Report Laboratorio O’Connor ottobre 2011

leggerePrimo appuntamento della stagione con il laboratorio di lettura O’ Connor che, per il secondo anno di fila, abbraccia l’iniziativa Lettori Cercasi della libreria Feltrinelli. Si comincia con un brano da La disobbedienza di Alberto Moravia: la ribellione del giovane Luca che decide di opporsi agli ingranaggi di cui è prigioniero, di strappare i tenaci fili di cui era intessuta la sua esistenza. Ad una prima pagina in cui Moravia astrae le motivazioni che rendono necessaria questa separazione, ne segue una seconda ricca di immagini chiare, nitide: una grossa testa rapata, simile ad una zucca, una corporatura che faceva pensare ai gambi sottili e fragili.

La palla alle new entry: una nuova lettrice per uno scrittore esordiente, Giovanni Panizzoli ed il suo racconto Madri su facebook (tratto dalla raccolta Proponevo me agli altri), ci offre un crescendo di immagini efficaci e la storia di un rapporto difficile con una madre che riversa sui social network la sua incapacità di comunicare, la sua disperazione.

Arriva Pier Vittorio Tondelli, con il suo periodare intenso come un fiume di parole, che se all’inizio può travolgere il lettore impreparato, finisce poi per essere così spontaneo, così naturale. E la gente ci guarda che sembriamo i figli del Walhalla perché uno alto da solo è uno scherzo di natura ma in due è una razza superiore. Il brano proposto proviene dal romanzo Altri libertini e chiude con una frase che ci ha entusiasmato: La neve ci fa i capelli bianchi come vecchi ma basta che li scrolliamo e siamo ancora ventenni e siamo belli

Da Tondelli ad una sua sincera ammiratrice, Antonella Lattanzi con il suo romanzo d’esordio Devozione. Il passato di Nikita è scritto nelle sue vene, il presente è una richiesta d’aiuto. Ma di fronte a lei anche Rosa, l’infermiera, è impotente, incapace di farle un semplice prelievo. L’infermiera non riesce a trovarle. Entra ed esce, entra ed esce con l’ago a farfalla nelle vene vuote della sua paziente. Ascoltiamo in silenzio, ogni vena è una storia, ogni capillare è un passo indietro in un tunnel dell’orrore. Questa, signora Rosa, noi drogati la chiamiamo pista. Viene fuori quando la vena crede ormai di esserci nata, per far entrare la gnugna nel tuo corpo. – Questa, che ne dici – […] – No, questa no – dice la tossica. Quella vena l’ha dissipata che era quasi una bambina.

Ci restituisce il sorriso, l’incipit del romanzo di Marco Presta, Un calcio in bocca fa miracoli. È la storia di un vecchiaccio malandato – Mi lavo poco, mi rado una volta a settimana e giro per il quartiere indossando un cappotto che, dopo la mia prostata, è la cosa più malridotta che mi porto dietro. – che si diverte a rubare le penne nei negozi, gustando la faccia dei commessi spiazzati dalla scomparsa della biro. Tanta ironia e leggerezza, che pur riescono al momento giusto a lanciare frecciatine mirate. Però di tanto in tanto le provo, vedo se funzionano ancora. Dopo un po’ di tempo, l’inchiostro che hanno dentro, la loro anima si secca. Capita anche a molte persone, se vogliamo.

Dopo cinque autori italiani, abbandoniamo la penisola per gustare una poesia di Bill Collins, Litany, proposta in madre lingua da una nostra affezionata lettrice americana. You are the bread and the knife, the crystal globet and the wine. […] However, you are not the wind in the orchard, the plums on the counter, or the house of the cards. And you’re certainly not… Un dolce gioco di paragoni, accostamenti, ipotesi, così musicale nella sua versione originale, da rinunciare alla lettura della traduzione.

Un altro straniero, anzi … Lo straniero di Albert Camus. È la scena di un corteo funebre; il silenzio dei parenti, degli amici si infrange ogni tanto in una parola sussurrata, nei rumori del paesaggio: la campagna ronzava del canto degli insetti e  di crepitii d’erba. L’attenzione dello scrittore si concentra poi sulle immagini: gli effetti del caldo sulle persone, la camminata leggermente zoppicante del vecchio Perez, il dolore sul suo volto.  Grosse lacrime di stanchezza e di pena gli scendevano sulle guance. Ma, per via delle rughe, non gli colavano giù; si distendevano, si raccoglievano, e formavano una vernice d’acqua su quel viso distrutto.

Il penultimo autore proposto è Fabio Volo, il romanzo si chiama Il tempo che vorrei, il brano è un viaggio nei ricordi della figura paterna, alla ricerca di una frase semplice quanto importante: Ti voglio bene. L’amore dei genitori a volte non prende forma nella parola, ma in azioni, oggetti, spostati, puliti,riparati, riordinati, creati. […] Il giorno in cui mio padre è venuto a casa mia a sistemarmi le piante ha compiuto il viaggio più lungo della sua vita. Quel giorno mi ha scelto.

Per un Moravia che apre, ne abbiamo un altro per chiudere in bellezza la serata. Leggiamo due pagine dal romanzo Il disprezzo; qualcuno prova a confrontarlo con il precedente, scandaglia con la lente di ingrandimento il cambiamento dello stile, della scrittura. Il testo ci parla del tempo che passa, dell’incapacità di apprezzare l’intensità di certi momenti della vita. La felicità è tanto più grande quanto meno la si avverte. Sembrerà strano, ma in quei due anni mi parve talvolta persino di annoiarmi. Certamente, poi, non mi resi conto che ero felice. Mi sembrava di fare una cosa che tutti fanno: amare la propria moglie ed esserne amato; e quest’amore mi sembrava un fatto comune, normale, ossia per nulla prezioso; proprio come l’aria che si respira e ce n’è tanta e diventa preziosa solo quando viene a mancare.

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