ci rimanda a molte altre. Per vedere questa rete occorre che siano a fuoco i suoi nodi. Un nodo ben evidenziato, circostanziato nei dettagli, lascia che la rete si intraveda da sé, ad opera del lettore, di chi ascolta, o di chi guarda il mondo con curiosità.
Per questo è di fondamentale importanza sgranare i pensieri. Definire una scelta di nodi, di cose su cui concentrare i discorsi. Intorno a questi punti poi possiamo supporre che il resto si svolga quasi da sé, almeno senza particolare necessità della nostra presenza.
Il lavoro consiste nello sfoltimento artigianale, in sostanza. Ed è tutto quel che ci è dato di fare, peraltro. In conseguenza di un’ispirazione, quando ci visiti lo spirito, che ci dispone ad osservare. Chi compie qualcosa è lo spirito, al cui sevizio noi possiamo sintonizzarci.
Una distanza, sapersi tenere un passo indietro, non farà che lasciare più spazio alla cosa. Se abbiamo saputo scendere nei dettagli, non dobbiamo inventare nulla, possiamo esimerci dal costruire di più. Solo recepire, e seguire l’impulso a condividere.
I dettagli portano a un elogio del quotidiano. Più che sufficiente, basterà attingere un frammento per sentirsi parte di un flusso della grande memoria.
Raggiungere un ‘unità con il tutto è proprio il fine, non solo della letteratura, ma di ogni vita: risvegliare il nostro senso poetico. Allora dettagliare diventa un metodo, non solo per un modo di scrivere, ma per un modo di progredire, un fatto di coscienza.
Provo a raccogliere le suggestioni dell’officina di sabato scorso.
Tagliare significa – tra le altre cose – delineare un’identità. L’identità comprende e allo stesso tempo separa, è fattore di aggregazione ma può divenire motivo di divisione, di contesa. Può invitare al confronto ma anche allo scontro (si ricordi il monito di Franco sull’avversione al meticcio).
E’ dunque importante considerare questo aspetto prima di accordare un significato positivo o negativo al tagliare in senso lato.
Ma il tagliare è anche il meccanismo con cui procede la storia, quella universale e quella individuale, per dimezzamenti.
A ogni scelta compiuta in maniera più o meno consapevole da un individuo, infatti, a ogni bivio posto dalla vita, a ogni rinuncia a intraprendere una strada per imboccarne un’altra, si concretizza un dimezzamento del potenziale iniziale dell’esistenza; la quale esistenza, via via che procede nella propria concreta incarnazione e acquisisce una demarcata fisionomia, da una parte guadagna la sua peculiare identità, che la distingue dalle altre o ve la rende simile; dall’altra dimezza di volta in volta l’ampio ventaglio delle potenzialità iniziali, riducendo drammaticamente la ricchezza di aspettative dell’individuo e talora segnando una pietra miliare lungo il suo cammino.
Il taglio è necessario per conoscere la realtà nel suo divenire. Infatti, vissuta come flusso ininterrotto, essa è inconoscibile.
Il taglio è dunque spesso un’astrazione, un arbitrio (assai didascalica in tal senso la lezione hitchcockiana di montaggio proposta da Damiano).
L’arbitrio in quanto tale è un atto ideologico e, come tutte le ideologie, ha un alto significato gnoseologico, ma non deve divenire fine a se stesso, a rischio di avvallare una discontinuità ingiustificabile.
E poi, un altro aspetto secondo me importante.
Tagliare è un atto momentaneo, mentre riparare richiede tempo, una durata che può essere anche molto lunga.
Per questo motivo, istintivamente concordo con Andrea: quasi sempre l’et-et è degno di maggior dignità rispetto all’aut-aut, perché richiede maggior lavoro.
E forse è proprio questo il motivo per il quale Stevenson preferiva sciogliere anziché tagliare il nodo gordiano della vita. Lo scioglimento – così come la riparazione – richiede pazienza e fatica, e dunque – normalmente – merita rispetto.
Ma il taglio, l’aut-aut, diventa fondamentale nelle situazioni in cui occorre accettare o assecondare un cambiamento; ancor più, qualora un cambiamento diventi necessario, vitale e – auspicabilmente – non reversibile.
E’ forse in questo senso che deve essere inteso il riferimento fatto da Paolo Pegoraro al Vangelo di Marco 6,43-45: «Se la tua mano ti scandalizza, tagliala.»
E se ne potrebbe aggiungere un altro dalla Genesi, ricordato da qualcuno (Andrea?) sempre durante l’officina: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne.»
Quando la fluidità del divenire è percepità come ambiguità – e in quanto tale essa opera – allora il de-cidere deve essere necessariamente un re-cidere.
De-cidere nel senso di tagliar via dalla storia le possibilità che si avvertono pericolose, quelle che danno scandalo.
Transitando nel tempo, abbattere il ponte alle proprie spalle, impedire un pericoloso ritorno, combattere l’umana concupiscenza.
Non solo un commento, praticamente un report del’Officina, quindi grazie