Contro Alice

Osservo questa fotografia di Eugene Smith, me l’ha inviata mia sorella Alessandra e mi ha folgorato. Sarà il fascino del bianco e nero? Non so. Saranno i bambini? Ma i bambini, presi come soggetto artistico, spesso mi appaiono stucchevoli. Allora cos’è? Innanzitutto mi colpisce il fatto che i due protagonisti sono di spalle. Se non fosse per il vestitino della bambina mi verrebbe da pensare che non si tratti nemmeno di bambini ma di una coppia, anche di anziani, che sono arrivati ad un buon punto del “cammino” della loro vita. Ecco, mi piace di questa foto l’aspetto del “camminare” e non solo del camminare, ma anche dello “sbucare”, dell’uscire fuori dal tunnel. In questo senso la fotografia di Smith (consiglio di andare a vedere anche altre foto di questo artista) mi appare come un testo anti-Alice, dove Alice è la bambina protagonista che entra nel mondo delle meraviglie come racconta il celebre romanzo dello scrittore-matematico-reverendo Lewis Carroll. Come tanti anch’io conosco ma non ho letto le opere di Carroll, ma ho la sensazione che la fantasia di Carroll sia molto “matematica”, una fantasia capricciosa e anti-raziocinante e quindi ancora troppo raziocinante, forse priva del “calore” di un Tolkien e dei suoi hobbit, per intenderci.  Ma perché questa foto sarebbe “contro Alice”? Forse proprio perché ci trovo quel “calore”: Alice è una bambina che entra nel tunnel, e lo fa da sola. Questi due bambini invece escono dal tunnel buio del bosco e lo fanno insieme, mano nella mano. Come a dire: da soli si finisce in un tunnel buio, mentre in compagnia si può trovare la via d’uscita.

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  1. leo ha detto:

    A me è capitato di leggere Alice nel Paese delle Meraviglie e devo dire che in parte mi ritrovo in quello che dici, in parte no. Nel senso che nella storia anche Alice è capricciosa, al punto da diventare antipatica, e questo comportamento infantile mette il libro su un altro piano rispetto a Tolkien.
    Però l’impressione che ho avuto leggendolo è stata quella che si può avere quando si racconta una fiaba ad un bambino. Tu pensi di finirla, ad un certo punto, ma poi ti senti dire:”e poi?”. E ti tocca ricominciare. Finisci un’altra volta, e questo ti dice:”ancora!”. E ti tocca ripartire, senza preoccuparti troppo di dare unità alla trama, che alla fine è solo un problema dei grandi. Questo singhiozzo continuo da motore ingolfato è la bellezza di questo libro, perché quel bambino (rompiscatole?) mi sono sentito io. Ecco, questo libro mi ha permesso di fare il bambino senza che nessuno mi guardasse strano.
    Pare strano, ma l’unico riferimento serio del libro lo vedo nel fatto che entra da sola nel tunnel: perché nei tunnel si entra soli. Qualcuno ti ci accompagna, magari fino alla soglia, e sai che quando uscirai ti aspetterà, ma dentro sei solo. E magari fai pure dei begli incontri, come Alice!

  2. Andrea Monda ha detto:

    Grazie Leo,
    mi hai fatto venire voglia di leggere Carroll!
    andrea

  3. Giuseppe Di Vetta ha detto:

    Non sono del tutto d’accordo. Non ho letto “Alice in Wonderland”, il libro, ma ho visto l’ultimo attesissimo – e meritatamente – film di Tim Burton. Lui è geniale, e questo si sapeva. Ma c’è un punto, e solo un punto, anche abbastanza discusso, che a mio avviso discorda con la sua interpretazione. O meglio: considerazione, quanto lo è la mia. L’incontro con il Brucaliffo, che rappresenta un momento fondamentale dell’evoluzione di Alice. La prima domanda è: “Chi sei tu?”. Alice non sa rispondere. Alice non sa in realtà “chi sia”. La domanda è posta direttamente sul piano esistenziale. “Chi sei tu?”, e tra i vapori del leggendario narghilè del Brucaliffo, tra quelle “tenebre azzurre” pascoliane che evaporano dalla sua controversa figura, ha inizio il percorso dell’identità. Come sorge l’identità nuova che può rispondere al “chi sei tu?”. Solo nel momento in cui Alice si dedica all’INSIEME, accetta la proiezione negli altri, conquista l’autocoscienza, conquista “l’essere Alice per gli Altri”. “Chi sei tu?”, gli ripropone il Brucaliffo. Lei sa rispondere. Ma…ammetto che potrebbe essere stata la geniale – ribadisco – lettura di Tim Burton.

  4. Ilaria Catanzaro ha detto:

    Io ho letto il primo libro su Alice. E mi piace come Leo abbia spiegato anche la mia idea. La storia è una favola, e non mi stupisce troppo l’assenza di descrizioni (che Tolkien saggiamente utilizza) o la narrazione chiara e continua. Non è un romanzo, e anche per questo mi è piaciuto molto, perché è come si racconterebbe a un bambino. In alcuni punti Alice diventa davvero una bambina snervante e rompiscatole, come tutti i piccoli, con le sue domande, naturalmente basate sulla concretezza.
    In più, lo Stregatto… come lo ha definito un mio professore, con quel sorriso di chi sa, come il sorriso arcaico delle statue greche…

    Credo che alla fine, l’essere raccontato così linearmente non crea problemi, almeno ai bambini, perché la storia non finisce solo sulla carta, ma continua nella loro mente e lì i personaggi si sviluppano. Almeno così è capitato a me.

  5. Andrea Monda ha detto:

    bella questa battuta finale di Ilaria: le storie non finiscono, ma continuano nella fantasia dei lettori (specie se bambini). Mi viene in mente la battuta di Sam e Frodo nel Signore degli Anelli: “ma i racconti non finiscono mai?”.

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